Il tesoro nascosto dell’Emilia Romagna si trova nel sottosuolo. Si chiama gas naturale e negli ultimi anni è nelle mire delle multinazionali, sempre più interessate a trivellare su tutto il territorio, da Rimini a Piacenza. I dati della nuova corsa agli idrocarburi li ha raccolti Legambiente, secondo cui si stanno “intensificando le richieste per la ricerca di gas”, tanto che nei prossimi anni i progetti potrebbero interessare oltre la metà dell’intero territorio regionale. Ma in 30 pagine di dossier l’associazione mette in guardia anche sulle conseguenze ambientali. Prima tra tutti la subsidenza, ossia il fenomeno dell’abbassamento del suolo, che rischia di aggravarsi proprio a causa del lavoro portato avanti dai colossi dell’energia.
Avviata già nell’800 nelle zone collinari del parmense, l’attività di estrazione di idrocarburi in Emilia Romagna è tra le più estese del Paese. Oggi qui viene prodotta una quantità di gas pari ad oltre il 12% delle riserve certe per tutta l’Italia centrale, mentre è più contenuta quella del greggio, che nel 2012 si è fermata a 30600 tonnellate (comunque in aumento rispetto agli anni precedenti).“Se a partire dalla metà degli anni 2000 la produzione di idrocarburi in terraferma era quindi lentamente calata, a partire dal 2011 è invece rapidamente ripresa, tanto da raggiungere nel 2012 al picco degli ultimi 10 anni” si legge nell’analisi di Legambiente. E i numeri confermano: i milioni di metri cubi estratti nel 2012 sono stati 290 milioni, contro i 202 milioni del 2011 e i 148 del 2010.
In tutto, le concessioni di estrazione sono 37, mentre ci sono 35 permessi di ricerca, e altre 12 nuove richieste di indagine del sottosuolo, in attesa di essere approvate. Attualmente, sottolinea Legambiente, in quasi tutte le province, da nord a sud, sono presenti domande di ricerca o sfruttamento. Basti pensare che l’Emilia Romagna ha una superficie territoriale complessiva di oltre 22 mila chilometri quadrati. Di questi, si evidenzia nello studio, poco più di 7 mila, pari al 33% del totale, è interessato dai permessi ricerca. Mentre nel 9% del totale (1774 chilometri quadrati) ci sono concessioni di coltivazione, cioè di estrazione di idrocarburi. Non vanno poi dimenticati i siti per lo stoccaggio del gas: in Emilia Romagna sono 5 quelli attivi, ossia la metà di quelli distribuiti in tutta Italia.
Numeri che potrebbero crescere nei prossimi anni, anche grazie all’impulso dato dal governo Monti. Un decreto ministeriale, firmato a marzo dagli allora ministri Corrado Passera e Corrado Clini, ha aperto la strada alle trivelle, prevedendo l’aumento del contributo degli idrocarburi dal 7% al 14% del fabbisogno energetico complessivo. Che significa incrementare la produzione di gas del 46% entro il 2020. “Una scelta assolutamente insensata” secondo Legambiente, che nell’indagine snocciola tutti i rischi di una strategia energetica di questo tipo.
In Emilia Romagna, è la subsidenza a far paura. “Anche se l’estrazione di idrocarburi non è l’unica causa di tale fenomeno, resta un fattore di cui tener conto nel rilascio delle autorizzazioni alle compagnie estrattive”. Secondo i dati dell’Arpa, negli ultimi 55 anni il suolo sulla fascia costiera che si affaccia sull’Adriatico si è abbassato di 70 centimetri nell’area di Rimini e di oltre un metro in quella che va da Cesenatico al delta del Po. L’area più colpita è però quella del Bolognese, che piano piano sta sprofondando: ci sono alcune zone dove l’abbassamento tocca picchi di 3 centimetri all’anno. Per questo l’associazione lancia l’appello per fermare le attività estrattive proprio in quelle zone a rischio subsidenza. Anche perché le “royalties pagate dalle aziende petrolifere sono talmente scarse, che non permetterebbero di ripagare i danni dovuti all’abbassamento della costa”.