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Stupro, la morale che lo giustifica

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Succede che la cronaca riporta la notizia di uno stupro e l’accusato sia straniero. Nessun dubbio. Nessuna attenuante. Nessun “victim blaming” ai danni della donna che denuncia. Processo già bell’e fatto e condanna mediatica conclusa. Foto del mostro in prima pagina, titoli che pare d’essere nel ventennio. ‘Sti neri sono tutti stupratori e dunque affondarli nel Mediterraneo sarebbe quasi antiviolenza (sulle donne) preventiva.

E questo è solo uno dei tanti modi d’uso della questione della violenza di genere per legittimare pensieri e provvedimenti autoritari.

Poi arriva la notizia che a essere accusati per uno stupro di gruppo, sono alcuni ragazzi, italiani, di buona famiglia, come se ancora si pensasse che le teorie di Lombroso abbiano qualche valenza scientifica, e allora su vari blog e testate giornalistiche si fa a gara a rintracciare l’origine del male.

Qui la motivazione non è attribuibile alla “razza”, termine che di per sé non vuol dire proprio niente, e – mumble mumble – quale altra spiegazione potrà mai esserci?

Ovvio, maternaliste e paternalisti sono tutti d’accordo: è la degenerazione dei costumi. Le ragazzette che vanno in minigonna, bevono, hanno le tette e osano anche respirare. Queste fanciulle che non hanno rispetto di loro stesse e che non considerano il proprio corpo come un tempio, e questa faccenda del tempio rimanda a un immaginario un po’ fetish/misticheggiante dove evidentemente c’è chi si eccita soltanto se immagina donna/madonna come un altare al cui cospetto inginocchiarsi. E pregare. E adorare. E basta.

Né sante né puttane, è stato urlato al mondo. Perché liberare la parte che di noi è umana, perfettibile e sessuata non è di certo un vezzo ma è l’esigenza chiara di chi s’è stufata di essere santificata o stigmatizzata.

Perché in entrambi i casi parliamo di trappole culturali non da poco. Se ti dicono “santa” dopo due giorni sarai madre, moglie, e in quanto tale dovrai essere orgogliosa di svolgere ruoli di cura. Se ti dicono “puttana” negano la tua sessualità, la tua libera scelta, ti sei sottratta alla tutela di qualcuno, non appartieni e diventi oggetto di disprezzo.

Bisogna dirlo chiaramente: non c’è nessun valore degenerato innanzitutto. C’erano teste di carciofo prima e continuano a esserci adesso. Non è la libertà delle ragazze che è causa dello stupro quanto piuttosto la mentalità di chi quella libertà non sa accettarla e insiste nel pretendere che la sessualità delle donne non sia mai espressione di una soggettività consapevole, consensuale e autodeterminata.

Il corpo delle ragazze non è né un tempio e neppure una discarica, e avere rispetto di sé significa, ad esempio, riuscire a reagire con un sano “vaffanculo” quando una persona adulta ti impone una morale che fondamentalmente ti limita e colpevolizza.

L’antifona è sempre stata chiara: se esci mezza nuda, ti diverti, fai sesso e perfino godi, allora sono fatti tuoi.

E se una ragazza non subisce, non tace, esige di fare sesso solo quando ne ha veramente voglia, vuole essere considerata soggetto invece che un oggetto, allora, in questo caso: sono fatti di chi?

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