Un vero casino. Forse non elegante, ma è questa la sintesi più efficace del rapporto sul programma F-35 pubblicato ieri dal Pentagono e che identifica la bellezza di 719 problemi nella linea di produzione del caccia delle meraviglie.
Un documento redatto all’inizio di quest’anno e reso pubblico solo adesso per dare modo alle ditte e all’ufficio di programma che sovraintende alla produzione dell’aereo di mettere in campo le opportune misure correttive. Ma le risposte non sono sembrate adeguate all’Office of Inspector General del Pentagono. Delle 13 risposte ricevute, l’organismo ispettivo della Difesa americana ben sette le trova inadeguate e chiede nuovi chiarimenti.
Il rapporto, Quality Assurance Assessment of the F-35 Lightning II Program DODIG-2013-140, descrive in 136 pagine una specie di galleria degli orrori industriali che coinvolgono le ditte interessate alla realizzazione dell’aereo, dalla Lockheed alla Northrop alla BAE, eccetera: ditte che lavorano su versioni differenti del software di missione per cui i prodotti finali non sono interoperabili, operai che contaminano utilizzando procedure non corrette parti critiche dell’aereo, a cellule finite le cui misure non corrispondono alle specifiche di progetto. Il risultato del non rispetto delle norma dei qualità “risulterà in materiali non conformi, aerei meno affidabili e costi aumentati” (pagina 18 del rapporto).
Errori che si ripercuotono su un numero impressionante di aerei (compresi quelli destinati all’Italia) prima che eventuali misure correttive possano essere messe in atto. Prendete pagina 12: “Lockheed Martin ha consegnato aerei F-35 che non rispettavano i requisiti contrattuali in termini di intercambiabilità e sostituibilità…Un problema identificato nel maggio 2009, classificato ad alto rischio…ma che non potrà essere risolto prima del 2015…e si stima che 150 aerei saranno messi in servizio prima che il piano [correttivo] possa essere completato. Questo comporterà inevitabilmente che ci siano componenti non intercambiabili negli aerei in servizio oppure che dovranno essere sostenuti costi aggiuntivi per portare gli aerei allo standard richiesto”. Costi aggiuntivi: il che vuol dire, ad esempio, che anche alcuni degli aerei italiani dei primi lotti dovranno essere aggiornati. Paga zio Sam? No, sarà il solito Pantalone.
Aspettate, a pagina 17 c’è anche di meglio: “le fusoliere misurate con il sistema di allineamento laser non corrispondevano ai requisiti progettuali; nonostante ciò Lockheed Martin non ha identificato le cellule come non conformi e numerosi aerei di tutte e tre le varianti sono stati completati”. La conclusione? “Ciò si tradurrà in mezzi con conformi, aerei meno affidabili e aumento di costi”. Che questi dell’Office of Inspector General siano dei pacifisti? O forse degli hacker cinesi si sono insinuati nei computer del Pentagono e hanno modificato il rapporto?
Il documento continua con questo tono per decine di pagine, molto tecniche e dunque non facilmente riassumibili. Così vi propongo alcune delle conclusioni:
1) “La mancanza di disciplina di processo e attenzione ai dettagli crea un rischio elevato di consegnare ai combattenti (sic) aerei non conformi” (pagina 55);
2) “L’assenza di controllo dei processi critici può comportare un aumento dei rischi per la sicurezza del volo“ (pagina 61);
3) “La mancanza di una forte ed efficace organizzazione per l’assicurazione della qualità contribuisce ai problemi di costo, puntualità e prestazioni del programma” (pagina 65).
La ragione di tutti questi casini, tanto per restare all’espressione inziale, è nella scelta imposta dalla Lockheed di non procedere alla realizzazione di prototipi e solo successivamente alla produzione di serie. Il rischio era che il Congresso, come già successo in passato, potesse sospendere il programma prima che i costi salissero alle stelle. Invece, tutti gli aerei che escono dalla Lockheed, fin dai primissimi, sono già aerei destinati alla linea di volo con la logica che i problemi mano a mano identificati sarebbero poi stati risolti a posteriori. Una tecnica utilizzata dagli Usa solo durante la seconda guerra mondiale. Ma lì le ragioni c’erano. Qui? L’immediata conseguenza di questa scelta è che è necessario eseguire lavori di scrap, rework and repair (letteralmente “scarto, rilavorazione e riparazione”) con un’incidenza, rivela il documento, del 13,11 per cento nel 2013, appena più bassa del 13,82 per cento del 2012 e con ben 972 interventi per aereo del primo lotto produttivo, 987 per aereo del secondo, 926 del terzo e 859 del quarto. Sempre troppi.
Insomma, un sacco di problemi per un aereo di cui l’Italia potrebbe fare tranquillamente a meno (salvo per la versione a decollo corto che dovrebbe andare sulla Cavour), che le aziende Finmeccanica realizzano obtorto collo, come ha spiegato una settimana fa l’amministratore delegato alla Camera dei deputati, e che segnerà la fine di una autonoma industria aeronautica nazionale.
Ah, dimenticavo: e che ci sosterà tra i 13 e i 14 miliardi solo per acquistarlo.