Deloitte, colosso delle consulenze aziendali, 200mila dipendenti in 150 Paesi, è stato pizzicato mentre consigliava a multinazionali dislocate nei quattro angoli del mondo la strada migliore per investire in Africa evitando le tasse locali. Come? Attraverso veicoli societari con sede nelle isole Mauritius. A smascherare la pratica è stata Action Aid, la celebre onlus. Che, pur sottolineando la liceità della pratica, ne ha al tempo stesso denunciato l’immoralità. Nel documento Investing in Africa through Mauritius, secondo la charity, si possono trovare tutte quelle pratiche finite sotto la lente dell’Ocse con l’aggravante che a farne le spese (cioè a vedersi sottrarre gettito) siano nazioni povere come il Mozambico. Vero, in forte espansione e con maggior bisogno di liquidità e infrastrutture, ma con una povertà cronica. Il 50% della popolazione vive con circa 2 dollari al giorno e il welfare è una parola sconosciuta. Tasse e gettito sarebbero dunque i benvenuti. E un primo passo per creare un po’ di ricchezza per i cittadini.
Ilfattoquotidiano.it ha potuto visionare le slide di Deloitte e vedere che l’esempio di scavallo fiscale sviluppato riguarda il Mozambico, ma al tempo stesso lo schema a matrioska può essere replicato in numerose altre nazioni del continente. Altrettanto povere. In comune accordi internazionali poco vantaggiosi e alte tasse locali (comunque sempre la metà che in Italia). Esattamente come a Maputo dove normalmente una società straniera si trova a pagare una ritenuta d’acconto del 20% e un’imposta complessiva sul capital gain superiore al 32 per cento.
Seguendo i consigli di Deloitte avviene il miracolo. Innanzitutto si costituisce una holding nelle isole Mauritius che a sua volta diventa la controllante della società che verrà costituita a Maputo. Grazie a una serie di accordi internazionali tra i Paesi l’effetto finale è il pagamento di una ritenuta d’acconto dell’8 per cento e una tassa sul capital gain nulla. Zero. Infatti, sulla carta i profitti della holding delle Mauritius sono tassati al 15 per cento. Ma nella realtà subentra il fenomeno del tax credit internazionale e va a finire che gli utili si perdono in mezzo all’oceano Indiano. A beneficio degli azionisti.
In termini molto vaghi uno schema non troppo difforme da ciò che per anni hanno fatto l’Irlanda e alcune isole dei Caraibi a favore delle big americane dell’high tech e di internet. Soltanto che, in questo caso, Usa e Inghilterra sono insorte. Dopo aver scoperto la crisi hanno cercato il modo di recuperare gettito e di fatto hanno avviato una campagna di sensibilizzazione morale contro l’elusione internazionale. Ocse e G 20 da ormai tre anni si battono con tutte le proprie forze contro i fenomeni di elusione fiscale, tax dodging. Esattamente tutte quelle attività che permettono alle multinazionali di bypassare il fisco locale grazie a piazze offshore o, volgarmente detti, paradisi fiscali.
A dare il via, come dicevamo sopra, sono stati gli Usa, poi lo scorso maggio la City di Londra ha puntato il dito contro l’evasione fiscale e contro i paradisi per voce del ministro delle Finanze. “Verremo a prendervi ovunque”, esclama dando il via alla più grande battaglia inglese contro chi porta i capitali all’estero e chi li aiuta a farlo. A giugno, il Public accounts committee – la commissione della Camera dei Comuni – ha messo nel mirino Google. Un evento storico che da un lato dimostra quanto sia cambiato l’atteggiamento dei Paesi Occidentali e dall’altro il lungo elenco dei buchi normativi. Le multinazionali (oltre a Google, Apple, Amazon e Starbucks) si difendono sostenendo che tutto rientra nelle leggi. Ed è proprio così. Tant’è che a settembre al summit del G 20 ospitato in Russia si è discusso quasi più di questo che della Siria. “La globalizzazione non può permettere tale fenomeno”, dice Vladimir Putin nel suo discorso di benvenuto, riferendosi alle aziende che, approfittando della propria natura multinazionale, ottimizzano l’imposizione.
Insomma, il commento sulla moralità fatto da ActionAid e quello pubblico diffuso dalla Camera dei Comuni di Londra sono sulla stessa linea. Tant’è che un portavoce di Deloitte ha risposto che la pianificazione fiscale tra due Paesi (Mauritius e Mozambico) non è da considerare elusione fiscale. Ha ragione. Quanto ce l’ha Google quandosostiene di rispettare le leggi. Solo che la differenza è che inglesi e americani, Ocse e G20 si scandalizzano se riguarda l’attività delle multinazionali va a discapito dei propri conti. Se invece riguarda qualche Paese africano nulla. Dove è l’Ocse?
Lobby
Investire in Africa aggirando il fisco? Deloitte insegna come alle multinazionali
Action Aid denuncia l'immoralità della pratica suggerita dal colosso della consulenza che insegna ai clienti come risparmiare sulla pelle del Mozambico passando per le Mauritius
Deloitte, colosso delle consulenze aziendali, 200mila dipendenti in 150 Paesi, è stato pizzicato mentre consigliava a multinazionali dislocate nei quattro angoli del mondo la strada migliore per investire in Africa evitando le tasse locali. Come? Attraverso veicoli societari con sede nelle isole Mauritius. A smascherare la pratica è stata Action Aid, la celebre onlus. Che, pur sottolineando la liceità della pratica, ne ha al tempo stesso denunciato l’immoralità. Nel documento Investing in Africa through Mauritius, secondo la charity, si possono trovare tutte quelle pratiche finite sotto la lente dell’Ocse con l’aggravante che a farne le spese (cioè a vedersi sottrarre gettito) siano nazioni povere come il Mozambico. Vero, in forte espansione e con maggior bisogno di liquidità e infrastrutture, ma con una povertà cronica. Il 50% della popolazione vive con circa 2 dollari al giorno e il welfare è una parola sconosciuta. Tasse e gettito sarebbero dunque i benvenuti. E un primo passo per creare un po’ di ricchezza per i cittadini.
Ilfattoquotidiano.it ha potuto visionare le slide di Deloitte e vedere che l’esempio di scavallo fiscale sviluppato riguarda il Mozambico, ma al tempo stesso lo schema a matrioska può essere replicato in numerose altre nazioni del continente. Altrettanto povere. In comune accordi internazionali poco vantaggiosi e alte tasse locali (comunque sempre la metà che in Italia). Esattamente come a Maputo dove normalmente una società straniera si trova a pagare una ritenuta d’acconto del 20% e un’imposta complessiva sul capital gain superiore al 32 per cento.
Seguendo i consigli di Deloitte avviene il miracolo. Innanzitutto si costituisce una holding nelle isole Mauritius che a sua volta diventa la controllante della società che verrà costituita a Maputo. Grazie a una serie di accordi internazionali tra i Paesi l’effetto finale è il pagamento di una ritenuta d’acconto dell’8 per cento e una tassa sul capital gain nulla. Zero. Infatti, sulla carta i profitti della holding delle Mauritius sono tassati al 15 per cento. Ma nella realtà subentra il fenomeno del tax credit internazionale e va a finire che gli utili si perdono in mezzo all’oceano Indiano. A beneficio degli azionisti.
In termini molto vaghi uno schema non troppo difforme da ciò che per anni hanno fatto l’Irlanda e alcune isole dei Caraibi a favore delle big americane dell’high tech e di internet. Soltanto che, in questo caso, Usa e Inghilterra sono insorte. Dopo aver scoperto la crisi hanno cercato il modo di recuperare gettito e di fatto hanno avviato una campagna di sensibilizzazione morale contro l’elusione internazionale. Ocse e G 20 da ormai tre anni si battono con tutte le proprie forze contro i fenomeni di elusione fiscale, tax dodging. Esattamente tutte quelle attività che permettono alle multinazionali di bypassare il fisco locale grazie a piazze offshore o, volgarmente detti, paradisi fiscali.
A dare il via, come dicevamo sopra, sono stati gli Usa, poi lo scorso maggio la City di Londra ha puntato il dito contro l’evasione fiscale e contro i paradisi per voce del ministro delle Finanze. “Verremo a prendervi ovunque”, esclama dando il via alla più grande battaglia inglese contro chi porta i capitali all’estero e chi li aiuta a farlo. A giugno, il Public accounts committee – la commissione della Camera dei Comuni – ha messo nel mirino Google. Un evento storico che da un lato dimostra quanto sia cambiato l’atteggiamento dei Paesi Occidentali e dall’altro il lungo elenco dei buchi normativi. Le multinazionali (oltre a Google, Apple, Amazon e Starbucks) si difendono sostenendo che tutto rientra nelle leggi. Ed è proprio così. Tant’è che a settembre al summit del G 20 ospitato in Russia si è discusso quasi più di questo che della Siria. “La globalizzazione non può permettere tale fenomeno”, dice Vladimir Putin nel suo discorso di benvenuto, riferendosi alle aziende che, approfittando della propria natura multinazionale, ottimizzano l’imposizione.
Insomma, il commento sulla moralità fatto da ActionAid e quello pubblico diffuso dalla Camera dei Comuni di Londra sono sulla stessa linea. Tant’è che un portavoce di Deloitte ha risposto che la pianificazione fiscale tra due Paesi (Mauritius e Mozambico) non è da considerare elusione fiscale. Ha ragione. Quanto ce l’ha Google quandosostiene di rispettare le leggi. Solo che la differenza è che inglesi e americani, Ocse e G20 si scandalizzano se riguarda l’attività delle multinazionali va a discapito dei propri conti. Se invece riguarda qualche Paese africano nulla. Dove è l’Ocse?
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Bollette, bonus di tre mesi per famiglie e imprese contro il caro energia. Giorgetti: “Non è a debito”
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Roma, 28 feb (Adnkronos) - "Tre miliardi di euro messi con tre mesi di ritardo. Speriamo che siano sufficienti. Nel frattempo la Meloni scappa anche dalle conferenze stampa, non solo dal Parlamento. Ormai parla solo attraverso video registrati, è diventata allergica alle domande. Doveva essere una lady di ferro, è sempre più “l’omino di burro” di Pinocchio". Lo scrive Matteo Renzi sui social.
Roma, 28 feb. -(Adnkronos) - "Oggi sono state presentate attività e obiettivi, il governo non può che essere accanto. Per esempio, nella parte dei fondi Pnrr per quanto riguarda i porti verdi” la comunità portuale ha “presentato 6 progetti e hanno già ottenuto oltre 8 milioni di euro”. È quanto affermato dal vice ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Vannia Gava, all’evento ‘Sblocchiamo il futuro’ organizzato da L’AdSP veneta e la Venezia Port Community.
L’obiettivo primario dell’incontro è stato approfondire e condividere i progetti e gli investimenti che mirano a rafforzare le prospettive di sviluppo sostenibile per gli scali lagunari, ragionando anche sulle modalità più efficaci, sostenibili e tempestive per superare gli ostacoli all’orizzonte per la portualità, una grande risorsa per il Veneto, per il Nord Est e per l’Italia.
“Anche per tutta la parte di autorizzazioni ambientali - riprende il vice ministro - stiamo facendo un grosso lavoro al ministero per quanto riguarda lo snellimento per ottenere le autorizzazioni e anche una serie di decreti che possono essere utili per quanto riguarda la parte dei dragaggi”, le sue parole.
Roma, 28 feb. (Adnkronos) - "Il provvedimento sulle bollette è debole e non strutturale. Il problema rimane quello delle rinnovabili iperincentivate che vendono anche quando il loro apporto è inutile, al prezzo del gas". Così Carlo Calenda sui social.
"Una follia in particolare su idroelettrico che arricchisce le imprese del settore a spese dei cittadini. Avevamo fatto una proposta chiara ma il governo non ha avuto il coraggio di attuarla. Molto positivo invece il primo passo fatto per il ritorno al nucleare, una battaglia che Azione ha condotto con forza dalla sua nascita".
Palermo, 28 feb. (Adnkronos) - "La politica di Trump di dazi mi preoccupa. Non mi sono mai pronunciato sino adesso, ma è chiaro che parlo anche da ex presidente del Senato. Sulla politica internazionale non mi compete esprimermi, potrei dire tanto ma mi taccio. Per quanto riguarda, invece, quella economica siamo preoccupati come credo lo siano tutti coloro che hanno a cuore l'andamento dell'economia italiana". Così il presidente della Regione siciliana, Renato Schifani, a margine della cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario della Corte dei Conti.
"Le politiche protezionistiche non hanno mai risolto le tematiche economiche di un Paese, anche perché determinano controreazioni, dazi contro dazi - ha aggiunto -. Ho letto oggi sulla stampa che le quotazioni delle azioni di Trump e anche di Musk crollano e questa è una prima conseguenza. Mi auguro e sono certo che la reazione dell'Europa sarà univoca, ferma e dimostri una volta tanto di essere un'Europa anche dei popoli, non soltanto della moneta".
Roma, 28 feb. (Adnkronos) - La segretaria del Pd, Elly Schlein, risponderà domani a Repubblica sulla proposta, lanciata sul quotidiano da Michele Serra, per 'Una piazza per l'Europa'. Si apprende da fonti del Nazareno, interpellate sull'iniziativa.
Roma, 28 feb. (Adnkronos) - "Condivido e rilancio l'appello di Michele Serra su Repubblica: portiamo alta la bandiera Ue nelle piazze delle città capoluogo d'Italia, riaffermiamo con forza i valori di pace, libertà e democrazia che rappresenta, manifestiamo per la nostra Europa". Lo scrive sui social l'eurodeputato Pd, Matteo Ricci.
Roma, 28 feb. - (Adnkronos) - Il brano di Tommy Cash 'Espresso Macchiato', che rappresenterà l'Estonia all'Eurovision Song Contest, sta suscitando polemiche e perplessità, ma secondo Eddy Anselmi, autore ed esperto dell'Eurovision Song Contest, non ci sono gli estremi per escludere il brano dalla kermesse di Basilea o per chiederne la modifica. All’Adnkronos Anselmi ha minimizzato le possibili controversie legate all'uso della parola "mafioso" nel testo. "La canzone mi piace e non mi sembra offensiva", ha dichiarato. "Non più di quanto Joe Pesci fa su un certo tipo di italo-americano di Brooklyn in un film americano. Non penso che il brano prenda in giro l'Italia, ma un certo stereotipo di italiano all'estero". Anselmi paragona il linguaggio del brano al "broccolino", la varietà linguistica parlata dagli italo-americani di Brooklyn, e ai personaggi dei film interpretati da Joe Pesci. "Quel misto italiano-spagnolo con 'por favore' e 'bella' sembra uscito da un film del Padrino", osserva.
Per l'esperto, "non ci sono gli estremi né per l'esclusione né per richiedere la modifica del brano, e nemmeno per l'indignazione". Riguardo alla parola "mafioso", Anselmi afferma: "La parola mafia l’abbiamo inventata noi, ma fa parte del gergo internazionale come 'crescendo', 'bravo', 'caffè' e 'pizza'. Quando c'è la mafia russa si parla anche in inglese di 'mafia'. Purtroppo, abbiamo inventato anche una brutta parola, come gli olandesi del Sudafrica hanno inventato 'apartheid', che appartiene al gergo internazionale".
Anselmi cita anche il caso di ‘Occidentali's Karma’ di Francesco Gabbani, che conteneva riferimenti alle culture orientali, ma non suscitò polemiche. "Non ci fu nessun tipo di polemica, neanche a livello di appropriazione culturale", ricorda. L'esperto, però, esprime una riserva sul ritratto dell'Italia offerto da Gabry Ponte nel brano ‘Tutta l’Italia’ selezionato per il San Marino Song Contest, la competizione che l’8 marzo sceglierà il brano che rappresenterà il piccolo stato all’Eurovision: "Personalmente mi piace meno quel ritratto dell'Italia, che trovo greve. Se arrivasse a vincere la selezione sammarinese per cui è stato selezionato il riferimento a Craxi e alle monetine potrebbe essere modificato, in quanto potrebbe essere considerato un riferimento politico a una figura ancora controversa in Italia".
L'Eurovision da regolamento è un evento non politico e nel corso degli anni, diverse canzoni presentate al contest hanno subito modifiche o sono state ritirate a causa di riferimenti geopolitici. Eddy Anselmi cita alcuni esempi significativi. Nel 2007, la cantante ucraina Verka Serduchka dovette modificare il titolo del suo brano, inizialmente solo ‘Dancing’. Il ritornello conteneva la frase ‘Lasha Tumbai’, che, spiega Anselmi, "non vuol dire niente ma suonava come 'Russia goodbye'".
Questo provocò le proteste della Russia, che, nel contesto della prima Rivoluzione Arancione in Ucraina, fece ricorso all'Ebu. L'ente impose all'Ucraina di aggiungere ‘Lasha Tumbai’ al titolo della canzone. Nel 2015, l'Armenia presentò ‘Don't Deny’ (Non Negare) dei Genealogy, un brano che alludeva al genocidio armeno e che provocò le proteste della Turchia. Proteste accolte dall’Ebu e il titolo fu modificato in ‘Face the Shadow’.
Un altro caso recente è quello della Georgia del 2009. L'anno precedente, il paese aveva affrontato la guerra dei cinque giorni contro la Russia e le repubbliche separatiste di Ossezia del Sud e Abcasia. All'Eurovision di Mosca del 2009, la Georgia presentò ‘We Don't Wanna Put In’ di Stefane & 3G, un brano in inglese che, per i suoi presunti riferimenti a Vladimir Putin, suscitò immediate polemiche. L'Ebu chiese alla Georgia di modificare il testo o di presentare una nuova canzone. Il paese rifiutò e si ritirò dalla competizione. Senza contare che l’anno scorso la canzone di Israele che si chiamava ‘October rain’ fu modificata in ‘Hurricane’ perché il tema era considerato politicamente sensibile. "Tutti questi casi sono figli di tensioni geopolitiche", conclude Anselmi, un contesto ben diverso da quello del brano estone. (di Loredana Errico)