Lo scorso 11 ottobre Vito Crimi, M5s, chiedeva in Aula del Senato l’introduzione del numero identificativo per gli agenti impegnati nelle azioni di pubblica sicurezza, proponendo un emendamento poi non approvato, all’articolo 10 bis del decreto Femminicidio/Sicurezza.
Crimi citava il caso di Paolo Scaroni, tifoso bresciano, picchiato dalla polizia il 24 settembre 2005 e aggiungeva che l’emendamento non andava inteso “nei confronti delle forze dell’ordine in senso punitivo o come accanimento ma, anzi, anche a loro tutela, in particolare di quelli che svolgono il loro lavoro con particolare diligenza.”
Al termine della sfida tra l’Hellas Verona e le Rondinelle, Paolo Scaroni rimaneva gravemente ferito in uno scontro tra tifosi ed agenti: “Sono stato picchiato con il manganello durante una carica e poi sono rimasto molti mesi all’ospedale, due dei quali, in coma. Le mie funzioni fisiche sono state ridotte notevolmente, e nonostante la lunga riabilitazione a cui mi sottopongo da anni con molta tenacia, non avrò molti margini di miglioramento. Questo lo so quasi con certezza: l’unica cosa funzionante come prima nel mio corpo infatti è il cervello, attivo come non mai. Dopo quattro anni non ho ancora stabilito se questa sia stata una fortuna.”
Oggi Paolo chiede con una petizione che anche in Italia i codici identificativi sulle divise delle Forze dell’Ordine vengano resi obbligatori: “Ho perso il lavoro, sebbene abbia un padre caparbio che insiste nel mandare avanti la mia ditta, sottraendo tempo e valore ai suoi impegni. Ho perso la ragazza. Ho perso il gusto del viaggiare (il più delle volte quelli che erano itinerari di piacere si sono trasformati in veri e propri calvari a causa delle mie condizioni fisiche). Ho perso soprattutto molte certezze, relative alla libertà, al rispetto, alla dignità, alla giustizia e soprattutto alla sicurezza. I poliziotti che mi hanno pestato erano tutti a volto coperto, quindi non identificabili. La sentenza del primo grado al mio processo ha portato all’assoluzione per insufficienza di prove di sette poliziotti imputati.
Eppure la Corte ha stabilito che è stato usato un manganello, che sono stati scagliati più colpi, che lo strumento era vietato dal Ministero dell’interno, che la carica della polizia non era stata autorizzata, che il lancio di lacrimogeni era esagerato per la situazione, che le lesioni potevano cagionare la morte e che le riprese dei fatti siano state manomesse. La polizia è colpevole ma il fatto che i poliziotti avessero agito a volto coperto ha portato ad un’impossibilità di stabilire chi ci fosse dietro quei passamontagna. Le responsabilità della polizia sono state accertate. Ma non ci sono colpevoli, non possono esserci.”
In Spagna, Slovenia, Repubblica Ceca, Grecia, Belgio, Svezia, Polonia, Ungheria, Regno Unito, e parzialmente in Francia e Germania esiste una qualche forma di identificabilità delle forze armate come presupposto della loro affidabilità, come d’altra parte suggerisce il “Codice europeo per l’etica della polizia” del Consiglio d’Europa.