La spaccatura si manifesta in pubblico, sul palco di piazza San Giovanni dove Cobas e Usb concludono la prima parte della due giorni di lotta a Roma. Parla Piero Bernocchi, il segretario generale dei Cobas. Si lancia in raffinate analisi economiche: “La Germania è più forte dell’Italia perché i nostri capitalisti sono delle merde”. Poi pensa al corteo del giorno dopo e fa la voce grossa, ma per nascondere obiettivi “moderati”: “Domani vogliamo arrivare a un ministero per bloccare gli sfratti”. Applausi poco convinti, perché l’estremista moderato Bernocchi viene smentito subito dopo. Sul palco sale Paolo dei blocchi precari metropolitani: “Domani (oggi per chi legge, ndr), bloccheremo la città. Domani chiuderemo Porta Pia, i ministeri dell’Economia e delle Infrastrutture e la Cassa depositi e prestiti. Saremo in tanti, stanno arrivando almeno 60 pullman. Domani resisteremo e se proveranno a fermarci ci difenderemo. Non si torna a casa, altro che trattativa per bloccare qualche sfratto”. E la tensione sale. In mattinata vengono fermati cinque black bloc francesi tra i 20 e i 40 anni, tutti con precedenti. “Professionisti del casino”, li definiscono alla Digos, che si aggiravano per il centro della città nei pressi di uno degli obiettivi sensibili del corteo di oggi. “Erano lì come se stessero facendo un sopralluogo”, spiega un agente della Digos.
Non avevano cellulari addosso, forse per non farsi intercettare. Un gruppo di anarchici, invece, è stato individuato a qualche chilometro del corteo e inseguito dagli agenti. Erano una decina e sono scappati al Pigneto, un quartiere popolare di Roma, non lontano da San Giovanni, dove hanno dato vita a tafferugli con la polizia all’interno del mercato rionale. Infine, un furgone con mazze, biglie di acciaio, un martello per le demolizioni, è stato individuato e sequestrato in una zona del centro. “Inquilinato resistente”, No Tav, precari, anche oggi scende in piazza la disperazione sociale . Ieri, nel corteo che da piazza della Repubblica si è snodato fino a piazza San Giovanni, c’erano decine di migliaia di persone. Cinquantamila per gli organizzatori, meno per la Questura, comunque tanti. C’era anche una nutrita delegazione di Vigili del fuoco. “Donne e precarie”, dice Annalisa che indossa la divisa del corpo. “Siamo quelli che intervengono nei terremoti, salviamo le persone e ci danno quattro soldi al mese”, dice un pompiere. Un altro: “Ma lo sai che un subacqueo di quelli che hanno ripescato i morti dal mare di Lampedusa guadagna appena 1.500 euro?”. E poi insegnanti precari che lottano per la loro stabilità, “ma anche per salvare la scuola”. Lavoratori del commercio con gli striscioni che portano impresso il logo dell’ipermercato dove lavorano. Ce ne sono tanti delle Coop. “I lavoratori Coop per il salario, la dignità e la democrazia”. “Dovevano essere società cooperative – dice Maria Rosa, cassiera precaria in un ipermercato toscano – e invece sono capitalisti, ci sfruttano esattamente come gli altri. Eppure la Coop siamo noi”.
Ci sono i pupazzi con la faccia di Marchionne, con i denti di vampiro e Berlusconi con la divisa da detenuto. Ma osservando striscioni e cartelli, sentendo slogan e ascoltando le storie di chi è in piazza, il corteo offre una panoramica drammatica della disperazione italiana. Il lavoro che non c’è, soprattutto, e che quando c’è è precario, sfruttamento senza regole, ricatto. Un quadro delle industrie e del-l’economia da brivido. Alitalia, Telecom, e poi i servizi privatizzati, il pubblico impiego (tanti presenti in piazza). Gli immigrati con un cartello che dice tanto: “Scusate se non siamo affogati”. Tutto va come deve andare, senza disordini, con un concerto finale a piazza San Giovanni, suonano la Banda Bassotti e i 99 Posse, interviene Ascanio Celestini, i balli e le tende montate per passare la notte in attesa del corteo di oggi. Piero Bernocchi è soddisfatto: “Siamo oltre 50 mila”, dice a ogni microfono che gli passa sotto il naso, ma non riesce a nascondere le preoccupazioni per la giornata di oggi. Dal palco ha parlato della manifestazione del 15 ottobre 2011, che, proprio a San Giovanni, finì con durissimi scontri con la polizia. “Abbiamo messo insieme i movimenti più diversi con il sindacalismo di base, ci siamo ripresi questa piazza. Siamo uniti e siamo tanti”. Ma la preoccupazione per il corteo di oggi cresce. Anche i movimenti No Tav si dissociano: “Non è la nostra manifestazione – dicono alcuni esponenti dalla Valsusa – visto che esiste il rischio concreto di incidenti per la presenza di provocatori e infiltrati. Non vogliamo finire in una trappola”. Le prime 24 ore delle 48 giudicate “a più alto rischio dell’anno”, finiscono nel prato di piazza San Giovanni tra birre e concerti, discussioni interminabili su Bce, Fondo monetario e la perfida Germania. Si canta e si balla fino a notte fonda. Roma spera di non ballare oggi, tra ministeri assaltati, vetrine sfasciate, lacrimogeni e botte.
Da Il Fatto Quotidiano del 19 ottobre 2013