“Davide Faraone l’ho allevato io, difendendolo nella lunga serie di minchiate che ha combinato”, aveva detto, allargandosi un poco, Mirello Crisafulli. E una di queste l’hanno tirata fuori ieri i grillini per dargli il benvenuto nella segreteria renziana. Sul sito del gruppo M5S alla Camera hanno citato Martin Scorsese e il suo film Quei bravi ragazzi per disegnare il profilo di Faraone: 38 anni, una figlia di nove, neo-responsabile del welfare del Pd e fan di Renzi della prima ora. “Ecco il nuovo che avanza – recita il sito sotto un titolo che richiama il film di Scorsese – ha incontrato persone poi condannate per mafia mentre raccattava voti per la città per la campagna elettorale per le regionali del 2008”. Il riferimento è a una storia di cinque anni fa, quando, scrivono i grillini, “il 10 marzo 2008 (Faraone, ndr) si accomoda nel salotto di Agostino Pizzuto, custode dell’arsenale della famiglia del quartiere San Lorenzo-Resuttana. E si parla di voti”. Tutti gli ospiti sono incensurati, ma in quel momento sotto indagine dei carabinieri che, appostati fuori, registrano l’arrivo del futuro deputato che Pizzuto chiama per nome, “Davide”.
E quattro giorni dopo una microspia piazzata nell’auto di Pizzuto, ufficialmente giardiniere del Comune a Villa Malfitano, dove custodiva le armi della cosca, capta un colloquio con un altro degli indagati, Antonino Caruso, anch’esso pubblicato sul sito dei grillini: “Allora hanno chiesto qualche cortesia… qualche cosa si matura… noi altri abbiamo fatto la campagna elettorale per Faraone…”, dice Caruso. Che aggiunge: “Faraone ci dice… non ce l’abbiamo fatta, mi è dispiaciuto, mi devo ricandidare al Comune…”.
La storia finisce in un’informativa dei carabinieri depositata al processo contro il deputato regionale Antonello Antinoro, imputato per voto di scambio, e in quell’occasione Faraone reagisce denunciando nei suoi confronti “una campagna di fango costruita ad arte da poteri forti che in questi 10 anni hanno gestito la città attraverso un sistema politico-affaristico-mafioso”. Concetti analoghi, ma parole attenuate, quattro anni dopo, durante le primarie del Pd per il Comune di Palermo. Stefania Petix, l’inviata di Striscia la notizia, e il suo fedele bassotto sorprendono Faraone mentre rassicura il membro di una cooperativa di disoccupati, Palermo Migliore, che poco prima avevano indetto una riunione per invitare i soci a votare per lui. “Sono caduto in un trappolone ordito dai personaggi coinvolti in queste primarie – replica – sto cercando di scoprire, con delle indagini personali, chi siano e perché hanno agito ai miei danni”. Incidenti in un percorso cominciato nelle file del Pds a Palermo, tra borgate e periferie urbane, che hanno scaricato sulle spalle del giovane quasi quarantenne una responsabilità pesante: prima di lui, a parte una breve parentesi di Giuseppe Lupo, l’ultimo palermitano a sedere nella segreteria del più forte partito della sinistra italiana si chiamava Pio La Torre.
Su di lui Matteo Renzi scommise senza esitazione. Eppure lo stesso Faraone, che giurava di finanziarsi con le cene elettorali, lo aveva messo in guardia: “Stai alla larga che forse perdo”. Mantenne, invece, la posizione accanto al suo leader, smarcandosi da Crisafulli con il blocco dei seggi a Enna (Mirello lo definì “il capo degli infami”) e mostrando l’estate scorsa una grinta e un linguaggio nuovi, quando demolì le norme sul lavoro giovanile varate da Letta, definendole “una presa per i fondelli” partorita “da persone fuori dal mondo”.
da Il Fatto Quotidiano del 11 dicembre 2013