Detrazioni al 75% per la scuola, ma solo per quella dei partiti. Tra le pieghe del decreto che abolisce il finanziamento pubblico – approvato di corsa dal consiglio dei ministri così com’era passato alla Camera – c’è un contributo per “corsi di formazione politica”. Promossi e organizzati, manco a dirlo, dai partiti stessi. E’ il comma 3 dell’articolo 11 che disciplina le “detrazioni per erogazioni liberali”. In quattro righe il testo crea un veicolo di finanziamento che, nella migliore delle ipotesi, potrebbe resuscitare gloriose tradizioni come la scuola delle Frattocchie, nella peggiore potrebbe inaugurare la stagione di “un Cepu in ogni circolo”, con una classe di partito anche nel più remoto paesino d’Italia. E diventare, così, l’ennesimo espediente per una partita di giro sul finanziamento pubblico della politica.
Cosa dice il decreto? Che a decorrere dal 2014 dall’imposizione sul reddito degli italiani è detraibile un importo pari al 75% delle spese sostenute per la partecipazione a scuole o corsi di formazione politica promossi e organizzati dai partiti. Come funziona? In pratica il partito organizza un corso di 1000 euro. Lo studente si iscrive e paga, tanto lo Stato gli restituirà tre quarti della cifra, grazie alla detrazione. Di gran lunga più generosa di quella concessa sull’Irpef per spese di istruzione comune – dal nido alla scuola superiore, dalle rette universitarie e fino ai master – che è fissata al 19% e non al 75%. Del resto anche quella per i soldi cash dati ai partiti è superiore: per le erogazioni in denaro, senza neppure la formazione, l’aliquota è fissata al 26%.
Ma attenzione, la detrazione per i corsi non potrà superare il limite di 750 euro per ciascuna annualità a persona. Un paletto inserito nella legge per sbarrare la strada a quanti volessero alzare l’asticella del rimborso e gonfiare il costo dei corsi. E tuttavia quella soglia potrebbe spingere i partiti in cattedra a puntare sulla quantità. E allora ecco la contromisura nell’articolo successivo che è scritto proprio per evitare il diffondersi di corsi tipo Cetto Laqualunque. L’articolo 4 chiarisce che la detrazione è subordinata al fatto che le scuole o i corsi di formazione politica siano appositamente previsti in un “piano per la formazione politica” che deve essere presentato da ciascun partito entro il 31 gennaio di ogni anno all’apposita “Commissione di garanzia” per il controllo della trasparenza e dei rendiconti.
Mica roba complicata, per carità: il partito dovrà limitarsi a indicare “i temi principali, i destinatari e le modalità di svolgimento, anche con riferimento all’articolazione delle attività sul territorio nazionale, nonché i costi preventivati”. La Commissione, che ovviamente siede in Parlamento e la cui composizione sarà indicata dai partiti, entro 15 giorni esamina il programma e se non ci sono attività manifestamente estranee alle finalità di formazione politica, comunica il proprio nulla osta al partito interessato entro i quindici giorni successivi. Il partito, ottenuto l’ok, può procedere con l’organizzazione e le iscrizioni.
Ancora da capire se i partiti, nei decreti attuativi, potranno poi incaricare le fondazioni politiche di riferimento (Italianieuropei, Magna Carta, Astrid, Democratica, Vedrò, Liberal…) che si fregiano di formare la nuova classe dirigente (ma raramente pubblicano i loro bilanci). E allora lì, coi soldi che girano, potrebbe essere davvero la grossa partita di giro. Cosa insegnerà il partito? L’offerta proposta finora, basta una rapida ricognizione in rete, non vola sempre altissimo. Proprio oggi, ma è un esempio tra tanti, il circolo del Pd di Imperia organizza un “corso per la raccolta differenziata”. Chissà se a gennaio potrà rientrare, magari con altra dicitura, nel piano di formazione del partito. “Formare per fare” è il titolo, forse un po’ generico, di un corso del Pdl di Marigliano, in provincia di Napoli. Sottotitolo: come diventare buoni amministratori. Tra i docenti il primo cittadino di Brusciano Giosy Romano. Sindaco sì, ma da soli tre mesi.