Cultura

Pompei, altri crolli e arriva l’uomo di Patroni Griffi

In arrivo un supermanager Unicredit che è anche funzionario della Farnesina. Intanto l'Europa ha stanziato 105 milioni di euro da utilizzare entro il 2015, ma manca ancora un Direttore Generale

di Elisabetta Ambrosi

L’abbondanza di soldi europei non spesi, abbondanza di crolli. A Pompei i muri continuano a cadere – l’ultimo pochi giorni fa da un edificio in Via dell’Abbondanza, appunto – nonostante ci siano 105 milioni di fondi europei da utilizzare entro il 2015 (ma il progetto va consegnato entro fine dicembre). Per spenderli, però, serve un Direttore Generale, a tutt’oggi mancante. Perché, nonostante il decreto Valore Cultura, voluto dal ministro Massimo Bray e approvato dalla Camera in ottobre, affidi la complessa gestione di Pompei a un dipendente della Pubblica Amministrazione, la querelle tra il partito degli interni e il partito dei “manager-salva-tutto” è ancora aperta. Da un lato, c’è chi si schiera per la nomina di una figura con competenze in ambito artistico-archeologico. Dall’altro, chi grida contro i “mandarini di stato”: ultimo in ordine di tempo, Il Mattino di Napoli, di proprietà Caltagirone, che ieri, con un pezzo a firma di Antonio Galdo, ha tuonato contro “la selva oscura i cui tentacoli sono noti a chi conosce il sistema corporativo e opaco della gestione del nostro patrimonio culturale”.

PECCATO CHE i nomi dei presunti boiardi di Stato in odore di direzione generale, che secondo il quotidiano avrebbero avuto la benedizione di Bray, sono platealmente sbagliati. Trattasi non di Luca Maggi e Carlo Birozzi, infatti, ma di Gino Famiglietti, attuale direttore generale dei Beni culturali e paesaggistici del Molise, ex vicecapo dell’Ufficio legislativo del ministero poi dirottato in Molise, autore del codice dei Beni culturali e di una battaglia contro l’eolico selvaggio nella regione. E di Fabrizio Magani, direttore generale dell’Abruzzo che dopo quattro anni di immobilismo sta ricostruendo il patrimonio artistico dell’Aquila . Due professionalità sul campo, che forse, dopo il dejavu dei city manager – in perenne conflitto con gli archeologi – e della gestione Bertolaso (con il suo vice e allora Commissario straordinario Marcello Fiori, poi indagato per truffa e frode per i lavori di restauro degli scavi di Pompei) potrebbe valere la pena sperimentare, visto che i risultati delle gestioni precedenti sono sotto gli occhi di tutti.

Il giornale di Caltagirone allude a un braccio di ferro, smentito ieri dallo stesso Letta, tra il presidente del Consiglio e Bray, e di una forte resistenza del ministro a scegliere il super manager che salverebbe Pompei dal degrado. Ma chi potrebbe essere questo fantomatico deus ex machina? Un nome appare tra le righe del quotidiano Il Sole 24 ore: Giuseppe Scognamiglio (secondo indiscrezioni uomo vicino a Filippo Patroni Griffi), responsabile Pubblic affairs del gruppo Unicredit. Non sembrerebbe proprio essere un dipendente pubblico. E invece sì. Perché il Min. Plen. Scognamiglio è in realtà un funzionario diplomatico del ministero degli Esteri, che grazie alla legge sulla mobilità tra settore pubblico e privato fatta dal governo Berlusconi nel 2002, è stato distaccato dalla Farnesina a Unicredit nel lontano settembre 2003. Laurea in Legge, editorialista di politica estera, Consigliere Diplomatico dei ministri del Commercio Estero dal 1999 al 2001, Responsabile della politica di sostegno all’internazionalizzazione del sistema economico italiano, promotore della Fondazione della Camera di commercio italo-turca, membro del direttivo dell’Abi, di Save The Children, infine presidente della società editoriale “Europeye” (controllata al 90% da Unicredit), occhio geopolitico sull’Europa, grazie alla rivista “East”. Un curriculum invidiabile. C’è da chiedersi però che c’azzecchi con la complessa gestione del parco archeologico che conta oltre 600 persone tra dipendenti dell’area archeologica e del sito, e che richiede anche una forte attenzione agli aspetti sociali che lo legano al territorio.

IN OGNI CASO, chiunque sarà eletto dovrebbe accontentarsi di uno stipendio di soli 100mila euro, visto che, in perfetto spirito da larghe intese, in un secondo tempo è stata introdotta anche la figura del vicepresidente, e il compenso è stato diviso. In attesa della decisione, i dubbi restano molti, ma uno di sicuro è fugato: ammesso e non concesso che senza l’aiuto del privato il pubblico non riesca ad autogestirsi, difficile che Pompei abbia bisogno dell’ennesima figura calata dall’alto. E che magari sommi cariche pubbliche e private, secondo un’usanza tutta italiana. Questa sì davvero incrollabile.

Dal Fatto Quotidiano del 7 novembre 

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