“In queste ore sto subendo il tentativo, bene orchestrato, di far slittare la vicenda Ilva in un processo di piazza, un processo senza prove, senza dibattimento e con una sceneggiatura già scritta. Questo processo non dà conto del fatto che per anni abbiamo combattuto in solitudine la battaglia dell’Ilva”. Nichi Vendola, governatore della Puglia, indagato per concussione nell’inchiesta “ambiente svenduto” sull’Ilva di Taranto, si difende così sul blog dell’Huffingtonpost.it dopo la pubblicazione della telefonata intercettata nella quale Vendola ride con Girolamo Archinà, ex dirigente dell’Ilva, dello “scatto felino” con il quale la longa manus dei Riva è riuscito a strappare il microfono a un giornalista che poneva domande scomode sui morti per tumore al patron Emilio Riva.
Nel suo blog il leader di Sel rivendica il suo ruolo da presidente della giunta regionale ricordando che l’obiettivo era quello di costringere l’Ilva a “venire a patti, ma non doveva morire, perché morendo avrebbe cancellato ventimila posti di lavoro”. Il Governatore sottolinea di essere stato il primo a rompere il silenzio sulla questione ambientale e sanitaria di Taranto. La giunta Vendola, in effetti, nel 2008 varò la legge regionale sulla diossina che impose limiti estremamente rigidi e bassi per le emissioni, ma il provvedimento giunse solo dopo i diversi allarmi lanciati dalle associazioni ambientaliste e la marcia dei 20mila di Altamarea. Non solo. La forma originale del provvedimento regionale prevedeva il campionamento in continuo delle emissioni. Un punto nodale per valutare la reale portata dei danni arrecati dalla fabbrica che, però, sotto la pressione dell’azienda e del Ministero dell’ambiente guidato allora da Stefania Prestigiacomo, la regione ha dovuto di fatto archiviare scegliendo un opzione meno drastica. Pur rimanendo formalmente, il campionamento non viene mai applicato e la possibilità di sanzionare l’Ilva per un eventuale superamento dei limiti è collegata alla media di almeno tre campagne di monitoraggio all’anno. Misurazioni fatte di giorno e, soprattutto, con preavviso all’azienda che avrebbe dovuto predisporre le strutture per consentire ai tecnici di Arpa Puglia di effettuare le misurazioni. Un punto che, obiettivamewnte, Vendola ha dovuto accettare per evitare lo scontro istituzionale con il ministero che minacciava di impugnare la legge davanti alla corte costituzionale e per tenere in piedi la “trattativa” col gigante e costringerlo a cedere.
Ma alla fine del 2011 quelle campagne di misurazione consentono al governatore di esultare. Al termine di quattro misurazioni, infatti, il valore medio di emissioni è inferiore a 0,1 nanogrammi al metro cubo.Vendola convoca una conferenza stampa e trionfante annuncia: “Quello che abbiamo fatto sulla diossina a Taranto non ha comparazioni in nessuna altra parte del mondo. Soltanto la malafede può impedire di vedere il dato storico”. Gli ambientalisti, però, restano scettici: misurare le emissioni (con preavviso) per dodici giorni, secondo alcuni, non è attendibile. Inoltre la quarta misurazione viene fatta a poco più di 20 giorni dalla terza. Un trionfalismo che tuttavia si deve spegnere qualche mese più tardi quando le perizie del gip Patrizia Todisco racconteranno per la prima nero su bianco il dramma ambientale e sanitario di Taranto e come le emissioni abbiano generato “malattia e morte”.