E’ vero, il femminicidio meritava la corsia preferenziale per una rapida conversione in legge del decreto voluto dal governo Letta, ma è anche vero che su quella corsia preferenziale, alla fine ci sono saliti in molti. Troppi. Le opposizioni, come il M5S e Sel, avevano infatti contestato già alla Camera che alla maggiore tutela e prevenzione delle donne fossero stati associate anche altre disposizioni, ugualmente urgenti per carità, ma che nulla hanno a che fare con il tema principale della legge. Il disegno di legge sul femminicidio, insomma, si è trasformato in un ‘omnibus‘, tanto che accanto al ‘braccialetto elettronico‘ per gli stalker recidivi ci si trova il nuovo ‘pacchetto sicurezza’ con misure per i cantieri della Tav, per la protezione civile e i vigili del fuoco. E, soprattutto, la ‘salvezza’ delle Province.
Insomma, dall’articolo 1 all’articolo 10 della nuova legge c’è tutto quello che serve contro il femminicidio, ma il bello viene dall’articolo 11, con le nuove norme sulla sicurezza ribattezzate “No Tav” da Sel e M5s, con i militari che potranno essere utilizzati anche per servizi di vigilanza a “siti e obiettivi sensibili” come il cantiere dell’Alta velocità ferroviaria a Chiomonte. E ancora, di seguito, ecco le disposizioni finanziarie per l’accelerazione del Programma operativo nazionale (Pon) sulla sicurezza nelle regioni del Mezzogiorno, il comparto sicurezza e difesa e la chiusura dell’emergenza nord Africa. Non finisce qui: ecco, all’articolo 15, l’aumento delle pene per le frodi informatiche “se commesse con sostituzione d’identità digitale”, quindi “nuove norme sulla Protezione civile” i cui interventi potranno essere più tempestivi in caso di catastrofi naturali senza più i controlli preventivi della Corte dei conti sulle ordinanze per le emergenze.
Dello stesso comparto anche le “disposizioni per il potenziamento del Corpo nazionale dei vigili del fuoco” e gli “interventi a favore della montagna per la valorizzazione e la salvaguardia dell’ambiente e per la promozione dell’uso delle energie alternative”. Il bello, però, arriva in fondo. Si ‘salvano’ le Province: è stato infatti eliminato l’articolo 12 dell’originario disegno di legge del governo sullo scioglimento delle amministrazioni provinciali e la nomina dei commissari straordinari per ovviare alla sentenza della Corte costituzionale del luglio scorso che aveva bocciato il ‘taglio’ delle Province stabilite per decreto dal governo Monti con il salva-Italia. Ma tutto questo cosa ha a che fare con il femminicidio? Nulla. E teoricamente un decreto così disomogeneo poteva essere bocciato, all’atto della firma, anche dal presidente della Repubblica. Solo che, come accade molto spesso in Parlamento, quando c’è qualcosa di davvero urgente da approvare e i tempi di discussione tra le due Camere decreterebbero la morte dell’iniziativa per “decadimento temporale”, ecco che si prende in corsa la prima “autostrada parlamentare” disponibile.
Ovvero si inzuppano tutte le urgenze dentro il primo decreto a cui è stata concessa la “preferenziale” e i tempi contingentati. Nulla da stupirsi, dunque, se anche il femminicidio ha subìto la stessa sorte, ma così si comprende anche perché, alla fine, la legge è passata al Senato con soli 143 voti favorevoli, insomma non proprio un successo. Il perché lo spiega bene Erika Stefani, capogruppo della Lega in commissione Giustizia a Palazzo Madama: “Noi non abbiamo partecipato al voto per non cedere al ricatto che questo provvedimento, di fatto, rappresenta; come potremmo guardare con favore a un provvedimento che include tutta una serie di tematiche che nulla hanno a che fare con il femminicidio? Pensiamo solo all’articolo 4, che prevede la concessione di nuovi permessi di soggiorno. Noi, come noto, siamo contrari ad ogni forma di violenza e di questa norma condividiamo l’obiettivo ma non gli strumenti”. Comunque, il decreto sul femminicidio scadeva martedì prossimo, di qui la fretta di approvarlo senza consentire neppure una discussione congrua al Senato. Succede sempre più spesso. Succederà ancora.