Anche l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico smorza l’entusiasmo del governo italiano, pochi giorni dopo la bocciatura della Legge di stabilità da parte della Commissione Ue. L’Ocse prevede per quest’anno un calo del Pil dell’1,9%, abbassando le stime rispetto a sei mesi fa, e avverte che nel quarto trimestre la flessione sarà dello 0,9%, smentendo il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, che negli ultimi giorni prevedeva un ritorno alla crescita nello stesso periodo.
L’economic outlook ricorda che l’Italia resta l’unico Paese del G7 ancora in recessione e che la ripresa “è ancora debole”. E le incertezze riguardano anche il 2014. L’organizzazione di Parigi ha alzato leggermente le stime sulla crescita per l’anno prossimo, dallo 0,5% allo 0,6%. Una cifra che tuttavia resta decisamente inferiore rispetto all’1,1% atteso dall’esecutivo italiano, anche se in linea con quanto annunciato dall’agenzia di rating Moody’s.
I numeri citati dall’Ocse sulla situazione economica italiana non sono migliori per quanto riguarda il debito pubblico, che si “si attesterà al 132,7% del Pil nel 2013 e crescerà ancora al 133,2% il prossimo anno”, cominciando a calare nel 2015 “solo se la stretta fiscale sarà almeno pari a quanto già programmato” dal governo, che ha annunciato un “consolidamento dei conti dello 0,5% del Pil” entro il prossimo biennio. Il capo economista dell’istituto, Carlo Padoan, definisce “una sorta di pungolo” al governo italiano l’affermazione dell’economic outlook che “per assicurare un rapido declino del debito potrebbe essere necessario un programma un po’ più ambizioso“.
E anche sul fronte del lavoro, l’Ocse segnala che in Italia “la disoccupazione è destinata a rimanere alta”, precisando che il tasso dovrebbe attestarsi al 12,1% nel 2013 e aumentare ancora al livello record del 12,4% nel 2014, per poi ripiegare al 12,1% nel 2015.
Un avvertimento riguarda infine le banche e il credit crunch. La ripresa italiana “potrebbe essere compromessa se la salute del sistema bancario limiterà il credito interropendo il normale ciclo di investimenti”, scrive l’organizzazione, precisando che “il prestito bancario ha continuato a contrarsi, in parte a causa della domanda ridotta di credito. Ciononostante, i tassi d’interesse applicati sono significativamente più elevati che in alcuni altri Paesi dell’Eurozona, cosa che suggerisce che anche la disponibilità di prestiti sia limitata, riducendo gli investimenti e forse i consumi”.
Per quanto riguarda gli istituti di credito nell’intero Vecchio Continente, invece, “numerose banche sono ancora insufficientemente capitalizzate, cosa che le rende una zavorra per la crescita e anche una potenziale fonte di circoli viziosi tra banche e conti pubblici”, avverte il report, auspicando che il percorso verso l’unione bancaria sia più rapido di quanto finora previsto e che gli stress test della Banca centrale europea siano “visti come totalmente credibili” dai mercati. Perché “un fallimento nel ripulire i bilanci e rafforzare il capitale delle banche potrebbe ridurre la crescita economica nel medio termine”.