Silvio Berlusconi, storia di un fuggiasco di successo. Vent’anni di politica, dalla discesa in campo, spinta dal timore delle manette e del fallimento economico, all’uscita di scena dopo una strenua lotta contro una condanna definitiva e una legge – la “Severino” – prima approvata e poi furiosamente rinnegata dai suoi parlamentari. Vent’anni di fuga, agevolata però dal consenso di milioni di italiani che gli hanno concesso sorprendenti resurrezioni dopo i tanti flop di governo, le inchieste giudiziarie, gli scandali, le gaffe, le cronache grottesche delle “cene eleganti”. 23 novembre 1993, la prima dichiarazione politica in sostegno del missino Gianfranco Fini candidato sindaco a Roma nel terremoto del dopo Tangentopoli; 27 novembre 2013, la decadenza da senatore votata a maggioranza dopo la condanna definitiva per frode fiscale nel processo Mediaset. La cabala è mancata per poco. Ma è davvero la fine del ventennio berlusconiano? Lui esce dal parlamento, ma appare tutt’altro che intenzionato a uscire dalla politica. Come in certi film dell’orrore, nell’ultimo fotogramma il mostro abbattuto solleva la palpebra quanto basta per lasciare intuire un sequel.
IL TINTINNAR DI MANETTE E I DEBITI FININVEST. Silvio Berlusconi va ripetendo che la “persecuzione” dei giudici è iniziata dopo il suo ingresso in politica, data l’incapacità della “sinistra” di batterlo alle urne. A parte il fatto che i guai giudiziari gli sono arrivati da magistrati di tutte le correnti politiche, le cose non stanno così. Il tintinnar di manette era già nitido prima della discesa in campo. Nel 1993 Paolo Berlusconi era indagato per corruzione in due diverse inchieste, sulla compravendita di immobili di enti pubblici a Roma e per la discarica di Cerro Maggiore. Bettino Craxi, amico di una vita e politico di riferimento, era già stato raggiunto da undici avvisi di garanzia. Così come era finito in carcere Giovanni Marone, ex segretario del ministro della Sanità Francesco De Lorenzo, che ai magistrati aveva raccontato di una somma di 300 milioni di lire pagata al Pli da Aldo Brancher, dirigente della Fininvest Comunicazioni. Ce n’era abbastanza per preoccuparsi, e infatti il timore di quello che avrebbero potuto fare i giudici emerge nelle riunioni sul progetto Forza Italia, con lo stesso Craxi che esorta Berlusconi a scendere in politica usando l’arma delle televisioni. E poi nel 1993 pochi sanno chi sono davvero Cesare Previti e Marcello Dell’Utri (non a caso due grandi supporter della discesa in campo), ma Berlusconi sì, dato che sono i suoi più stretti collaboratori e consiglieri.
In quegli anni Berlusconi-imprenditore ha un’altra grande preoccupazione: i debiti della Fininvest. Dai verbali dei Comitati corporate del gruppo, sequestrati dalla magistratura e pubblicati dall’Espresso, emerge che il 22 gennaio 1993 il direttore finanziario Ubaldo Livolsi fornisce dati allarmanti sull’esposizione con le banche e non solo: i debiti complessivi ammontano a oltre quattromila miliardi di lire. “U. Livolsi segnala che il sistema bancario italiano non è disposto ad aumentare ulteriormente l’affidamento nei nostri confronti”, annota l’assistente di Berlusconi Guido Possa (poi parlamentare di Forza Italia, come tanti manager delle aziende berlusconiane). A questo punto Berlusconi s’illumina: “A suo avviso”, scrive ancora Possa, “l’attuale situazione è favorevole come non mai per chi, provenendo da successi imprenditoriali, voglia dedicare i propri talenti al governo della cosa pubblica (…). Non nasconde che gli viene una gran voglia di mettersi alla testa di un partito”.
1994, IL PRIMO TRIONFO E IL PRIMO TONFO. Quale che sia il vero motivo della nascita di Forza Italia, che va a coprire il vuoto lasciato da Dc e Psi spazzati via dall’inchiesta Mani pulite, l’operazione è un successo. La neonata creatura di Silvio Berlusconi prende oltre 8 milioni di voti, pari al 21%, e lancia al governo il Polo della libertà, travolgendo la “gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto, leader del Pds. Ma la promessa di una “rivoluzione liberale” ha vita breve, solo sette mesi. Pochi giorni prima di Natale, il leader della Lega Umberto Bossi toglie la fiducia all’alleato, e il Polo si sfalda in reciproche e sanguinose accuse. Intanto arriva il temuto colpo della magistratura: il celebre invito a comparire in Procura a Milano consegnato al presidente del Consiglio il 22 novembre, mentre è impegnato a Napoli a presiedere un vertice sulla criminalità. Berlusconi sperimenta le alchimie della politica romana, finisce all’opposizione del governo Dini, e nel 1996 è sconfitto dall’Ulivo guidato da Romano Prodi.
2001, PRIMA RESURREZIONE (RINGRAZIANDO LA SINISTRA). Poteva finire lì: invece del ventennio, un dimenticabile biennio. A sinistra, con supponenza, molti lo pensavano. E intanto preparavano la strada per la prima resurrezione del nemico. La legge sul conflitto d’interessi finì nel dimenticatoio (Francesco Rutelli ammise pubblicamente il grave errore nella campagna elettorale del 2001). La Commissione Bicamerale sulle riforme istituzionali (che non si faranno) rimette in gioco il Cavaliere (che ne approfitta per porre l’unica questione che gli sta davvero a cuore, la giustizia). Sulle leggi che colpiscono inchieste e processi di Tangentopoli si registrano inquietanti convergenze tra i due “poli” che apparentemente si combattono a colpi di quotidiani insulti. Nel giro di cinque anni, il centrosinistra riesce a bruciare il cavallo vincente Romano Prodi e Ben due governi guidati da Massimo D’Alema (già presidente della citata bicamerale), per finire la legislatura con l’ex Psi Giuliano Amato. La resurrezione è compiuta. Berlusconi riallaccia senza patemi l’alleanza con l’ex “traditore” Bossi, infarcisce la campagna elettorale di colpi di teatro – dai manifesti sei metri tre con slogan tipo “meno tasse per tutti” al “contratto con gli italiani” firmato in diretta tv davanti a un ossequioso Bruno Vespa – e batte agevolmente il centrosinistra guidato dall’ex sindaco di Roma Rutelli. La sola Forza Italia sfiora gli 11 milioni di voti e il 30% nel proporzionale. Nei collegi della Camera in Sicilia, la Casa delle libertà batte l’Ulivo 61 a zero.
2001-2006, IL BERLUSCONISMO. QUELLO VERO. E’ nella legislatura 2001-2006 che Berlusconi e il berlusconismo mostrano il loro vero volto. Quando torna a palazzo Chigi, il Cavaliere di Arcore ha già collezionato una sfilza di inchieste e processi in corso: falso in bilancio (casi Lentini e Medusa Cinema), corruzione (tangenti Fininvest alla guardia di Finanza), corruzione giudiziaria (Lodo Mondadori e Sme), finanziamento illecito (al Psi di Craxi, indagine All Iberian)… Previti e Dell’Utri sono già coinvolti in fatti gravissimi, il primo sotto processo per corruzione in atti giudiziari (in favore dello stesso Berlusconi), il secondo indagato per concorso esterno in associazione mafiosa (come uomo cerniera tra Berlusconi e Cosa nostra). E’ la stagione delle leggi ad personam (tra le prime approvate dal centrodestra, proprio l’ammorbidimento del falso in bilancio), degli estenuanti dibattiti parlamentari su minuzie del codice di procedure penale che però interessano i processi del capo, dello scontro continuo con la magistratura. Fuori dal Palazzo prendono corpo rivoluzioni epocali: l’11 settembre, il boom economico cinese, la nuova frontiera di internet. Dentro il Palazzo ci si scanna sul legittimo impedimento, sul funzionamento delle rogatorie, sulla prescrizione…
E nel Palazzo chi si indigna trova scarso ascolto. I leader del centrosinistra spiegano che di processi e sentenze non bisogna nemmeno parlare, sono cose da “giustizialisti” o “girotondini”, perché Berlusconi va “sconfitto politicamente“. Non ci riusciranno. E intanto il fuggiasco di successo colleziona assoluzioni, prescrizioni, attenuanti, spesso determinate da quelle leggi contestate. Mentre a sinistra si fa mostra di bon ton, la Casa delle libertà assume il controllo ferreo di gran parte della Rai, che si aggiunge ai tre canali Mediaset che certo dispiaceri a Berlusconi non ne danno, men che meno nei tg e negli spazi d’informazione. Anzi, per lo più mostrano un’adesione di tipo sovietico ai voleri del capo.
2008, SECONDA RESURREZIONE (CON PRESUNTA COMPRAVENDITA). Berlusconi esce a pezzi anche da questa esperienza di governo. Dell’esecutivo Fi-Lega-An-Udc può vantare la durata record, ma non i successi. L’alleanza si sfalda, i sondaggi vanno a picco ed evidenziano un’ampia frangia di delusi intenzionati a non votarlo più (è per limitare i danni che nel 2005 il centrodestra vara il famigerato Porcellum). Ecco, è fatta. Al centrosinistra non resta che raccogliere i cocci e buttarli via. Il candidato è ancora Prodi, che lo ha già battuto. Invece no. Il Cavaliere non farà miracoli al governo, ma se c’è una cosa che sa fare è la campagna elettorale. Martella l’etere da Isoradio a Bonolis, definisce “coglioni” gli elettori avversi, annuncia “sondaggi americani” che lo danno appaiato a Prodi. Rimonta, e molto. Finisce quasi in pareggio. Prodi è un’anatra zoppa. Durerà poco. Complice, sosterrà poi la procura di Napoli, la “compravendita di senatori” pianificata con l'”Operazione libertà”. Nel 2008 Prodi cade e si torna a votare. Berlusconi stravince con il neonato Pdl. E’ la seconda resurrezione, Berlusconi è di nuovo a palazzo Chigi.
Ma il crepuscolo è cominciato. Solo che è un crepuscolo lungo, interminabile, come quello dell’estate nordica. Gli alleati storici lo abbandonano: Fini e Casini ormai lo trattano come i girotondini, gli rinfacciano i guai giudiziari, il conflitto d’interessi, l’uso politico delle tv… Nel 2009 scoppiano gli scandali a sfondo sessuale: le foto rubate con le ragazze sulle ginocchia, poi Noemi Letizia, la escort Patrizia D’Addario. E, l’anno dopo, i festini di Arcore e la minorenne Ruby. Altri scandali, altri processi. Lo molla, e con fragore pubblico, anche la moglie Veronica Lario. Lo molla anche il presidente della Repubblica Napolitano, che nel novembre 2011 di fatto le esautora perché l’Italia rischia di collassare sotto il peso della peggiore crisi economica del dopoguerra e il suo governo è paralizzato dallo scontro con la Lega. Seguono festeggiamenti di piazza con bottiglie di spumante.
2013, TERZA RESURREZIONE (AL CREPUSCOLO). A Palazzo Chigi arriva Mario Monti, inizia l’era delle grandi intese benedette da Napolitano, che dura ancora oggi. Larghe intese dalle quali Berlusconi entra ed esce a seconda degli umori e delle convenienze del momento: l’Imu, la decadenza, la giustizia (soprattutto). A volte sembra intenzionato a mollare, manda avanti Alfano, poi ci ripensa. A fine 2012 toglie la fiducia a Monti e l’Italia deve tornare al voto. Nei frequenti videomessaggi alla Nazione, l’incarnato di Berlusconi ricorda sempre più quello della salma di Mao conservata nel mausoleo di Pechino. La terza resurrezione, giocata come al solito sul martellamento televisivo e su mirabolanti promesse, gli riesce a metà. Il Pdl prende sette milioni di voti, 4 milioni in meno rispetto ai fasti della sola Forza Italia nel 2001. La coalizione di centrosinstra, guidata da Pierluigi Bersani, vince di un soffio un’altra partita che poteva andare molto meglio. Il fuggiasco continua a essere determinante e, mentre la crisi flagella imprese e lavoratori, a giocare la sua partita personale contro i giudici.
DECADENZA, ULTIMO ATTO? L’ultimo atto ha del tragico, come si conviene. La condanna in primo grado a sette anni per prostituzione minorile e conncussione, nel processo Ruby. La condanna definitiva per frode fiscale a quattro anni (di cui tre indultati) nel processo Mediaset. Lo spettro degli arresti domiciliari, o dell’affidamento ai servizi sociali, “a pulire i cessi“. O il carcere, una volta perdute le prerogative di parlamentare. E ancora, la rottura con Alfano, la frattura del Pdl, il ritorno al passato di Forza Italia, il patetico voltafaccia sulla fiducia al governo Letta. I nodi vengono al pettine. Dopo vent’anni, l’ultima fuga si infrange contro il muro della legge Severino, votata e rivendicata anche dal Pdl alla fine del 2012, per dare un segnale moralizzatore dopo lo scandalo Fiorito. La legge Severino dice una cosa semplice: chi è condannato in via defintiva per determinati reati decade dalla carica di parlamentare e non è candidabile per sei anni. Nessuno ci ha trovato nulla da ridire quando è stata approvata, né quando è stata applicata a una sfilza di politici locali condannati anche per reati minori. Appena è toccato a Berlusconi, è diventata improvvisamente “anticostituzionale”, “antieuropea”, “irretroattiva”. Ma questa volta la fuga non ha trovato sponde tra gli avversari. Dal 27 novembre 2013 Silvio Berlusconi è fuori da Parlamento e non potrà rientrarci per un bel pezzo.
Però la fuga è durata vent’anni. Grazie ai suoi soldi, alle sue televisioni, ai suoi giornali, ai suoi giornalisti, ai suoi parlamentari. Senza i quali, dopo tanti fallimenti e tanti scandali, sarebbe stato lo stesso centrodestra a mandarlo a casa per sostituirlo con un leder più presentabile, e da un bel pezzo. Ma anche grazie a milioni di italiani che in quella fuga dalla legge, dalle regole, dal fisco si sono pienamente riconosciuti.