Jeans senza cinta, camicia bianca e una giacca grigia, ai piedi scarpe morbide pronte all’arrampicata. L’incontro davanti al Pan, il palazzo delle Arti di Napoli. Erri De Luca viene trafelato, silenzioso, appartato. Lo scrittore o meglio lo scassinatore di storie come lo definisce un pescatore greco nel suo nuovo romanzo ‘Storia di Irene’ è l’ospite di punta di “in viaggio con la Mehari”, le iniziative volute dal Comune di Napoli e sostenute dalla Regione per ricordare i giornalisti uccisi e minacciati e le tante vittime innocenti di criminalità.
Dentro alla sala del Pan c’è la Mehari, l’auto di Giancarlo Siani, il giovane cronista trucidato – il 23 settembre 1985 – dalla mano assassina e codarda della camorra. Non è stato casuale invitare Erri. Si, perché nel lontano 1996 scrisse alcune intense pagine dedicate proprio a Giancarlo Siani, “un giovane sveglio che mi colpì per la sua freschezza”. Si tratta di un ricordo-incontro che lo scrittore, a modo suo, ha scolpito nel “Cronista scalzo“, un libretto praticamente introvabile dove accomuna il cronista partenopeo con Mauro de Mauro, il cronista rapito dalla mafia nel 1970 e mai più ritrovato perché indagava sul caso Mattei.
E’ sereno e per nulla turbato dalle bordate che con vigore la firma del “Corriere della Sera” Aldo Grasso gli ha sparato contro – domenica scorsa – su quattro colonne nell’articolo al vetriolo “La vanità dello scrittore No Tav perso nella notte della politica”. Al mio sfruculiare, sorride. “Si, ho letto e che devo rispondere? Lo ringrazio mi fa solo pubblicità”. Vuole cominciare subito. Ha un’urgenza, un bisogno di parlare. E’ Domenico Ciruzzi, presidente della Camera penale di Napoli che lo presenta. Lo fa parlando proprio del “Cronista scalzo” davanti ad una platea affollatissima. Un bel colpo d’occhio che riconcilia l’anima. Ecco la Napoli che piace a me: una città fiera che partecipa e fa cultura. Erri De Luca sfiora per un attimo la Mehari di Giancarlo Siani. E’ solo un contatto casuale. Un appoggiarsi. Un sostenersi. Un sostenere.
Mentre sulle pareti scorrono gli articoli e le immagini dell’installazione artistica curata dall’architetto Antonella Palmieri comincia a parlare. “Ho conosciuto Giancarlo nell’ 80/81 all’epoca tornavo da Torino ero stato in fabbrica fino all’autunno dell’Ottanta poi quella fabbrica si liberò di circa 20mila operai tutti insieme, quindi quei 20mila operai tra cui c’ero anch’io organizzammo un blocco che duro’ 36 giorni e 36 notti davanti a quella città dalle cento porte che era la fabbrica Fiat Mirafiori di Torino e dopo quella espulsione forzata venni a Napoli.
Nel frattempo era capitato un terremoto e allora mi arruolai come manovale in un cantiere della ricostruzione. Dopo il lavoro facevo un po’ di cronaca per il giornale “Lotta Continua“, mi trovavo a portare le copie da spedire alla Posta centrale di Napoli, c’era una sala per la stampa e li ho incontrato Giancarlo. E così ci siamo fatti simpatia. Era più giovane e non aveva passato quello che mi era successo a me. Dodici anni di militanza rivoluzionaria, il movimento operaio insomma mi vedeva come un fratello maggiore. La nostra simpatia veniva dal fatto che cercavamo di raccontare quello che si vedeva dal piano terra, direttamente sul posto.
Il giornalismo italiano è stato anche bello. La nostra storia era di un giornalismo d’inchiesta. Ci si buttava a cercare. Di quel giornalismo d’inchiesta ora è rimasto solo qualche residuo nelle inchieste di Report della Gabanelli. Voglio dire esisteva un giornalismo italiano diffuso che faceva questo servizio e lo faceva con passione, con entusiasmo e competenza. Sapeva guardare. Il giornalista arrivava su di un posto generalmente il più curioso del giornale, e riusciva a vedere cose che neppure gli inquirenti vedevano.
Ascoltava i testimoni prima delle forze dell’ordine. Raccoglieva particolari. Non lasciava nulla in giro. Giancarlo voleva imparare, aveva la passione per farlo, la curiosità e un coraggio fisico spontaneo, naturale. Un coraggio speciale. Era un coraggio che non si appoggiava a nessun altro intorno, si appoggiava su se stesso sulle sue convinzioni, sulla sua andatura, curiosità, sorriso. Era simpatico e così sono andato in giro spesso a scarpinare in Vespa con lui. Aveva una Vespa, non questa qua (La Mehari nda) non ho mai saputo che l’avesse. Quel giornalismo non c’è più. Oggi c’è un giornalismo completamente appiattito sulle notizie che forniscono gli uffici, i ministeri, i poteri costituiti. Faccio un esempio qualunque. Mi sono occupato per amicizia e fraternità da circa 8 anni di ciò che accade in Val di Susa. Una popolazione civile che a maggioranza si è opposta a quest’opera, quel buco, quella galleria. Tanto la ferrovia, non si farà. Semplicemente perché dall’altra parte siccome si deve costruire una galleria che collega due Stati bisogna che ci sia qualcuno che buchi dall’altra parte.
Il presidente della Repubblica francese ha deciso che non è un’opera importante, non serve. Per non dire che non si farà ha detto che addirittura rimanderanno l’apertura del cantiere al 2030. Capite quell’opera non si farà. I nostri poteri costituiti però continuano a scavare in obbedienza al fatto che il risultato finale non conta.
Conta che gran parte delle nostre opere pubbliche non servono a niente solo a lucrare sul lavoro fatto e sul lavoro le cui spese aumentano, aumentavano di volta in volta. Questa è un’impresa stimata in diversi miliardi ma raggiungerà come sua quota potenziale solo 300 milioni. Dunque tutte queste notizie mi sembrano abbastanza consistenti. E’ chiaro che un potere politico non gliene frega niente, lucra su quel buco a tutti i costi anche se quel buco non sbuca da nessuna parte.
Dico un’informazione che sia degna di questo nome, non esiste, non la trovate scritta da nessuna parte. E’ un’informazione peggio di quella a seguito delle truppe anzi qui siamo di fronte all’ufficio stampa delle truppe. Rispetto ai tempi di Giancarlo ci troviamo di fronte a una situazione di accesso all’informazione profondamente deformata e mutilata. Io cerco di essere all’altezza delle parole che pronuncio con il mio comportamento e con la mia vita. E’ quello che faceva anche quel ragazzo che ho conosciuto e che avrei incontrato sicuramente un sacco di altre volte nei posti giusti della mia vita dove sono stato. Giancarlo l’avrei incontrato sicuramente durante la guerra in Bosnia, l’avrei incontrato nei posti dove ho messo le mie quattro ossa a sbarramento di quelle che mi sembrano delle ingiustizie come verso gli attivisti della No Tav”.