È a una ragazza di 19 anni che ho dedicato il mio personale 2 Novembre. È sepolta in una fosse comune, nel cimitero di Mizzana, nella periferia est di Ferrara. Anzi, solo i suoi resti vi sono sepolti. Lei era Paula Burci, torturata e bruciata viva a 19 anni. In quella fossa non c’è una lapide con il suo nome. Solo due cifre: fila 00, numero 102.

Sono le uniche cose che rimangono di una ragazzina arrivata in questa città dopo aver percorso oltre mille chilometri. Paula era nata a Segarcea, cittadina di 8.000 anime a circa 25 chilometri da Craiova, Romania. In Italia era convinta che avrebbe trovato un lavoro. Ai genitori, per tranquillizzarli, aveva detto che l’avrebbe accompagnata un cugino. Era invece il fratello di Gianina Pistroescu, la donna che – una volta a Ferrara – la avvierà alla prostituzione.

Siamo a gennaio 2008. Il giorno prima di essere iniziata alla strada la portano dal parrucchiere. Non c’era mai stata. “Le testimonianze ci dicono che per lei fu uno dei giorni più belli della sua vita” racconterà l’allora dirigente della squadra mobile, Pietro Scroccarello.

Siamo a metà gennaio. La sua vita durerà solo un altro mese. La troveranno, per caso, il 21 marzo, dei ragazzi a passeggio sulla golena del Po. Il corpo era completamente carbonizzato. Dal rogo si era salvata solo una mano.

L’autopsia rileva lesioni al capo e fendenti al petto. Sembra il delitto perfetto. Nessun movente. Nessun documento. Nemmeno un volto. L’unica pista è quella della prostituzione. Si saprà che Paula era diventata in breve richiestissima dai clienti. Tra quelli c’è anche un ragazzo, un giovane ferrarese, che forse si innamora di lei. La vuole “redimere”. Si scambiano i numeri di telefono.

È la sua condanna a morte. I suoi aguzzini le controllano quotidianamente il cellulare. E quel numero probabilmente fa loro credere che la ragazza volesse scappare. L’ultima telefonata dall’utenza di Paula è registrata il 14 febbraio. Chiama proprio quel ragazzo. Ma il telefono squillerà a vuoto. Morirà il giorno dopo San Valentino.

“L’hanno massacrata”, dice a mezza voce in conferenza stampa Nicola Proto, il pm che insieme alla collega Barbara Cavallo ha seguito le indagini per la procura: “lesioni al capo e fendenti al petto. Poi lo scempio del cavadere…”.

L’indagine portò all’arresto di due persone. Sergio Benazzo, 38 anni, idraulico di Villadose di Rovigo, e la sua ex fidanzata, Gianina Pistroescu, 40 anni (già in carcere in Romania per una condanna a 5 anni per sfruttamento della prostituzione). I due sono stati condannati, in concorso con persone non ancora identificate, dell’omicidio e dell’occultamento del cadavere della diciannovenne.

Lo scorso giugno la Corte d’Appello ha confermato gli ergastoli per i due. Dei complici non si sa nulla. Solo che la perforarono con un forcone, le ruppero i denti a colpi di martello, calci e pugni. Nonostante respirasse ancora, la bruciarono viva e coprirono i resti carbonizzati con un tronco. Poi Gianina Pistroescu orinò vicino al cadavere.

Paula non troverà pace nemmeno dopo la morte. La sua salma non ha mai raggiunto Segarcea. La famiglia non era in grado di affrontare le spese delle esequie. Fu il dirigente della questura Scroccarello a interessarsi delle esequie. Contattò un sacerdote, don Domenico Bedin. Diede lui l’estrema unzione a quei resti prima che gli uomini dei servizi cimiteriali vi gettassero sopra la terra. C’erano solo loro quel giorno al cimitero di Mizzana. Davanti al numero 102 della fila 00.

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