Martedì 8 ottobre è prevista a Palermo la sentenza d’appello di un processo che sta passando nel più completo silenzio.
Riteniamo importante raccontarvi la storia di questo processo e dell’uomo che lo sta subendo: nel 2008 un maresciallo dei carabinieri prende la sua macchina e, in un’operazione di polizia giudiziaria antimafia, va a parlare con un confidente. Ha fretta e durante il tragitto prende una multa. Mesi dopo arriva la contravvenzione e il carabiniere in questione, dopo aver controllato le date, scrive una relazione che attesta che la macchina privata era stata usata per motivi di servizio, vi allega una lettera di accompagno di un suo superiore, e manda il tutto alla prefettura. Poco dopo giunge al comando dei Carabinieri una richiesta di conferma che accerti che il carabiniere in questione fosse veramente in servizio quel giorno ma il suo superiore, invece di confermare, manda un avviso di notizia di reato alla Procura competente e il carabiniere del nostro racconto viene rinviato a giudizio e processato per i reati di falso materiale, falso ideologico e truffa.
La Procura della Repubblica di Palermo accusa il maresciallo di aver compilato una relazione falsa (si contesta la sua effettiva presenza in servizio quel giorno), di aver falsificato materialmente la relazione (la lettera di accompagno, invece di essere firmata dal superiore del maresciallo, era stata siglata dal maresciallo stesso con l’aggiunta della dicitura “APS”, assente per servizio, riferita al superiore) e di aver voluto truffare lo Stato per farsi togliere una multa ottenuta non nell’esercizio delle sue funzioni di pubblico ufficiale.
Durante il processo i superiori del maresciallo, dichiarano di non averlo mai autorizzato ad usare vetture private, che l’uso di queste è di regola escluso dalle indagini di polizia giudiziaria. Il maresciallo viene condannato in primo grado alla pena di otto mesi di reclusione e al pagamento delle spese processuali.
Cosa c’è che non va in questo racconto?
In attesa che la Corte di Appello di Palermo, presieduta dal giudice Daniele Marraffa, emetta la sentenza ci sentiamo in dovere di evidenziare a chi legge alcuni elementi che ci appaiono quantomeno singolari:
1) dagli accertamenti svolti (produzione di un memoriale di servizio) e dalla sentenza di primo grado risulta che il maresciallo fosse “comandato” nella data in oggetto per “indagini di polizia giudiziaria”, cioè è appurato che fosse veramente in servizio;
2) l’avvocato del maresciallo, Giorgio Carta, ha svolto indagini difensive con l’audizione di testimoni (anch’essi carabinieri) che confermano l’uso ripetuto e continuativo di autovetture private per indagini investigative – anche dagli stessi superiori del maresciallo – e l'”ufficiosità” di questa procedura, con relativa assenza di tracce di essa in documenti ufficiali. La Corte d’Appello ha respinto la richiesta di acquisizione di queste testimonianze giudicandole, con l’appoggio della procura, intempestive e irrilevanti;
3) l’avvocato del maresciallo ha chiesto al Comando dell’Arma dei Carabinieri l’accesso ad atti quali i fogli di viaggio e i memoriali di servizio (i cosiddetti “brogliacci”) compresi tra il 2000 e il 2008, che avrebbero confermato l’assenza di tracce scritte dell’uso di auto private nelle varie indagini. La richiesta è stata rifiutata. Al che l’avvocato ha fatto ricorso al TAR ed ha chiesto alla Corte di Appello di aspettarne la sentenza. Altra richiesta rifiutata;
4) il maresciallo ha chiesto l’acquisizione della copia del suo passaporto e di una relazione di servizio come prova della mancata volontà di contraffare la nota di servizio con il nominativo del suo superiore, nella quale era infatti apposta la scritta A.P.S. (assente per servizio), seppur molto piccola, accanto alla sua sigla. Ennesima richiesta rifiutata;
5) il procuratore generale Salvatore Messina, nella sua requisitoria conclusiva, afferma: “…documenti e testimonianze ci dicono che nessun ufficiale aveva mai chiesto al maresciallo o lo aveva mai autorizzato ad usare il mezzo proprio per indagini di polizia giudiziaria…”. Però contestualmente ritiene “intempestive” e “irrilevanti” le acquisizioni di documenti che potrebbero mettere in dubbio quelle certezze. E ancora sostiene che, relativamente alle possibili false testimonianze dei superiori del maresciallo riguardo l’uso di mezzi privati, “se indagini in questo senso si dovranno fare, si potranno fare in quei processi per falsa testimonianza ai quali ha accennato la difesa”.
Questi sono i fatti.
Poi ci sono delle considerazioni che non possiamo esimerci dal fare, che riguardano l‘uomo dietro alla divisa da maresciallo capo, che ha un nome e un cognome: Saverio Masi. Quest’uomo ha investigato per anni la criminalità organizzata, prima la camorra a Napoli e poi la mafia a Palermo, molto spesso utilizzando auto private, pagando la benzina e le riparazioni necessarie di tasca sua; deve ancora compilare decine e decine di richieste di rimborso che spettano ai carabinieri che rimangono oltre un certo limite di ore lontano dalla città dove prestano servizio, per un ammontare complessivo che supera di gran lunga i centosei euro della multa da cui è scaturito questo processo penale. Rimborsi che Masi non ha mai avuto intenzione di chiedere. Possiamo credere che sia diventato tutto ad un tratto così attaccato ai soldi da commettere dei reati che gli avrebbero fatto rischiare la destituzione da un lavoro che, per sua stessa ammissione, ama?
La seconda considerazione è relativa alla figura di testimone di Saverio Masi che, depose il 21 dicembre 2010 nel processo contro il generale Mario Mori e il colonnello Mauro Obinu per la mancata cattura di Bernardo Provenzano e che deporrà nel da poco aperto processo per la trattativa Stato-mafia per riferire, come si legge nella lista testimoniale della procura, sugli “ostacoli incontrati nell’ambito della sua attività investigativa finalizzata alla cattura di Bernardo Provenzano”.
Ma la considerazione più importante che ci sentiamo di fare riguarda l’ipocrisia di uno Stato che costringe i suoi servitori ad uscire fuori dalle “regole” (utilizzando, per esempio, autovetture private per assenza di disponibilità o per ragioni di “sicurezza”) per continuare ad arrestare latitanti e che poi li lascia al loro destino quando, per una ragione o per un’altra, queste procedure ufficiose diventano oggetto di azioni disciplinari o, peggio, penali.
C’è un articolo nel codice di procedura penale italiano, il 603, che regola le modalità di istruzione dibattimentale e nel suo comma 3 spiega come il giudice abbia il diritto e, soprattutto, il dovere, di “rinnovare l’istruzione dibattimentale se egli la ritiene assolutamente necessaria” e non ha limiti di tempo per fare ciò se non la sentenza finale. Forse, visti gli elementi, le circostanze e la persona in esame, sarebbe il caso di riflettere sull’applicazione di questo articolo, per far sì che la legge si sovrapponga ancora una volta alla giustizia.
Salvatore Borsellino e Federica Fabbretti
Movimento delle Agende Rosse
Salvatore Borsellino
Attivista, fondatore del comitato 19 luglio '92
Giustizia & Impunità - 7 Ottobre 2013
Le ‘indagini pericolose’ di Saverio Masi
Martedì 8 ottobre è prevista a Palermo la sentenza d’appello di un processo che sta passando nel più completo silenzio.
Riteniamo importante raccontarvi la storia di questo processo e dell’uomo che lo sta subendo: nel 2008 un maresciallo dei carabinieri prende la sua macchina e, in un’operazione di polizia giudiziaria antimafia, va a parlare con un confidente. Ha fretta e durante il tragitto prende una multa. Mesi dopo arriva la contravvenzione e il carabiniere in questione, dopo aver controllato le date, scrive una relazione che attesta che la macchina privata era stata usata per motivi di servizio, vi allega una lettera di accompagno di un suo superiore, e manda il tutto alla prefettura. Poco dopo giunge al comando dei Carabinieri una richiesta di conferma che accerti che il carabiniere in questione fosse veramente in servizio quel giorno ma il suo superiore, invece di confermare, manda un avviso di notizia di reato alla Procura competente e il carabiniere del nostro racconto viene rinviato a giudizio e processato per i reati di falso materiale, falso ideologico e truffa.
La Procura della Repubblica di Palermo accusa il maresciallo di aver compilato una relazione falsa (si contesta la sua effettiva presenza in servizio quel giorno), di aver falsificato materialmente la relazione (la lettera di accompagno, invece di essere firmata dal superiore del maresciallo, era stata siglata dal maresciallo stesso con l’aggiunta della dicitura “APS”, assente per servizio, riferita al superiore) e di aver voluto truffare lo Stato per farsi togliere una multa ottenuta non nell’esercizio delle sue funzioni di pubblico ufficiale.
Durante il processo i superiori del maresciallo, dichiarano di non averlo mai autorizzato ad usare vetture private, che l’uso di queste è di regola escluso dalle indagini di polizia giudiziaria. Il maresciallo viene condannato in primo grado alla pena di otto mesi di reclusione e al pagamento delle spese processuali.
Cosa c’è che non va in questo racconto?
In attesa che la Corte di Appello di Palermo, presieduta dal giudice Daniele Marraffa, emetta la sentenza ci sentiamo in dovere di evidenziare a chi legge alcuni elementi che ci appaiono quantomeno singolari:
1) dagli accertamenti svolti (produzione di un memoriale di servizio) e dalla sentenza di primo grado risulta che il maresciallo fosse “comandato” nella data in oggetto per “indagini di polizia giudiziaria”, cioè è appurato che fosse veramente in servizio;
2) l’avvocato del maresciallo, Giorgio Carta, ha svolto indagini difensive con l’audizione di testimoni (anch’essi carabinieri) che confermano l’uso ripetuto e continuativo di autovetture private per indagini investigative – anche dagli stessi superiori del maresciallo – e l'”ufficiosità” di questa procedura, con relativa assenza di tracce di essa in documenti ufficiali. La Corte d’Appello ha respinto la richiesta di acquisizione di queste testimonianze giudicandole, con l’appoggio della procura, intempestive e irrilevanti;
3) l’avvocato del maresciallo ha chiesto al Comando dell’Arma dei Carabinieri l’accesso ad atti quali i fogli di viaggio e i memoriali di servizio (i cosiddetti “brogliacci”) compresi tra il 2000 e il 2008, che avrebbero confermato l’assenza di tracce scritte dell’uso di auto private nelle varie indagini. La richiesta è stata rifiutata. Al che l’avvocato ha fatto ricorso al TAR ed ha chiesto alla Corte di Appello di aspettarne la sentenza. Altra richiesta rifiutata;
4) il maresciallo ha chiesto l’acquisizione della copia del suo passaporto e di una relazione di servizio come prova della mancata volontà di contraffare la nota di servizio con il nominativo del suo superiore, nella quale era infatti apposta la scritta A.P.S. (assente per servizio), seppur molto piccola, accanto alla sua sigla. Ennesima richiesta rifiutata;
5) il procuratore generale Salvatore Messina, nella sua requisitoria conclusiva, afferma: “…documenti e testimonianze ci dicono che nessun ufficiale aveva mai chiesto al maresciallo o lo aveva mai autorizzato ad usare il mezzo proprio per indagini di polizia giudiziaria…”. Però contestualmente ritiene “intempestive” e “irrilevanti” le acquisizioni di documenti che potrebbero mettere in dubbio quelle certezze. E ancora sostiene che, relativamente alle possibili false testimonianze dei superiori del maresciallo riguardo l’uso di mezzi privati, “se indagini in questo senso si dovranno fare, si potranno fare in quei processi per falsa testimonianza ai quali ha accennato la difesa”.
Questi sono i fatti.
Poi ci sono delle considerazioni che non possiamo esimerci dal fare, che riguardano l‘uomo dietro alla divisa da maresciallo capo, che ha un nome e un cognome: Saverio Masi. Quest’uomo ha investigato per anni la criminalità organizzata, prima la camorra a Napoli e poi la mafia a Palermo, molto spesso utilizzando auto private, pagando la benzina e le riparazioni necessarie di tasca sua; deve ancora compilare decine e decine di richieste di rimborso che spettano ai carabinieri che rimangono oltre un certo limite di ore lontano dalla città dove prestano servizio, per un ammontare complessivo che supera di gran lunga i centosei euro della multa da cui è scaturito questo processo penale. Rimborsi che Masi non ha mai avuto intenzione di chiedere. Possiamo credere che sia diventato tutto ad un tratto così attaccato ai soldi da commettere dei reati che gli avrebbero fatto rischiare la destituzione da un lavoro che, per sua stessa ammissione, ama?
La seconda considerazione è relativa alla figura di testimone di Saverio Masi che, depose il 21 dicembre 2010 nel processo contro il generale Mario Mori e il colonnello Mauro Obinu per la mancata cattura di Bernardo Provenzano e che deporrà nel da poco aperto processo per la trattativa Stato-mafia per riferire, come si legge nella lista testimoniale della procura, sugli “ostacoli incontrati nell’ambito della sua attività investigativa finalizzata alla cattura di Bernardo Provenzano”.
Ma la considerazione più importante che ci sentiamo di fare riguarda l’ipocrisia di uno Stato che costringe i suoi servitori ad uscire fuori dalle “regole” (utilizzando, per esempio, autovetture private per assenza di disponibilità o per ragioni di “sicurezza”) per continuare ad arrestare latitanti e che poi li lascia al loro destino quando, per una ragione o per un’altra, queste procedure ufficiose diventano oggetto di azioni disciplinari o, peggio, penali.
C’è un articolo nel codice di procedura penale italiano, il 603, che regola le modalità di istruzione dibattimentale e nel suo comma 3 spiega come il giudice abbia il diritto e, soprattutto, il dovere, di “rinnovare l’istruzione dibattimentale se egli la ritiene assolutamente necessaria” e non ha limiti di tempo per fare ciò se non la sentenza finale. Forse, visti gli elementi, le circostanze e la persona in esame, sarebbe il caso di riflettere sull’applicazione di questo articolo, per far sì che la legge si sovrapponga ancora una volta alla giustizia.
Salvatore Borsellino e Federica Fabbretti
Movimento delle Agende Rosse
B.COME BASTA!
di Marco Travaglio 14€ AcquistaArticolo Precedente
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Roma, 7 mar. (Adnkronos) - Esperti e stakeholder del settore energetico si sono riuniti ieri mattina a Key, in occasione del convegno 'Accelerating Sustainable Electrification: Key to Economic and Social Development on the African Continent' curato da Res4Africa Foundation, per parlare del ruolo fondamentale dell'elettrificazione nella trasformazione socioeconomica dell'Africa. Con una popolazione prevista di 2,5 miliardi entro il 2050, il continente deve prepararsi per affrontare una crescente domanda di energia, che richiede soluzioni urgenti e sostenibili.
La conferenza, organizzata in due panel, ha evidenziato la necessità di uno sviluppo di energia rinnovabile su larga scala, di modernizzazione delle reti elettriche e di investimenti in soluzioni per l’accumulo di energia, in modo da garantire l'accesso universale a un'elettricità affidabile, sicura e conveniente.
Oltre alle discussioni, le delegazioni africane presenti hanno avuto l'opportunità di esplorare le soluzioni innovative presenti a Key, rafforzando ulteriormente le collaborazioni pubblico-private volte all'elettrificazione sostenibile.
“I porti e le infrastrutture costiere rivestono un ruolo fondamentale per lo sviluppo dei progetti di energia rinnovabile offshore, poiché rappresentano il punto di partenza e di supporto logistico per la costruzione, l'installazione e la manutenzione degli impianti”. È quanto ha dichiarato ieri mattina Fulvio Mamone Capria, presidente di Aero, Associazione delle Energie Rinnovabili Offshore, al termine del convegno 'Portualità, logistica, trasporti e filiera industriale per l’eolico offshore in Italia'.
I porti sono destinati a diventare sempre di più hub dell’energia, capaci di garantire l'efficienza e la sostenibilità delle operazioni, ma anche di favorire l'innovazione tecnologica e il coordinamento delle attività tra i diversi attori del settore. “L'adeguamento e il potenziamento delle infrastrutture portuali sono determinanti per ridurre i costi e migliorare la competitività delle energie rinnovabili marine, rendendo i progetti più scalabili e accessibili”, ha continuato Mamone.
Il decreto ministeriale sui porti permetterà di semplificare gli investimenti e incentivare la creazione di un'infrastruttura solida e ben collegata.
Roma, 7 mar. (Adnkronos) - Esperti e stakeholder del settore energetico si sono riuniti ieri mattina a Key, in occasione del convegno 'Accelerating Sustainable Electrification: Key to Economic and Social Development on the African Continent' curato da Res4Africa Foundation, per parlare del ruolo fondamentale dell'elettrificazione nella trasformazione socioeconomica dell'Africa. Con una popolazione prevista di 2,5 miliardi entro il 2050, il continente deve prepararsi per affrontare una crescente domanda di energia, che richiede soluzioni urgenti e sostenibili.
La conferenza, organizzata in due panel, ha evidenziato la necessità di uno sviluppo di energia rinnovabile su larga scala, di modernizzazione delle reti elettriche e di investimenti in soluzioni per l’accumulo di energia, in modo da garantire l'accesso universale a un'elettricità affidabile, sicura e conveniente.
Oltre alle discussioni, le delegazioni africane presenti hanno avuto l'opportunità di esplorare le soluzioni innovative presenti a Key, rafforzando ulteriormente le collaborazioni pubblico-private volte all'elettrificazione sostenibile.
“I porti e le infrastrutture costiere rivestono un ruolo fondamentale per lo sviluppo dei progetti di energia rinnovabile offshore, poiché rappresentano il punto di partenza e di supporto logistico per la costruzione, l'installazione e la manutenzione degli impianti”. È quanto ha dichiarato ieri mattina Fulvio Mamone Capria, presidente di Aero, Associazione delle Energie Rinnovabili Offshore, al termine del convegno 'Portualità, logistica, trasporti e filiera industriale per l’eolico offshore in Italia'.
I porti sono destinati a diventare sempre di più hub dell’energia, capaci di garantire l'efficienza e la sostenibilità delle operazioni, ma anche di favorire l'innovazione tecnologica e il coordinamento delle attività tra i diversi attori del settore. “L'adeguamento e il potenziamento delle infrastrutture portuali sono determinanti per ridurre i costi e migliorare la competitività delle energie rinnovabili marine, rendendo i progetti più scalabili e accessibili”, ha continuato Mamone.
Il decreto ministeriale sui porti permetterà di semplificare gli investimenti e incentivare la creazione di un'infrastruttura solida e ben collegata.
(Adnkronos) - Stefano Conti è un uomo libero. L'Adnkronos può rivelare che al processo a Panama City sono cadute tutte le accuse. Raggiunto al telefono, Andrea Di Giuseppe, il parlamentare di Fratelli d'Italia eletto nella Circoscrizione Centro e Nord America, festeggia il risultato raggiunto dopo oltre due anni: "Dieci minuti fa ho parlato con il padre, si è commosso alla notizia che Stefano era finalmente stato prosciolto. Ha passato oltre 400 giorni in una delle peggiori galere del mondo, un luogo che non si riesce neanche a immaginare, e senza nessuna condanna, ma solo per una carcerazione preventiva in attesa di un processo che sembrava non arrivare mai. Ma insieme alla Farnesina e all'ambasciata, ho fatto di tutto per fargli ridurre la misura cautelare e farlo stare in una condizione meno disumana. L'anno scorso siamo riusciti a fargli avere i domiciliari, oggi la notizia più bella. Una grande vittoria per il nostro Paese".
Stefano Conti è un trader brianzolo di 40 anni, che per oltre due anni è stato accusato di tratta di esseri umani a scopo sessuale. Rischiava una condanna fino a 30 anni di reclusione, nonostante le presunte vittime avessero ritrattato le accuse, sostenendo di aver subito pressioni dalla polizia panamense.
Conti ha anche pubblicato un libro intitolato 'Ora parlo io: 423 giorni nell'inferno di Panama', in cui racconta la sua esperienza nel carcere panamense e ribadisce la sua innocenza. Il libro è uscito a dicembre scorso, in attesa dell'inizio del processo.
Andrea Di Giuseppe ha partecipato alle udienze preliminari, "non per influire sul merito della vicenda", spiega all'Adnkronos, ma per fargli avere il giusto processo che qualunque essere umano merita. Ho coinvolto la comunità italiana, ho parlato con i politici panamensi, sono stato accanto a lui davanti al giudice, per far capire al sistema giudiziario che quell'uomo non era solo, ma aveva accanto a sé il suo Paese”.
Conti "rimarrà ancora a Panama fino al 4 aprile, per motivi burocratici, ma appena avrà tutti i documenti in ordine potrà tornare in Italia", aggiunge il deputato italiano. Che non ha finito quella che è diventata una sorta di missione. "Dopo aver aiutato a liberare i due italiani in Venezuela, e dopo il più famoso caso di Chico Forti, il prossimo per cui mi impegnerò è l'ingegner Maurizio Cocco, rinchiuso in Costa d’Avorio da oltre due anni. Ne sentirete parlare presto". Sì perché gli italiani rinchiusi all'estero sono circa duemila, "e molti di questi sono in stato di carcerazione preventiva. Dei conti di Montecristo dimenticati da tutti. Ma ora il nostro governo, grazie anche all'azione dei sottosegretari agli Esteri Silli e Cirielli, e ovviamente all'attivismo della premier Meloni, sta finalmente affrontando questi casi. Non sono più dei fantasmi, ma dei nostri connazionali che devono poter avere tutta l'assistenza legale, politica e umana che possiamo dargli. È solo l'inizio. L'Italia sta contando e pesando di più nel mondo", conclude Di Giuseppe. (Di Giorgio Rutelli)
(Adnkronos) - Stefano Conti è un uomo libero. L'Adnkronos può rivelare che al processo a Panama City sono cadute tutte le accuse. Raggiunto al telefono, Andrea Di Giuseppe, il parlamentare di Fratelli d'Italia eletto nella Circoscrizione Centro e Nord America, festeggia il risultato raggiunto dopo oltre due anni: "Dieci minuti fa ho parlato con il padre, si è commosso alla notizia che Stefano era finalmente stato prosciolto. Ha passato oltre 400 giorni in una delle peggiori galere del mondo, un luogo che non si riesce neanche a immaginare, e senza nessuna condanna, ma solo per una carcerazione preventiva in attesa di un processo che sembrava non arrivare mai. Ma insieme alla Farnesina e all'ambasciata, ho fatto di tutto per fargli ridurre la misura cautelare e farlo stare in una condizione meno disumana. L'anno scorso siamo riusciti a fargli avere i domiciliari, oggi la notizia più bella. Una grande vittoria per il nostro Paese".
Stefano Conti è un trader brianzolo di 40 anni, che per oltre due anni è stato accusato di tratta di esseri umani a scopo sessuale. Rischiava una condanna fino a 30 anni di reclusione, nonostante le presunte vittime avessero ritrattato le accuse, sostenendo di aver subito pressioni dalla polizia panamense.
Conti ha anche pubblicato un libro intitolato 'Ora parlo io: 423 giorni nell'inferno di Panama', in cui racconta la sua esperienza nel carcere panamense e ribadisce la sua innocenza. Il libro è uscito a dicembre scorso, in attesa dell'inizio del processo.
Andrea Di Giuseppe ha partecipato alle udienze preliminari, "non per influire sul merito della vicenda", spiega all'Adnkronos, ma per fargli avere il giusto processo che qualunque essere umano merita. Ho coinvolto la comunità italiana, ho parlato con i politici panamensi, sono stato accanto a lui davanti al giudice, per far capire al sistema giudiziario che quell'uomo non era solo, ma aveva accanto a sé il suo Paese”.
Conti "rimarrà ancora a Panama fino al 4 aprile, per motivi burocratici, ma appena avrà tutti i documenti in ordine potrà tornare in Italia", aggiunge il deputato italiano. Che non ha finito quella che è diventata una sorta di missione. "Dopo aver aiutato a liberare i due italiani in Venezuela, e dopo il più famoso caso di Chico Forti, il prossimo per cui mi impegnerò è l'ingegner Maurizio Cocco, rinchiuso in Costa d’Avorio da oltre due anni. Ne sentirete parlare presto". Sì perché gli italiani rinchiusi all'estero sono circa duemila, "e molti di questi sono in stato di carcerazione preventiva. Dei conti di Montecristo dimenticati da tutti. Ma ora il nostro governo, grazie anche all'azione dei sottosegretari agli Esteri Silli e Cirielli, e ovviamente all'attivismo della premier Meloni, sta finalmente affrontando questi casi. Non sono più dei fantasmi, ma dei nostri connazionali che devono poter avere tutta l'assistenza legale, politica e umana che possiamo dargli. È solo l'inizio. L'Italia sta contando e pesando di più nel mondo", conclude Di Giuseppe. (Di Giorgio Rutelli)
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Più che le conclusioni del Consiglio europeo sembrano un bollettino di guerra, con i nostri governanti che, in un clima di ubriacatura collettiva, programmano una spesa straordinaria di miliardi su miliardi per armi, missili e munizioni. E la premier Meloni cosa dice? 'Riarmo non è la parola adatta' per questo piano. Si preoccupa della forma e di come ingannare i cittadini. Ma i cittadini non sono stupidi! Giorgia Meloni come lo vuoi chiamare questo folle programma che, anziché offrire soluzioni ai bisogni concreti di famiglie e imprese, affossa l’Europa della giustizia e della civiltà giuridica per progettare l’Europa della guerra?". Lo scrive Giuseppe Conte sui social.
"I fatti sono chiari: dopo 2 anni e mezzo di spese, disastri e fallimenti in Ucraina anziché chiedere scusa agli italiani, Meloni ha chiesto a Von der Leyen di investire cifre folli in armi e spese militari dopo aver firmato sulla nostra testa a Bruxelles vincoli e tagli sugli investimenti che ci servono davvero su sanità, energia, carovita, industria e lavoro. Potremmo trovarci a spendere oltre 30 miliardi aggiuntivi sulle armi mentre ne mettiamo 3 scarsi sul carobollette".
"Stiamo vivendo pagine davvero buie per l’Europa. I nostri governanti, dopo avere fallito con la strategia dell’escalation militare con la Russia, non hanno la dignità di ravvedersi, anzi rilanciano la propaganda bellica. La conclusione è che il blu di una bandiera di pace scolora nel verde militare. Dai 209 miliardi che noi abbiamo riportato in Italia dall'Europa per aziende, lavoro, infrastrutture, scuole e asili nido, passiamo a montagne di soldi destinati alle armi".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Much appreciated". Lo scrive Elon Musk su X commentando un post in cui si riporta la posizione della Lega e di Matteo Salvini sul ddl Spazio e Starlink. Anche il referente in Italia del patron di Tesla, Andrea Stroppa, ringrazia via social Salvini: "Grazie al vice PdC Matteo Salvini per aver preso posizione pubblicamente".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - Gianfranco Librandi, presidente del movimento politico “L’Italia c’è”, ha smentito categoricamente le recenti affermazioni giornalistiche riguardanti una presunta “coalizione di volenterosi” per il finanziamento di Forza Italia. Librandi ha dichiarato: “Sono tutte fantasie del giornalista. Smentisco assolutamente di aver parlato di una coalizione di volenterosi che dovrebbero contribuire al finanziamento del partito”.