Il Senato ha approvato il ddl costituzionale che istituisce il Comitato parlamentare per le riforme costituzionali. Ma sul provvedimento fortemente voluto dal governo delle larghe intese e dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano la maggioranza non ha votato compatta. Hanno votato sì in 218 senatori, superando così per solo 4 voti e anche grazie alla Lega il quorum dei due terzi che, se venisse superato anche alla Camera, darà la possibilità di evitare il referendum confermativo per le leggi di riforma costituzionale. Sulla carta (e senza contare il gruppo Misto, in cui siedono anche i senatori a vita) sommando Pdl, Pd, Sc, Gal e Autonomie, la maggioranza avrebbe dovuto avere 239 voti. Ne sono mancati così 19. Molte le defezioni nel Pdl, tra cui quella di Francesco Nitto Palma, senatore campano presidente della commissione Giustizia.
Nel Pdl scontro tra ‘falchi’ e ‘colombe’ – La fronda all’interno del Pdl sul ddl costituzionale ha coinvolto 11 senatori, che si sono astenuti al momento del voto. L’astensione al Senato vale come un voto contrario. Gli 11 sono Maria Elisabetta Alberti Casellati, Vincenzo D’Anna, Domenico De Siano, Ciro Falanga, Pietro Iurlaro, Pietro Langella, Eva Longo, Antonio Milo, Augusto Minzolini, Francesco Nitto Palma e Domenico Scilipoti. Di questi solo Nitto Palma, Minzolini e Falanga hanno annunciato in aula la loro astensione, in disaccordo col fatto che il ddl non affronta il tema della riforma della giustizia. Altri 12 senatori del Pdl, compreso Silvio Berlusconi, non erano invece presenti in aula.
L’esito della votazione ha scatenato la reazione dei senatori del Pdl filo-governativi che hanno accusato i ‘falchi’ del partito di aver teso una trappola all’esecutivo delle larghe intese. Infuriato, secondo alcune ricostruzioni, il capogruppo Renato Schifani, che avrebbe incolpato i “falchi” di avere teso “un agguato vero e proprio” a sorpresa, senza neanche avvertire i vertici del partito. Se il quorum non fosse stato raggiunto, infatti, il ministro per le Riforme Gaetano Quagliariello si sarebbe andato a dimettere “un minuto dopo”, mettendo così a repentaglio la vita del governo. Nel Pdl, insomma, è guerra aperta e c’è chi chiede con forza di accelerare la nascita dei nuovi gruppi. A far andare Schifani su tutte le furie sarebbero state soprattutto le assenze di Sandro Bondi e della sua compagna Repetti, di Romani, Matteoli e Ghedini. Ma sembra abbia fatto discutere anche la presenza in Tv di Alessandra Mussolini durante le votazioni e l’uscita, all’ultimo momento dall’Aula, di Cinzia Bonfrisco. E non è vero, si assicura tra le “colombe”, che alla fine abbiano deciso di salvare tutto facendo votare tre persone. Il fatto “è che per fortuna hanno sbagliato a fare i conti”. Ma dall’uffico stampa del Pdl al Senato tale ricostruzione non viene confermata: ”Il presidente Schifani smentisce categoricamente la sua presunta irritazione sulle assenze di oggi in Aula”.
“Qualcuno ha tentato di far cadere il governo – ha accusato subito dopo la votazione Roberto Formigoni -. Ma il tentativo è fallito. Basta leggere l’elenco dei senatori di maggioranza che si sono astenuti nel voto per l’istituzione del comitato per le riforme, o che pure essendo presenti in aula non hanno votato. Soprattutto all’interno del Pdl è necessario un confronto serio, onesto e definitivo”. Pronta la replica del compagno di partito Nitto Palma: “Formigoni cerca di spiegare le mie idee e mi addebita la volontà di far cadere il governo. Nulla di più sbagliato. Se questo fosse stato l’intendimento, sarebbe stato sufficiente parlare con i senatori pugliesi. Su una cosa Formigoni ha ragione, e cioè che all’interno del Pdl sia necessario un confronto serio e onesto, ma non necessariamente definitivo”.
Lega vota sì, contrari M5S e Sel – Nel Pd si è astenuto il senatore Felice Casson, in dissenso col suo gruppo, mentre Mineo, Tocci, Amati e Turano non hanno partecipato al voto. Il quorum dei due terzi è stato raggiunto anche grazie al sì della Lega. Hanno votato invece contro M5S e Sel. Quella di oggi è la seconda deliberazione del Senato. Il via libera definitivo spetta ora alla Camera, che ha già votato il 10 settembre.
La Lega ha rivendicato il proprio voto a favore delle riforme: “Noi abbiamo salvato le riforme, non il governo Letta – ha dichiarato il capogruppo Massimo Bitonci -. Il nostro voto è coerente con quanto abbiamo sostenuto in questi anni, ovvero la necessità di realizzarle senza indugio alla faccia di quei corvi che anche oggi avrebbero voluto affossare il nostro progetto di revisione di questo Stato obsoleto. Il senato federale, il taglio dei parlamentari, la riforma elettorale sono nostre battaglie che il centrodestra e centrosinistra hanno già affossato nel 2006 con il referendum”.
Duro il M5S: “Pd e Pdl riescono a violentare l’articolo 138 della Costituzione, la valvola di sicurezza della nostra Carta – scrivono i senatori M5S in una nota -. Solo 5 senatori Pd hanno provato a contrastare il raggiungimento dei 2/3 di voti. Paradossalmente sono stati di più i senatori del Pdl ad astenersi (11). In questo modo se a dicembre alla Camera lo stesso provvedimento sarà approvato con la maggioranza di 2/3 non verrà obbligatoriamente indetto il referendum confermativo. Se Pd e Pdl non hanno paura dei cittadini e sono così sicuri delle loro azioni perché non indicono un referendum sulla deroga all’articolo 138?”.
Al momento del voto i senatori di Sinistra Ecologia Libertà hanno indossato per protesta il fazzoletto rosso dei partigiani. Prima della votazione finale avevano consegnato al ministro Quagliariello una voluminosa copia della Costituzione e degli atti dei lavori dell’Assemblea Costituente.”E’ uno strappo alla Costituzione che aggrava il nostro giudizio sulla maggioranza a il governo – commenta Nichi Vendola -. Manomettere la Costituzione, con questo governo e questa maggioranza, è un gioco d’azzardo”.
Il progetto di riforma costituzionale – Il voto di oggi è arrivato nonostante le proteste di molti cittadini e costituzionalisti che il 12 ottobre sono scesi in piazza a Roma contro la riforma della Costituzione ideata dalle larghe intese. Il ddl costituzionale 813-b, una volta approvato anche alla Camera per la seconda volta, affiderà a un comitato di 42 parlamentari (20 senatori e 20 deputati, più i presidenti delle commissioni Affari costituzionali) il compito di riscrivere i titoli I, II, III e V della seconda parte della Costituzione, riguardanti Parlamento, presidente della Repubblica, governo, regioni, province e comuni. Di fatto, metà del testo costituzionale. Per bruciare i tempi, il disegno di legge stravolge di fatto anche l’articolo 138 della Carta, dimezzando da tre mesi a 45 giorni l’intervallo tra le due letture con cui le Camere approveranno la futura legge di riforma.
“NON VOGLIAMO LA RIFORMA DELLA P2″: FIRMA L’APPELLO DEL FATTO QUOTIDIANO