“Questo Di Matteo non ce lo possiamo dimenticare. Corleone non dimentica“. Il boss Totò Riina torna a minacciare, dal carcere, il pm palermitano Nino Di Matteo. Il 14 novembre il boss si è rivolto così a un uomo d’onore della Sacra Corona Unita con cui condivide l’ora d’aria.
Il giorno precedente era stata pubblicata la notizia di altre sue minacce nei confronti del magistrato e dell’intenzione di trasferire il pm, per motivi di sicurezza, proprio a seguito delle intimidazioni del boss, in una località segreta. Al mafioso pugliese che gli chiedeva come avrebbe fatto ad eliminarlo se l’avessero portato in una località riservata, Riina avrebbe risposto: “Tanto sempre al processo deve venire“.
Le conversazioni dei due capimafia – sia quella relativa alle notizie pubblicate il 13 novembre, sia quella successiva del 14 – erano intercettate e dovrebbero essere depositate agli atti del processo sulla trattativa Stato-mafia in corso davanti alla corte d’assise di Palermo. Le intercettazioni rivelano la volontà del capomafia di eliminare il magistrato.
Affermazioni che tradiscono un odio profondo verso il pm oggetto di insulti pesanti e minacce di morte. “Gli finisce come a Falcone che voleva venire a vedere la mattanza e poi ha fatto la fine del tonno”, dice il boss a Lorusso. “Quello si vuole portare a tutti (vuole arrestare tutti ndr), pure il Presidente della Repubblica“, commenta dopo l’udienza del processo sulla trattativa in cui si è discusso della citazione a testimoniare del Capo dello Stato. E ancora, sempre riferendosi a Di Matteo: “fa dire le cose alle persone, tira fuori tutto”, dice.
Quello che viene fuori dalle conversazioni intercettate per quattro mesi dalla Procura di Palermo è un Riina in preda a una vera e propria esaltazione della “sua” Cosa nostra e delle violente gesta portate a termine sotto al suo potere, un Riina che rivendica le stragi, che vorrebbe stare fuori per fare vedere come si comanda e che prende atto che le nuove leve al vertice non sono alla sua “altezza”. Il vecchio capo dei capi sospetta di essere intercettato? Su questo si interrogano i magistrati che cercano di capire se dietro alle esternazioni ci sia l’intenzione di mandare messaggi all’esterno. Ad esempio per rassicurare, assumendosi la piena responsabilità della stagione stragista, che nessun altro verrà coinvolto.
Le lunghe “chiacchierate” del padrino, ottantenne ma lucidissimo e ancora unico punto di riferimento delle cosche, verranno depositate al processo sulla trattativa Stato-mafia in cui ha deposto il pentito Leonardo Messina. Una testimonianza lunga in cui si è parlato delle voci che giravano in Cosa nostra sull’affiliazione ai clan di Andreotti e dei progetti separatisti della mafia che voleva creare una sorta di Lega del Sud. E proprio dopo alcune udienze del dibattimento in corso davanti alla corte d’assise Riina si è lasciato andare alle minacce e agli insulti.
Nell’ultima conversazione oggetto degli epiteti del padrino sarebbe stato anche il procuratore di Palermo Francesco Messineo che aveva definito le minacce a Di Matteo “una chiamata alle armi”. Le parole del boss, di cui è stato informato il ministro dell’Interno Angelino Alfano, martedì a Palermo per il Comitato Nazionale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica, destano ancora più preoccupazione alla luce della lunga serie di anonimi ricevuti da Di Matteo nei mesi scorsi. Lunghe e dettagliate lettere, alcune di chiara provenienza “istituzionale” e piene di particolari che solo in ambienti investigativi possono essere conosciuti, altre scritte sicuramente da appartenenti a Cosa nostra. In una si parla di un assenso di Riina all’attentato a Di Matteo, affermazione che alla luce delle ultime minacce del boss fa davvero paura.
“Gli organi di informazione continuano a diffondere minacce del boss Riina ai magistrati di Palermo in prima linea contro la mafia. Il parlamento attende ancora chiarimenti dal ministro dell’Interno Alfano per l’allarme lanciato attraverso i giornali e sarebbe opportuno che anche il ministro della Giustizia Cancellieri spiegasse la natura e l’origine di queste minacce che arrivano dall’interno di un carcere”. I deputati del Partito democratico Michele Anzaldi, Donatella Ferranti (presidente commissione Giustizia della Camera), Danilo Leva (responsabile Giustizia del Pd), Walter Verini (capogruppo Pd in commissione Giustizia) chiedono spiegazioni.
“Su una questione così delicata – spiegano gli esponenti del Pd – grazie alla pessima gestione emersa è stata fatta una grandissima confusione. È urgente che il Parlamento venga informato in maniera chiara e trasparente, affinché tutti i cittadini conoscano quali rischi corrono e quali minacce sono portate contro i magistrati che ogni giorno rischiano la vita per far rispettare la legalità. Non è accettabile che un tema così rilevante per la sicurezza nazionale sia trattato a mezzo stampa”.
La presidente della Commissione Antimafia, Rosy Bindi, nel corso della seduta di giovedì pomeriggio ha rinnovato la solidarietà ai magistrati: “La settimana scorsa a Palermo nell’incontro, molto utile e tempestivo, abbiamo raccolto le preoccupazioni della Procura non solo in relazione alle intimidazioni rivolte ai magistrati impegnati nel processo sulla trattativa Stato Mafia, ma anche alle numerose minacce a cui sono esposti i magistrati impegnati nel settore nelle misure di prevenzione, che a Palermo stanno dando risultati importanti. Vogliamo dimostrare con il lavoro della Commissione – prosegue – la nostra vicinanza a chi è impegnato a combattere Cosa Nostra. Lo faremo con gli strumenti che abbiamo a disposizione non solo per capire cosa è davvero avvenuto in passato ma per prestare attenzione a quello che sta accadendo e può accadere oggi. Dobbiamo capire – aggiunge Bindi – come sta cambiando e in quale direzione la strategia dei poteri mafiosi. Per questo intendo proporre, nel prossimo Ufficio di presidenza, la nomina di un relatore sulla questione della trattativa Stato mafia che ci offra una lettura critica e obiettiva del lavoro svolto su questo dalla precedente Commissione, per condividere un metodo che ci permetta di decidere come proseguire”.