E’ inutile girarci intorno, in Italia c’è uno Stato nello Stato. E, attenzione, non è San Marino non è il Vaticano. La zona franca dove non entrano guardia di finanza, magistratura ordinaria e contabile e neppure il giudice del lavoro è tutta nel centro di Roma, prolifera nel cuore stesso della nostra bella e vituperata democrazia. I suoi confini triangolano tra le assemblee elettive di Camera e Senato, il Quirinale e gli organi costituzionali. Cos’hanno in comune? Il fatto che incidentalmente, da dentro, s’illuminano spiragli su decisioni, conti e costi che destano improvviso scandalo: lo stipendio stellare del funzionario inamovibile, la nomina discutibile, l’appalto opaco che sfugge al controllo della Corte dei Conti, fino alla gestione dei bilanci interni che è tanto autonoma e inconoscibile nei dettagli da consentire a chi li firma di proclamare grandi risparmi che si rivelano, puntualmente, falsi. La breccia si richiude subito, senza disturbare troppo gli inquilini, fino al prossimo lampo di cronaca. La chiave della sacra porta dello “Stato nello Stato” ha incisa una parola antica e carica di suggestioni: “Autodichia”. E che significa? Neppure chi ne beneficia – onorevoli, funzionari e dipendenti degli alti organi dello Stato – lo sa esattamente. Per lo Zanichelli è la “potestà riconosciuta alle Camere e alla Corte Costituzionale di giudicare, sostituendosi in ciò agli organi della giustizia amministrativa, sulle controversie relative al rapporto di impiego del personale da essi dipendente”.
Ma anche di regolare gli appalti lontano dalle maglie del codice dei contratti pubblici e dai controlli della Corte dei Conti. Nasce dal potere di giudicare ammissibilità e permanenza di un proprio membro anche di fronte alle richieste della giustizia ordinaria: ma mentre questo si ricava in Costituzione (art. 66 anche se tutte le revisioni costituzionali proposte cercano di superarlo), il principio ha dato luogo ad una estensione– mai introdotta espressamente nell’ordinamento – che sottrae alla legge ordinaria perfino le funzioni amministrative, che nulla hanno a che vedere con l’esercizio delle funzioni costituzionali. Gli esperti di diritto hanno spesso dibattuto l’argomento. Chi difendendo a spada tratta un principio nato per una ragione nobile di autonomia e indipendenza della rappresentanza politica dall’ingerenza di altri poteri (in origine quello monarchico, poi giudiziario). Chi perorando possibili contrappesi o denunciando gli effetti deleteri dell’autodichia sulla vita democratica.
I radicali Irene Testa e Alessandro Gerardi ne hanno scritto un libro (“Parlamento zona franca. Le camere e lo scudo dell’autodichia”, edito da Rubbettino) che spiega, tra cronaca politica e analisi giuridica, quanto siamo lontani dalle nobili origini. Persa la ragione storica resta quella politica, intesa come potere dei partiti e dei singoli che ne fanno parte “contro” le regole e le leggi che governano il resto della società. Il giurista Santi Romano dava questa interpretazione dell’autodichia: “Il falso dogma dell’onnipotenza parlamentare, congiunto a quello della divisione dei poteri ha contribuito a fare del Parlamento uno Stato entro lo Stato, un corpo chiuso ed indipendente, cui si è persino negata la qualità di organo statale, facendolo invece un organo di una democrazia giuridicamente immaginaria e un rappresentante, specie per il mezzo della Camera elettiva, della volontà sovrana del popolo, non immedesimata con quella dello Stato, ma concepita in antitesi, talvolta in vera lotta, con questa”.
Correva l’anno 1898. E da allora non è cambiato nulla, anzi. In 67 anni di vita repubblicana l’istituto è stato applicato, esteso e piegato a scopi molto meno “alti”. Da principio di garanzia dell’organo l’autodichia è diventato uno strumento di privilegio per chi ne fa parte: è il dna della Casta, la particella primordiale del privilegio e della rendita di posizione. “Sembra un vezzo, una reminiscenza per storici o un’argomentazione da accademici e giuristi”, spiega Irene Testa “e invece è il cuore stesso del problema Italia, quello che ha consentito e consente al sistema partitocratico di vivere, alimentarsi, e diffondersi corrompendo ogni anfratto della vita pubblica”.
L’autodichia all’italiana condiziona, altera e distorce lo stato di diritto a vantaggio di alcuni e a danno di tutti. Il tema è entrato, in parte, nell’agenda dei 10 saggi chiamati da Napolitano a fornire, tra le altre, embrionali ipotesi di riforma dell’architettura costituzionale. Il loro intervento si è però limitato a proporre una modifica all’articolo 66 nella direzione di “attribuire a un giudice indipendente e imparziale il giudizio sulle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità”. L’accordo è stato possibile su quel punto perché “era evidente a tutti che il problema del Parlamento che decide su se stesso si dimostra insolubile”, spiega Stefano Ceccanti (Pd), costituzionalista e membro della Giunta per il Regolamento del Senato. Ma anche questa indicazione potrebbe restare lettera morta. “Tutto dipende da quello che accadrà nei prossimi mesi – spiega – Stiamo aspettando l’ultima lettura della legge di procedura, che dovrebbe avvenire a dicembre e una volta avvenuta si dovrebbe passare alla discussione sui contenuti e a quel punto il governo e le forze politiche dovrebbero presentare il testo”.
Non si sa quando, insomma, ma lo Stato nello Stato sembra disposto a cedere un pezzo della sua autonomia. Si tiene ben stretta però quella che esercita su altri fronti non meno rilevanti che potrebbero tranquillamente essere normati con legge ordinaria: nessuna ipotesi è balenata, ad esempio, relativamente agli aspetti contabili-amministrativi, al potere di organizzare uffici, servizi e nominare dipendenti attraverso insindacabili regolamenti interni. “La complessità su questi nodi è legata al fatto che le vie per limitare l’autodichia senza comprimere l’autonomia dell’organo costituzionale tocca trovarle caso per caso”, spiega Ceccanti. “Ciascuna di quelle prerogative richiede di calibrare due esigenze: quella di individuare forme neutre ed esterne di controllo e quella di garantire l’autonomia dei vari organi senza subordinarli a ulteriori poteri che ne possano limitare l’indipendenza. Sulle spese dei gruppi, ad esempio, abbiamo stabilito nella scorsa legislatura di rendere obbligatoria la pubblicazione online dei rendiconti. Affidarne l’esame alla magistratura contabile avrebbe comportato il rischio di un conflitto tra potere legislativo e giudiziario. Abbiamo optato per una soluzione meno problematica che fa leva sull’effetto di deterrenza dato dalla visibilità esterna”. Intanto, nell’impossibilità di trovare la quadra generale sull’autodichia e le sue degenerazioni, lo Stato nello Stato continua a dettar legge. E a farla valere esclusivamente fuori dal portone dei suoi Palazzi.
Politica
Autodichia, la “zona franca” dello Stato nello Stato: ecco dove non entrano i giudici
Il principio giuridico a garanzia dell’indipendenza degli organi costituzionali è stato trasformato in uno strumento di privilegio, dove chi produce le leggi è dispensato dal rispettarle. E nessuno tocca la sottrazione alla legge ordinaria e a qualunque forma di controllo esterno, dalla magistratura alla Corte dei Conti
E’ inutile girarci intorno, in Italia c’è uno Stato nello Stato. E, attenzione, non è San Marino non è il Vaticano. La zona franca dove non entrano guardia di finanza, magistratura ordinaria e contabile e neppure il giudice del lavoro è tutta nel centro di Roma, prolifera nel cuore stesso della nostra bella e vituperata democrazia. I suoi confini triangolano tra le assemblee elettive di Camera e Senato, il Quirinale e gli organi costituzionali. Cos’hanno in comune? Il fatto che incidentalmente, da dentro, s’illuminano spiragli su decisioni, conti e costi che destano improvviso scandalo: lo stipendio stellare del funzionario inamovibile, la nomina discutibile, l’appalto opaco che sfugge al controllo della Corte dei Conti, fino alla gestione dei bilanci interni che è tanto autonoma e inconoscibile nei dettagli da consentire a chi li firma di proclamare grandi risparmi che si rivelano, puntualmente, falsi. La breccia si richiude subito, senza disturbare troppo gli inquilini, fino al prossimo lampo di cronaca. La chiave della sacra porta dello “Stato nello Stato” ha incisa una parola antica e carica di suggestioni: “Autodichia”. E che significa? Neppure chi ne beneficia – onorevoli, funzionari e dipendenti degli alti organi dello Stato – lo sa esattamente. Per lo Zanichelli è la “potestà riconosciuta alle Camere e alla Corte Costituzionale di giudicare, sostituendosi in ciò agli organi della giustizia amministrativa, sulle controversie relative al rapporto di impiego del personale da essi dipendente”.
Ma anche di regolare gli appalti lontano dalle maglie del codice dei contratti pubblici e dai controlli della Corte dei Conti. Nasce dal potere di giudicare ammissibilità e permanenza di un proprio membro anche di fronte alle richieste della giustizia ordinaria: ma mentre questo si ricava in Costituzione (art. 66 anche se tutte le revisioni costituzionali proposte cercano di superarlo), il principio ha dato luogo ad una estensione– mai introdotta espressamente nell’ordinamento – che sottrae alla legge ordinaria perfino le funzioni amministrative, che nulla hanno a che vedere con l’esercizio delle funzioni costituzionali. Gli esperti di diritto hanno spesso dibattuto l’argomento. Chi difendendo a spada tratta un principio nato per una ragione nobile di autonomia e indipendenza della rappresentanza politica dall’ingerenza di altri poteri (in origine quello monarchico, poi giudiziario). Chi perorando possibili contrappesi o denunciando gli effetti deleteri dell’autodichia sulla vita democratica.
I radicali Irene Testa e Alessandro Gerardi ne hanno scritto un libro (“Parlamento zona franca. Le camere e lo scudo dell’autodichia”, edito da Rubbettino) che spiega, tra cronaca politica e analisi giuridica, quanto siamo lontani dalle nobili origini. Persa la ragione storica resta quella politica, intesa come potere dei partiti e dei singoli che ne fanno parte “contro” le regole e le leggi che governano il resto della società. Il giurista Santi Romano dava questa interpretazione dell’autodichia: “Il falso dogma dell’onnipotenza parlamentare, congiunto a quello della divisione dei poteri ha contribuito a fare del Parlamento uno Stato entro lo Stato, un corpo chiuso ed indipendente, cui si è persino negata la qualità di organo statale, facendolo invece un organo di una democrazia giuridicamente immaginaria e un rappresentante, specie per il mezzo della Camera elettiva, della volontà sovrana del popolo, non immedesimata con quella dello Stato, ma concepita in antitesi, talvolta in vera lotta, con questa”.
Correva l’anno 1898. E da allora non è cambiato nulla, anzi. In 67 anni di vita repubblicana l’istituto è stato applicato, esteso e piegato a scopi molto meno “alti”. Da principio di garanzia dell’organo l’autodichia è diventato uno strumento di privilegio per chi ne fa parte: è il dna della Casta, la particella primordiale del privilegio e della rendita di posizione. “Sembra un vezzo, una reminiscenza per storici o un’argomentazione da accademici e giuristi”, spiega Irene Testa “e invece è il cuore stesso del problema Italia, quello che ha consentito e consente al sistema partitocratico di vivere, alimentarsi, e diffondersi corrompendo ogni anfratto della vita pubblica”.
L’autodichia all’italiana condiziona, altera e distorce lo stato di diritto a vantaggio di alcuni e a danno di tutti. Il tema è entrato, in parte, nell’agenda dei 10 saggi chiamati da Napolitano a fornire, tra le altre, embrionali ipotesi di riforma dell’architettura costituzionale. Il loro intervento si è però limitato a proporre una modifica all’articolo 66 nella direzione di “attribuire a un giudice indipendente e imparziale il giudizio sulle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità”. L’accordo è stato possibile su quel punto perché “era evidente a tutti che il problema del Parlamento che decide su se stesso si dimostra insolubile”, spiega Stefano Ceccanti (Pd), costituzionalista e membro della Giunta per il Regolamento del Senato. Ma anche questa indicazione potrebbe restare lettera morta. “Tutto dipende da quello che accadrà nei prossimi mesi – spiega – Stiamo aspettando l’ultima lettura della legge di procedura, che dovrebbe avvenire a dicembre e una volta avvenuta si dovrebbe passare alla discussione sui contenuti e a quel punto il governo e le forze politiche dovrebbero presentare il testo”.
Non si sa quando, insomma, ma lo Stato nello Stato sembra disposto a cedere un pezzo della sua autonomia. Si tiene ben stretta però quella che esercita su altri fronti non meno rilevanti che potrebbero tranquillamente essere normati con legge ordinaria: nessuna ipotesi è balenata, ad esempio, relativamente agli aspetti contabili-amministrativi, al potere di organizzare uffici, servizi e nominare dipendenti attraverso insindacabili regolamenti interni. “La complessità su questi nodi è legata al fatto che le vie per limitare l’autodichia senza comprimere l’autonomia dell’organo costituzionale tocca trovarle caso per caso”, spiega Ceccanti. “Ciascuna di quelle prerogative richiede di calibrare due esigenze: quella di individuare forme neutre ed esterne di controllo e quella di garantire l’autonomia dei vari organi senza subordinarli a ulteriori poteri che ne possano limitare l’indipendenza. Sulle spese dei gruppi, ad esempio, abbiamo stabilito nella scorsa legislatura di rendere obbligatoria la pubblicazione online dei rendiconti. Affidarne l’esame alla magistratura contabile avrebbe comportato il rischio di un conflitto tra potere legislativo e giudiziario. Abbiamo optato per una soluzione meno problematica che fa leva sull’effetto di deterrenza dato dalla visibilità esterna”. Intanto, nell’impossibilità di trovare la quadra generale sull’autodichia e le sue degenerazioni, lo Stato nello Stato continua a dettar legge. E a farla valere esclusivamente fuori dal portone dei suoi Palazzi.
PERCHÉ NO
di Marco Travaglio e Silvia Truzzi 12€ AcquistaArticolo Precedente
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Roma, 19 feb. (Adnkronos) - "Il governo non risponde: sta coprendo qualcuno? Se lo sta facendo, ha l'obbligo di dirlo. Questa questione, sappia palazzo Chigi, se Meloni pensa di essere diventata come Trump che firma ordini esecutivi ed è Dio, patria e famiglia, se lo scordi. Il governo rischia di traballare su questa cosa. Noi riteniamo la premier responsabile in toto di questa cosa". Lo dice Angelo Bonelli rispondendo a una domanda sul caso Paragon durante una conferenza stampa di Avs sui referendum.
Roma, 19 feb. (Adnkronos) - "Abbiamo un sacco di interrogativi e il governo continua a non rispondere. E ci siamo posti anche questa domanda: la sera prima che Casarini" scoprisse lo spyware nel suo telefono, "io ero a cena Luca Casarini e c'erano anche altri parlamentare della Repubblica: mi hanno osservato? Mi hanno spiato?". Lo chiede Nicola Fratoianni nella conferenza stampa convocata da Avs alla Camera sui referendum rispondendo a una domanda su Paragon.
Roma, 19 feb. (Adnkronos) - "E' un vero piacere dare il benvenuto a lei e alla delegazione che l'accompagna, la sua presenza a Roma è un onore per la Repubblica italiana e per me è un grande piacere accoglierla nuovamente al Quirinale a distanza di pochi mesi dal nostro ultimo incontro. Ed è una testimonianza delle eccellenti relazioni che vi sono tra Israele e Italia, anche attestate dalla frequenza degli incontri: sono state frequenti le missioni in Israele in questo periodo del ministro degli Esteri Tajani che è anche vicepresidente del Consiglio, a dimostrazione dell'intensità del nostro rapporto e della nostra amicizia". Lo ha affermato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, incontrando al Quirinale il presidente dello Stato di Israele, Isaac Herzog.
"E' un piacere averla qui, poter dialogare con lei -ha ribadito Mattarella- e scambiare le nostre opinioni con grande franchezza e amicizia e con grande intesa collaborativa".
Mosca, 19 feb. (Adnkronos) - "E' necessario ripulire l'eredità dell'amministrazione Biden, che ha fatto di tutto per distruggere anche i primi accenni alle fondamenta stesse di una partnership a lungo termine tra i nostri Paesi". Lo ha detto il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov parlando alla Duma all'indomani dei colloqui di Riad, commentando la possibilità di una cooperazione strategica tra Russia e Stati Uniti e aggiungendo che potrebbero essere create le condizioni per colloqui sulla sicurezza e sulla stabilità strategica tra i Paesi.
Roma, 19 feb. (Adnkronos) - "Il partito di Giorgia Meloni é nei guai fino al collo e la maggioranza spaccata platealmente come dimostra la dissociazione di Forza Italia dalla conferenza stampa dei suoi alleati. Dagli assetti europei alla guerra in Ucraina allo spionaggio con Paragon, dalle parti di Fratelli d’Italia non sanno dove girarsi e allora attaccano l’ex presidente Conte. Era evidente fin dall’inizio l’intento da parte della destra di usare a fini politici la commissione parlamentare sul Covid, ora il re è nudo”. Così Luana Zanella, capogruppo di Avs alla Camera.
Roma, 19 feb. (Adnkronos) - “Stamane alcuni ragazzi sulle scale di Montecitorio hanno gettato dei sacchetti con del cibo che la Gdo cestina ogni giorno per richiamare la nostra attenzione sul Giusto Prezzo e sul fatto che il cibo di qualità sia un privilegio per pochi, al contrario di quello che il Ministro dell’agricoltura Lollobrigida sostiene". Così il capogruppo Pd in commissione Agricoltura e segretario di Presidenza della Camera
"Mentre solo pochi giorni fa dichiaravano sullo spreco alimentare e sull’importanza di evitarlo, oggi che fanno i Presidenti di Camera e Senato? Fontana li accusa di atti vandalici e La Russa lo ha definito un atto vile. Ma ci rendiamo conto? Questi sarebbero atti vili e vandalici? E cosa facciamo noi per alleviare le sofferenze di quei produttori che nonostante l’inflazione e il caro prezzi non ricevono soldi in più? Cosa facciamo per quei consumatori costretti a rinunciare a proteine e carboidrati, al cibo sano e sostenibile perché troppo costoso? E soprattutto cosa diciamo a dei ragazzi che ci richiamano con parole pulite e striscioni corretti a dare delle risposte concrete senza offendere nessuno?".
"La maggioranza e il governo, il ministro Lollobrigida che oggi attendiamo in Aula dovrebbero rispondere su questo non offendere dei giovani innocenti che si preoccupano giustamente del nostro e loro futuro!”.
Roma, 19 feb. (Adnkronos) - "Picierno è una signora che ogni mattina si sveglia pensando a una sciocchezza da dire sul Movimento 5 Stelle. Picierno è un'infiltrata dei fascisti nella sinistra. Chiede più guerra, più armi, più povertà, più morti: non ha nulla a che vedere con la sinistra. E' un'infiltrata dei fascisti. Cosa ha in comune con la sinistra chi chiede più armi e più povertà? Picierno lo chiede in ogni situazione". Lo ha detto l'eurodeputato M5S, Gaetano Pedullà, a L'Aria che Tira su La7.