1) CRISI
criṡi (ant. criṡe) s. f. [dal lat. crisis, gr. κρισις «scelta, decisione, fase decisiva di una malattia», der. di κρίνω «distinguere, giudicare»] – Nel linguaggio economico, spec. nell’economia classica, il termine designa propriamente la fase del ciclo economico che è conseguenza del verificarsi di una situazione di sovrapproduzione generalizzata, le cui caratteristiche fondamentali sono il passaggio rapido dalla prosperità alla depressione, il calo della produzione, una diffusa disoccupazione, prezzi tendenzialmente decrescenti, bassi salari e una contrazione dei profitti.
Questa la definizione di crisi – economica – che riporta Treccani. Ma siamo sicuri che di crisi si tratti e non di altro?
Recentemente, il Credit Suisse ha pubblicato un interessantissimo report sulla ricchezza nel mondo. Non stiamo parlando di un pericoloso economista marxista e quindi sovversivo per antonomasia. Stiamo parlando di una società svizzera, fondata nel 1856 con sede a Zurigo, di una società di servizi finanziari di livello mondiale, una banca privata d’affari che gestisce una quantità di denaro di poco meno della metà del prodotto interno lordo italiano.
Bene, in questo rapporto si dice, con assoluta serenità, che nel 2012 in Italia i milionari (cioè quelli che nel 2012 hanno guadagnato più di un milione di euro) sono aumentati del 9,5 percento. Erano 1.412 mila alla fine del 2011 e sono diventati 1.529 mila a fine 2012. Ah, non si troverà traccia di tutto questo, nelle dichiarazioni dei redditi, perché quelli da capitale sono redditi tassati alla fonte, direttamente in banca, e quindi non rientranti nelle dichiarazioni Irpef.
Primo indizio del fatto che con la parola “crisi” ci stanno prendendo per il naso.
Se si guarda poi questa tabella fatta da Eurisko si nota che non c’è relazione tra prodotto interno lordo pro-capite e benessere personale. Dal 1996 in poi, il benessere, lo star bene, la soddisfazione per la propria vita continua a scendere, mentre il Pil cresce fino al 2006 e poi scende negli ultimi anni.

Attenzione, scende il Pil, ma non diminuisce in generale la ricchezza, che si trasferisce dall’economia produttiva alla finanza. Non la ricchezza di tutti, però, perché mentre nel nostro paese negli ultimi anni è diminuita la propensione al risparmio e la media delle famiglie italiane ha avuto meno capacità di investire in prodotti finanziari, è aumentata costantemente la fascia dei cosiddetti milionari che sono sempre più milionari anno dopo anno.

“La quota di ricchezza netta (calcolata come somma di attività finanziarie e reali al netto delle passività) detenuta dal decile più ricco è risalita tra il 2008 e il 2010 dal 44,0 al 46,1 per cento, così come quella posseduta da chi percepisce un reddito elevato (ultimo quartile) è aumentata dal 54,9 al 58,3 per cento”. Ancora una volta non è un pericoloso sovversivo a fornire questi dati, ma un rapporto della Banca d’Italia del 2013 (Il risparmio e la ricchezza delle famiglie italiane durante la crisi di Laura Bartiloro e Cristina Rampazzi).
E sempre dal rapporto del Credit Suisse si apprende che nel 2008 la ricchezza totale italiana era di 11,6 trilioni di dollari mentre oggi è 11,9 trilioni di dollari (un trilione = mille miliardi).
Ergo, non c’è nulla che corrisponda alla definizione di “crisi” che fornisce Treccani.
Ma qualche cosa che assomiglia maledettamente ad una sempre più profonda e drammatica ingiustizia sociale che si chiama tecnicamente diseguaglianza economica.
“La disuguaglianza dei redditi nei paesi dell’Ocse ha raggiunto il livello più alto dell’ultimo mezzo secolo. Nei paesi dell’Ocse, il reddito medio del 10% più ricco della popolazione è circa nove volte quello del 10% più povero, salendo rispetto alle sette volte di 25 anni fa”. Anche questo non lo dice un economista marxista, ma uno studio del 2011 della stessa Ocse, intitolato Divided we stand why inequality keeps rising.
Come si redistribuisce la ricchezza? Lo dice, ancora, la Costituzione italiana: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Perché in un sistema di tassazione progressivo, il livello della aliquota di tassazione più alta ha un impatto diretto sul livello di disuguaglianza all’interno di una società, aumentandolo o diminuendolo. Inoltre, una progressività più elevata risulta in una distribuzione dei redditi più equa in generale. Sia perché a chi ha meno soldi ne rimangono di più, sia perché con le tasse si dovrebbero creare servizi (e beni primari) di cui godono equamente tutti i cittadini, sia perché – come accade in numerosi paesi europei – lo Stato si incarica direttamente (attraverso sostegni al reddito o a determinati momenti della vita come la maternità e lo studio) di elargire denaro e beni primari come la casa. In Italia, oggi, le aliquote fiscali vanno dal 23% al 43% dei redditi lordi. Molto alte le aliquote inferiori, piuttosto basse quelle per i redditi maggiori. Nel 1973, anno della riforma fiscale, le aliquote andavano dall’11.8% al 58.7%.
Eccoci all’oggi: a una crescente concentrazione della ricchezza, corrisponde la depressione economica. E in Italia, ci troviamo ad avere il 10 per cento delle famiglie possiede il 45 per cento della ricchezza, mentre c’è un 50 per cento delle famiglie che in totale arriva a mettere insieme il 10 per cento della ricchezza totale. Che è aumentata e non diminuita nel corso degli anni, ed è semplicemente passata di mano, concentrandosi sempre di più.
Smettiamo di chiamare crisi quella che è ingiustizia. La crisi dipende da tanti fattori. L’ingiustizia, e soprattutto il continuare a subirla, dipende da noi.
Maso Notarianni
Giornalista mediterraneo
Economia & Lobby - 29 Novembre 2013
Lucciole per lanterne – Crisi economica o ingiustizia sociale?
1) CRISI
criṡi (ant. criṡe) s. f. [dal lat. crisis, gr. κρισις «scelta, decisione, fase decisiva di una malattia», der. di κρίνω «distinguere, giudicare»] – Nel linguaggio economico, spec. nell’economia classica, il termine designa propriamente la fase del ciclo economico che è conseguenza del verificarsi di una situazione di sovrapproduzione generalizzata, le cui caratteristiche fondamentali sono il passaggio rapido dalla prosperità alla depressione, il calo della produzione, una diffusa disoccupazione, prezzi tendenzialmente decrescenti, bassi salari e una contrazione dei profitti.
Questa la definizione di crisi – economica – che riporta Treccani. Ma siamo sicuri che di crisi si tratti e non di altro?
Recentemente, il Credit Suisse ha pubblicato un interessantissimo report sulla ricchezza nel mondo. Non stiamo parlando di un pericoloso economista marxista e quindi sovversivo per antonomasia. Stiamo parlando di una società svizzera, fondata nel 1856 con sede a Zurigo, di una società di servizi finanziari di livello mondiale, una banca privata d’affari che gestisce una quantità di denaro di poco meno della metà del prodotto interno lordo italiano.
Bene, in questo rapporto si dice, con assoluta serenità, che nel 2012 in Italia i milionari (cioè quelli che nel 2012 hanno guadagnato più di un milione di euro) sono aumentati del 9,5 percento. Erano 1.412 mila alla fine del 2011 e sono diventati 1.529 mila a fine 2012. Ah, non si troverà traccia di tutto questo, nelle dichiarazioni dei redditi, perché quelli da capitale sono redditi tassati alla fonte, direttamente in banca, e quindi non rientranti nelle dichiarazioni Irpef.
Primo indizio del fatto che con la parola “crisi” ci stanno prendendo per il naso.
Se si guarda poi questa tabella fatta da Eurisko si nota che non c’è relazione tra prodotto interno lordo pro-capite e benessere personale. Dal 1996 in poi, il benessere, lo star bene, la soddisfazione per la propria vita continua a scendere, mentre il Pil cresce fino al 2006 e poi scende negli ultimi anni.
Attenzione, scende il Pil, ma non diminuisce in generale la ricchezza, che si trasferisce dall’economia produttiva alla finanza. Non la ricchezza di tutti, però, perché mentre nel nostro paese negli ultimi anni è diminuita la propensione al risparmio e la media delle famiglie italiane ha avuto meno capacità di investire in prodotti finanziari, è aumentata costantemente la fascia dei cosiddetti milionari che sono sempre più milionari anno dopo anno.
“La quota di ricchezza netta (calcolata come somma di attività finanziarie e reali al netto delle passività) detenuta dal decile più ricco è risalita tra il 2008 e il 2010 dal 44,0 al 46,1 per cento, così come quella posseduta da chi percepisce un reddito elevato (ultimo quartile) è aumentata dal 54,9 al 58,3 per cento”. Ancora una volta non è un pericoloso sovversivo a fornire questi dati, ma un rapporto della Banca d’Italia del 2013 (Il risparmio e la ricchezza delle famiglie italiane durante la crisi di Laura Bartiloro e Cristina Rampazzi).
E sempre dal rapporto del Credit Suisse si apprende che nel 2008 la ricchezza totale italiana era di 11,6 trilioni di dollari mentre oggi è 11,9 trilioni di dollari (un trilione = mille miliardi).
Ergo, non c’è nulla che corrisponda alla definizione di “crisi” che fornisce Treccani.
Ma qualche cosa che assomiglia maledettamente ad una sempre più profonda e drammatica ingiustizia sociale che si chiama tecnicamente diseguaglianza economica.
“La disuguaglianza dei redditi nei paesi dell’Ocse ha raggiunto il livello più alto dell’ultimo mezzo secolo. Nei paesi dell’Ocse, il reddito medio del 10% più ricco della popolazione è circa nove volte quello del 10% più povero, salendo rispetto alle sette volte di 25 anni fa”. Anche questo non lo dice un economista marxista, ma uno studio del 2011 della stessa Ocse, intitolato Divided we stand why inequality keeps rising.
Come si redistribuisce la ricchezza? Lo dice, ancora, la Costituzione italiana: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Perché in un sistema di tassazione progressivo, il livello della aliquota di tassazione più alta ha un impatto diretto sul livello di disuguaglianza all’interno di una società, aumentandolo o diminuendolo. Inoltre, una progressività più elevata risulta in una distribuzione dei redditi più equa in generale. Sia perché a chi ha meno soldi ne rimangono di più, sia perché con le tasse si dovrebbero creare servizi (e beni primari) di cui godono equamente tutti i cittadini, sia perché – come accade in numerosi paesi europei – lo Stato si incarica direttamente (attraverso sostegni al reddito o a determinati momenti della vita come la maternità e lo studio) di elargire denaro e beni primari come la casa. In Italia, oggi, le aliquote fiscali vanno dal 23% al 43% dei redditi lordi. Molto alte le aliquote inferiori, piuttosto basse quelle per i redditi maggiori. Nel 1973, anno della riforma fiscale, le aliquote andavano dall’11.8% al 58.7%.
Eccoci all’oggi: a una crescente concentrazione della ricchezza, corrisponde la depressione economica. E in Italia, ci troviamo ad avere il 10 per cento delle famiglie possiede il 45 per cento della ricchezza, mentre c’è un 50 per cento delle famiglie che in totale arriva a mettere insieme il 10 per cento della ricchezza totale. Che è aumentata e non diminuita nel corso degli anni, ed è semplicemente passata di mano, concentrandosi sempre di più.
Smettiamo di chiamare crisi quella che è ingiustizia. La crisi dipende da tanti fattori. L’ingiustizia, e soprattutto il continuare a subirla, dipende da noi.
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Il Cairo, 4 mar. (Adnkronos) - I leader arabi concordano di istituire un fondo fiduciario per finanziare la ricostruzione della Striscia di Gaza, devastata dalla guerra, sollecitando il contributo internazionale per accelerare il processo di ricostruzione. Secondo il comunicato finale del vertice della Lega araba al Cairo, visionato dall'Afp, il fondo "riceverà impegni finanziari da tutti i paesi donatori e dalle istituzioni finanziarie" per realizzare progetti di ricostruzione nel territorio.
Tel Aviv, 4 mar. (Adnkronos) - Il Ministero degli Esteri israeliano afferma che la dichiarazione del vertice arabo tenutosi al Cairo per discutere della ricostruzione di Gaza non ha affrontato la realtà della situazione successiva al massacro perpetrato da Hamas il 7 ottobre 2023. "È degno di nota che il feroce attacco terroristico di Hamas non venga menzionato e che non vi sia nemmeno una condanna di questa entità terroristica omicida, nonostante le atrocità documentate", afferma la dichiarazione.
il ministero elogia invece il piano del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di trasferire i cittadini di Gaza, sostenendo — nonostante Trump parli di trasferire tutta la popolazione della Striscia — che in base a questo, "c'è un'opportunità per i cittadini di Gaza di scegliere liberamente. Questo deve essere incoraggiato".
Sana'a, 4 mar. (Adnkronos) - Gli Houthi hanno abbattuto un drone statunitense nei cieli della città portuale di Hodeidah nello Yemen. Lo ha dichiarato portavoce del gruppo, Yahya Saree, in un post su Telegram.
Washington, 4 mar. (Adnkronos) - Secondo due fonti informate sui colloqui, gli Stati Uniti e l'Ucraina potrebbero firmare l'accordo sui minerali già oggi. Lo rende noto Abc News, secondo cui Trump ha indicato ai suoi principali consiglieri che vorrebbe concludere l'accordo prima del suo discorso congiunto al Congresso.
Il Cairo, 4 mar. (Adnkronos) - Il vertice arabo convocato al Cairo ha adottato un piano egiziano per la ricostruzione di Gaza. Lo ha affermato il presidente egiziano Abdel-Fattah al-Sisi in una dichiarazione conclusiva. Il piano mira a contrastare le proposte del presidente degli Stati Uniti Donald Trump per una "Riviera mediorientale" con un piano per ricostruire la Striscia devastata senza sfollare la sua popolazione.
Parigi, 4 mar. (Adnkronos/Afp) - Il presidente francese Emmanuel Macron ha accolto con favore la volontà del suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky “di riprendere il dialogo con gli Stati Uniti d'America”, secondo quanto riferito dall'Eliseo.
Il capo di Stato “ha ribadito la determinazione della Francia a lavorare con tutte le parti interessate per attuare una pace solida e duratura in Ucraina”, ha dichiarato la presidenza.
Roma, 4 mar. (Adnkronos) - Elly Schlein è netta sul piano lanciato oggi da Ursula Von der Leyen. "Noi non ci stiamo", la posizione della segretaria del Pd. Una linea che, pur con sfumature diverse, trova d'accordo anche l'area riformista dem. Servono "modifiche", dice Lorenzo Guerini. In particolare, a mettere tutti d'accordo è la bocciatura della proposta della presidente della Commissione Ue sulla possibilità di dirottare i fondi di Coesione sulle spese per la difesa. E non solo. Anche la deroga al patto di Stabilità da parte dei singoli Stati, fuori da regia e investimenti comuni sulla difesa, è giudicata un errore trasversalmente tra i dem.
Schlein ha già annunciato che porterà la posizione del Pd alla riunione dei Socialisti e Democratici giovedì mattina a Bruxelles, il pre-vertice che precede il Consiglio europeo straordinario. In vista dell'appuntamento Schlein oggi ha sentito il premier spagnolo Pedro Sanchez. "Una lunga conversazione sullo scenario internazionale e la complicata situazione mondiale", fanno sapere fonti dem. Quella del Pd è la delegazione più numerosa nella famiglia socialista europea. Senza l'ok dei socialisti il piano Von der Leyen traballa. "È il momento delle scelte e della chiarezza. Abbiamo bisogno di una risposta all'altezza della sfida globale - strategica, economica, politica - al ruolo dell'Europa nel mondo. E questa risposta non è quella presentata oggi", rimarca Schlein.
Negli equilibri interni al Pd, la sollecitazione dei riformisti è quella di lavorare per modificare il piano Von der Leyen, "aiutare ad andare nella direzione giusta" ed evitare che ci si arrocchi in un "no a tutti i costi". L'importante, si spiega, "è non mettere in discussione la necessità dell'aumento di risorse per la difesa europea". Per Guerini si tratta di un'esigenza "ineludibile". Quindi la sollecitazione del presidente del Copasir: "Ora bisogna mettersi al lavoro, innanzitutto all’interno del Pse, per confermare in maniera convinta il nostro impegno per maggiori investimenti e capacità militari europee provando a dare un indirizzo più coerente agli strumenti per farlo".
Per Schlein "quella presentata oggi da Von Der Leyen non è la strada che serve all’Europa. All’Unione europea serve la difesa comune, non il riarmo nazionale. Sono due cose molto diverse". Anche il titolo 'Rearm' ha fatto sobbalzare più di uno e anche la segretaria lo mette in evidenza. "Il piano Von Der Leyen, a partire dal titolo, punta sul riarmo e non emerge un indirizzo politico chiaro verso la difesa comune".
Quindi elenca i nodi: "Indica una serie di strumenti che agevolerebbero la spesa nazionale ma senza porre condizioni sui progetti comuni, sull’interoperabilità dei sistemi. Ci sono molti aspetti da chiarire, ad esempio su come funzionerebbe il nuovo meccanismo in stile Sure, per capire se finanzia progetti comuni o spesa nazionale. Ma questa -avverte- non è la strada giusta. Manca ancora la volontà politica dei governi di fare davvero una difesa comune e in questo piano della Commissione mancano gli investimenti europei finanziati dal debito comune, come durante la pandemia. Così rischia di diventare il mero riarmo nazionale di 27 paesi e noi non ci stiamo".
"Noi -insiste- abbiamo un’idea precisa. Quello che serve oggi è un grande piano di investimenti comuni per l’autonomia strategica dell’Ue, che è insieme cooperazione industriale, coesione sociale, transizione ambientale e digitale, sicurezza energetica e anche difesa comune. Anche, ma non solo! Magari cancellando le altre cruciali priorità su cui i governi sono più divisi. È irrinunciabile contrastare le diseguaglianze che sono aumentate. Per questo è inaccettabile utilizzare i fondi di coesione per finanziare le spese militari nazionali".
Punti critici che vengono rilevati anche dai riformisti. Per Guerini "la proposta Von der Leyen definisce giustamente l’obiettivo in termini di risorse", ma "così come è stata prospettata necessita di essere modificata: è sbagliato l’utilizzo dei fondi di coesione e c’è poco coraggio a sostenere un vero salto in senso europeo delle spese per la difesa". Avverte Alessandro Alfieri: gli strumenti "che mettiamo in campo devono portare ad una maggiore integrazione delle principali aziende della difesa europea. In questo senso, se non vengono messe condizionalità alle deroghe al patto di stabilità, l’aumento dei bilanci dei singoli Paesi verrà speso prevalentemente su mercati extra Ue, da cui oggi dipendiamo per l’80%. Aumentando la dipendenza strategica dagli Usa anziché diminuirla".
Per il coordinatore della minoranza dem, il Pd non dovrà far "mancare il proprio contributo in tutte le sedi così come spiegheremo che serve una narrazione diversa che convinca le opinioni pubbliche europee a sostenere la sfida ineludibile della costruzione della difesa europea. Magari chiamando questa sfida Protect Europe invece di Rearm. Perché anche il linguaggio ha la sua importanza...”.
Interviene anche Giorgio Gori a sollevare criticità: sarebbe "un errore - ritengo, da parte della Commissione Europea - autorizzare maggiori spese per la difesa dei singoli Stati membri, in deroga al patto di stabilità, fuori da una comune regia. Ciò finirebbe per approfondire la frammentazione, senza apprezzabili benefici per la sicurezza comune. La deroga dal patto dovrebbe invece essere autorizzata solo per gli investimenti comuni: così si porrebbero le condizioni per l'avvio di un vero sistema di difesa europeo". E poi "ugualmente discutibile appare poi la contrapposizione tra spesa per la difesa e spesa sociale, suggerita dalla facoltà per gli Stati membri di attingere ai fondi per la coesione". Intanto questa mattina la vicepresidente del Parlamento Ue, Pina Picierno ha lanciato un appello via social per un'Europa 'Libera e forte' in 5 punti, difesa comune compresa. Oltre duemila, finora, le adesioni.