Si discute molto in questi giorni del rapporto sul Corruption Perception Index (CPI) del 2013 stilato da Transparency International, che vede l’Italia terzo paese più corrotto in Europa dopo Grecia e Bulgaria e a ‘pari demerito’ con la Romania, nonostante un impercettibile miglioramento. Dal 1995, anno della prima edizione del CPI, il nostro paese ha consolidato una disonorevole reputazione di democrazia infiltrata dalla corruzione sistemica.
Eppure, come sostiene la direttrice di Transparency International Italia, Maria Teresa Brassiolo, la corruzione non è un destino inevitabile, ma un abito culturale. In tal senso nella lotta al fenomeno corruttivo la prevenzione gioca un ruolo strategico, perché capace di agire sulle occasioni e sui fattori determinanti della corruzione, su quei comportamenti deviati ascrivibili alle zona d’ombra del governo in cui il potere si fa opaco e invisibile.
Una politica di prevenzione interviene principalmente a livello amministrativo, promuovendo la cultura della trasparenza nella Pubblica Amministrazione. La corruzione pubblica si insidia, infatti, nelle amministrazioni che non garantiscono tracciabilità e rendicontazione della propria attività. E’ questa una verità talmente ovvia che quasi novanta Stati nel mondo si sono dotati di una legge specifica sulla libertà d’informazione, nota come Freedom of Information Act (Foia). Il Foia garantisce un diritto di accesso totale ai documenti amministrativi, rivelandosi un potente strumento di democrazia e controllo. Non a caso, nei paesi in cui la trasparenza è un’abitudine consolidata, il tasso di corruzione pubblica percepita è bassissimo.
L’Italia, come al solito, resta un’eccezione. La nostra legge sulla trasparenza amministrativa (l.n. 241/1990) è tra le più restrittive d’Europa. La norma avrebbe dovuto rivoluzionare il rapporto tra amministratori e cittadini, sostituendo al principio del segreto d’ufficio il principio di pubblicità dell’attività amministrativa, ma risulta inadeguata e non conforme alle disposizioni internazionali. Essa impone una grave limitazione al diritto di accesso, riconosciuto soltanto al cittadino titolare di un interesse legittimo e motivato nei confronti della documentazione pubblica. Soprattutto, la legge non consente l’accesso finalizzato al controllo sociale sull’operato della Pubblica Amministrazione che, di fatto, resta agli occhi dei cittadini un corpo separato e impenetrabile.
Nonostante l’evoluzione della disciplina giuridica in materia e le pressioni della società civile, la l. 241/1990 non è stata abrogata. Un Foia non è stato ancora adottato. L’istituto dell’accesso civico introdotto dal d.lgs. 33/2013 non modifica né sostituisce il diritto di accesso della legge 241. La proliferazione delle norme sulla trasparenza ha generato maggiore incertezza e sovraccaricato le amministrazioni di una miriade di obblighi di pubblicità che, da soli, non sono sufficienti a garantire trasparenza. Il patrimonio informativo della Pubblica Amministrazione deve risultare anche comprensibile, fruibile, riutilizzabile, tale da consentire ad ogni cittadino la partecipazione alle decisioni pubbliche e un controllo diffuso sulle attività istituzionali, diritto quest’ultimo che discende dal principio costituzionale della sovranità popolare.
Del resto, come indicano i monitoraggi svolti dalla Civit e dalla società civile sull’assolvimento degli obblighi di trasparenza, la nostra Pubblica Amministrazione non sembra disposta a collaborare. Educata alla totale riservatezza, tradizionalmente restia a interrogarsi e farsi interrogare, essa non riesce a stabilire una relazione simmetrica e paritaria coi suoi cittadini, spesso relegati al rango di sudditi.
L’Italia è un paese democratico e come tale non può fare a meno di una legge sulla libertà d’informazione. L’opacità del potere è incompatibile con la natura della democrazia, concepita, citando Norberto Bobbio, come ‘governo del potere visibile’.
Quello di cui abbiamo bisogno è una rivoluzione culturale, oltre che legislativa, in grado di annientare il culto della segretezza dell’attività amministrativa. Altrimenti una Pubblica Amministrazione ‘casa di vetro’, in cui il cittadino da fuori possa ‘guardare dentro’, è destinata a restare una chimera, così come lontana resta la risalita nella classifica di Transparency International.
di Cinzia Roma