Con quei soldi si apre a stento un negozio di kebab. Non Jean Claude Mbede Fouda. Ha usato i 15mila euro del Fondo europeo per i rifugiati per aprire una web tv, on line dal 31 luglio. “Per ora siamo solo volontari, ma diventeremo grandi in fretta”, racconta. Il 18 ottobre, al Centro congressi Cariplo di via Romagnosi, a Milano, All tv si presenta. Il parterre dimostra le ambizioni del gruppo. Ci saranno il ministro dell’Integrazione Cécile Kyenge, il console generale degli Stati Uniti Kyle R. Scott e quello sudafricano, Saul Kgmotso Molobi. Per parlare di integrazione e “cittadinanza comune”, quella che non ammette distinzioni. Presenti anche personaggi importanti del mondo del volontariato e delle fondazioni non profit. E poi i volti dello sport come il trequartista dell’Inter Gaby Mudingayi e la campionessa olimpica di pallavolo Taismary Aguero. Per chiudere, il 18 ottobre ci sarà un tavolo sul ruolo dei media per costruire la cittadinanza comune e l’integrazione a cui partecipa anche il direttore de ilfattoquotidiano.it Peter Gomez. Tutti insieme per dimostrare che l’integrazione si costruisce solo scavalcando le divisioni, raccontando con un unico mezzo d’informazione vecchi e nuovi italiani, che siano rifugiati, irregolari, europei o extracomunitari.
Quando cinque anni fa è atterrato in Italia, in aereo, con un visto, Jean Claude Mbede Fouda è finito in un Cie. Colpa della legge Bossi-Fini, dice lui: dovevano comunque procedere a una verifica della sua identità. Ne è uscito sei mesi dopo e da allora ha cominciato a cercare un lavoro. “Avrò lavorato solo un anno e mezzo, non mi prendevano da nessuna parte”, ricorda. Avrebbe voluto proseguire a fare il giornalista, ma in ogni redazione gli hanno chiuso la porta in faccia: poco preparato, il titolo in Italia non vale per diventare giornalisti professionisti. “Ho iniziato una battaglia durata tre anni e alla fine sono diventato il primo giornalista professionista rifugiato politico. Trentasette anni, una vita in redazione, Mbede Fouda lascia il Camerun nel 2007 per un’inchiesta che svela gli scandali sessuali che riguardano alcuni dei più importanti uomini politici del Paese: “Quaranta ministri – spiega – sono ancora in carcere”.
C’è un incontro che in quegli anni gli cambia la vita. Quello con l’ex ministro della Giustizia Claudio Martelli, oggi presidente di Opera onlus. Martelli aveva da poco fondato Look out Tv, uno dei tanti progetti editoriali destinati a stranieri, che in poco tempo ha dovuto chiudere i battenti. Ma i rapporti tra i due restano e Mbede Fouda inizia ad essere riconosciuto come giornalista. È lì che comincia a risalire la china fino a riuscire a trovare i mezzi per ricominciare a fare il suo mestiere. Ad All tv parte con una redazione di 12 giornalisti, di cui quattro italiani e gli altri originari di tutti i continenti. Mbeda Foda non vuole però restare confinato al web, sta già trattando con i canali televisivi italiani per poter andare in onda con un programma settimanale di produzione All Tv. “Noi esistiamo – dice – proprio perché i media italiani finora non sono stati capaci di raccontarci”. La sfida ora è trasformare il sogno di un canale dei nuovi italiani, in realtà.