“È tutto pronto, e lo faremo in modo eclatante”. È l’ultima, gravissima, minaccia, di Totò Riina, ascoltata qualche giorno fa e ritenuta più seria e pesante di tutte le altre: nel carcere di Opera il boss corleonese continua a parlare e quella frase captata dagli investigatori della Dia di Palermo ha fatto scattare domenica l’allarme rosso per Nino Di Matteo, il pm della trattativa Stato-mafia.
Nonostante il giorno festivo, il procuratore di Palermo Francesco Messineo e quello di Caltanissetta Sergio Lari, dopo un breve incontro con Di Matteo nel palazzo di Giustizia di Palermo, sono volati con urgenza a Roma per avvertire il ministro dell’Interno Alfano, come impone una norma del codice di procedura penale in presenza di fatti che possono provocare grave allarme sociale e problemi di ordine pubblico. Alfano ha convocato il capo della Polizia Alessandro Pansa e si sarebbe valutata anche l’eventualità di suggerire a Di Matteo di rinunciare alla trasferta milanese, prevista per domani, per l’interrogatorio del pentito Giovanni Brusca nell’aula bunker di via Ucelli di Nemi, nel processo per la trattativa Stato-mafia.
Fino alla tarda serata di ieri, infatti, la presenza del pm in aula a fianco dei colleghi era ancora top secret. Gli investigatori che in passato hanno “ascoltato” il boss parlare di Di Matteo con un mafioso della Sacra Corona Unita, durante l’ora d’aria, si sono allarmati, inoltre, per una frase pronunciata da Riina in risposta all’obiezione del suo interlocutore: “lo vogliono trasferire in una località segreta per motivi di sicurezza”. “Sempre al processo deve venire”, avrebbe replicato Riina e gli analisti sono convinti che quel riferimento fosse all’udienza milanese. L’alto livello di allarme attorno a Di Matteo è stato confermato dal procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, che ieri a Reggio Calabria, nella prima delle audizioni programmate dalla commissione antimafia ha detto: “Il detenuto Riina manifesta odio e vendetta contro i magistrati siciliani”. E quando i commissari gli hanno chiesto da quale fonte si ricavano le minacce ai pm, l’audizione del procuratore è stata secretata.
Nel giorno dell’Immacolata, insomma, il palazzo di giustizia di Palermo è ripiombato indietro di 21 anni: nelle stanze della Procura si è rivissuto il clima infuocato della primavera-estate del ’92 e lo stesso Di Matteo, che ha sempre manifestato solo la sua tranquilla dedizione al proprio lavoro, dopo le ultime minacce di Riina è apparso risentire del clima di fortissima tensione generato dalla lettura progressiva delle intercettazioni del boss che continua a parlare a ruota libera. Agli uomini della scorta il pm ha raccomandato la “massima attenzione”, con toni e accenti che avrebbero fatto scendere a chiunque piu’ d’un brivido nella schiena, se non si trattasse di gente addestrata a far fronte ad ogni situazione. E in queste ore si è valutato anche di chiedere la dotazione di vetri oscurati nelle auto di scorta, per sfuggire alla identificazione della vettura che trasporta il magistrato. E di invocare il bomb-jammer come antidoto urgente agli attentati con esplosivo.
Sulle minacce a Di Matteo ha risposto ai commissari dell’Antimafia anche il Guardasigilli Anna Maria Cancellieri, secondo cui “le notizie relative alle minacce a Di Matteo o ad altri magistrati non sono passate attraverso l’amministrazione” penitenziaria. “Nell’ambito dell’attività svolta dal Dap – ha aggiunto il ministro – non risultano elementi espliciti di minacce da Riina nei confronti di magistrati. Tutti i documenti in nostro possesso sono stati comunque portati all’attenzione del Procuratore antimafia”.
da Il Fatto Quotidiano del 10 dicembre 2013