Prima di avere una diagnosi corretta devono aspettare in media dieci anni, peregrinare ed essere rimpallate da un medico all’altro, sentirsi dire che i loro dolori sono solo “psichici”, rinunciare a fare sport e rimodulare tutta la loro giornata, perché a volte si ha la forza di fare una cosa sola: è questa la vita che si trovano a vivere le tante donne e ragazze affette da endometriosi, come emerge dai primi dati della ricerca effettuata dall’associazione endometriosi Friuli Venezia Giulia, presentata il 19 ottobre a una tavola rotonda a Udine.
L’endometriosi è una malattia cronica (in cui del tessuto simile a quello endometriale che riveste la parete interna dell’utero, viene a trovarsi in sedi anomale, come ovaie, tube, legamenti utero-sacrali, vescica, retto e qualunque organo del corpo) su cui c’è ancora molta ignoranza e disinformazione, a partire dai numeri. In Italia infatti si stima che siano tre milioni le donne affette da questa patologia, ma cifre precise ancora non si hanno dal momento che non esiste un registro. Qualcosa però sta cambiando, anche grazie alla legge n.18/2012 sull’endometriosi, la prima approvata in Friuli e a livello nazionale, che istituisce dal 2014 un osservatorio e registro regionale, e prevede momenti di formazione per i medici. “Dalla nostra indagine, condotta con questionari tra i ragazzi delle scuole superiori – spiega Sonia Manente, presidente dell’associazione friulana – emergono dei primi dati, che ci dicono che le donne hanno una diagnosi dopo 10 anni, che ritengono la malattia invalidante e che molte, pur avendo dolori mestruali molto forti, non vanno dal medico perché pensano siano ‘cose’ di donne”.
Eppure, a livello europeo, il 70% delle ragazze, che ha dolori mestruali severi, può avere l’endometriosi. E per capire quanto sia invalidante, basta farsi raccontare la storia medica da una qualsiasi di loro. Come Mariarca Mosca, membro dell’associazione ‘Arianne’ onlus, 36 anni, a cui la malattia si è manifestata dopo la seconda gravidanza, anche se ha dovuto aspettare quattro anni per avere una diagnosi. “Mi dicevano che non avevo nulla – ricorda – che dovevo andare dallo psicologo, e che i dolori che avevo me li procuravo io. Sono dovuta andare da tanti medici diversi, finché non ho trovato quello che ha capito il mio problema, anche se ormai la malattia intanto era progredita a uno stadio molto avanzato”. Mariarca ha dovuto subire tre interventi di endometriosi, e alla fine l’asportazione delle tube e delle ovaie, che l’hanno portata alla menopausa. E’ stata operata anche per un tumore alla tiroide e avendo ereditato la malattia da sua madre, teme che la stessa sorte possa toccare alle sue due figlie.
C’è chi invece, come Teresa Casillo, 35 anni, coordinatrice per la Campania di ‘Arianne’, teme che il sogno di diventare madre non potrà mai realizzarsi. “Mi hanno dovuto togliere una tuba – racconta – Ho problemi alla tiroide, al seno, colesterolo alto, ipofertilità, ovaie che praticamente non funzionano e dolore cronico. Da quando ho avuto il primo ciclo a 8 anni, non c’è stato giorno in cui non abbia avuto dolore”. Eppure anche lei ha dovuto aspettare 10 anni per avere una diagnosi, cambiato nove ginecologi e subito cinque interventi. “Chi dice che questa non è una patologia invalidante – continua – o è solo ginecologica, non sa di che parla. Io lavoro come insegnante precaria. Ma se devo andare al lavoro, poi non ho la forza per fare nessun’altra cosa nella giornata”.
E proprio sul fronte dell’invalidità si sta consumando una lunga battaglia tra le associazioni e lo Stato. Al momento infatti l’endometriosi non è riconosciuta come patologia ai fini dell’invalidità civile. Nel 2012 sembrava che finalmente fosse stata inserita nelle tabelle Inps per ottenere punti per l’invalidità civile, ma il decreto che lo prevedeva non è mai stato approvato, né firmato dal ministro della Salute. Ora è all’esame dell’ufficio legislativo del ministero della Salute per un approfondimento tecnico. “Basterebbe solo la firma del ministro Beatrice Lorenzin sul decreto, perché l’endometriosi fosse considerata nel calcolo dei punti ai fini dell’invalidità civile – spiega Casillo – Le ho inviato una lettera, come centinaia di altre pazienti, per sollecitarla su tale questione, cercando di farle capire qual è la nostra realtà. Ma finora non abbiamo ricevuto alcuna risposta”. L’inserimento nelle tabelle Inps, comunque, è una misura insufficiente secondo le associazioni. “L’endometriosi dovrebbe essere una causa a sé di invalidità civile – aggiunge Mariarca Mosca – perché così come previsto dal decreto dà al massimo 40 punti, insufficienti per avere la dichiarazione di invalidità e anche per accedere al collocamento mirato”.
L’altro fronte su cui stanno lavorando le associazioni è quello dei registri regionali. Dopo la legge del Friuli Venezia Giulia, l’Associazione italiana endometriosi (Aie) ha lanciato lo scorso giugno l’iniziativa “Adotta subito una buona legge (quella del Friuli, ndr), non sarai il primo, ma potresti fare meglio e anche del bene”. “Vogliamo promuovere l’istituzione di registri regionali e di un osservatorio sulla patologia perché la diagnosi arrivi prima – spiega Jacqueline Veit, presidente dell’Aie – Se almeno cinque governatori li istituissero, l’estensione scatterebbe in automatico a livello nazionale”.