Un tombino di ghisa con un enorme foro in mezzo. “Guardate – dice un carabiniere – qui ieri hanno lanciato la bomba carta”. A ridosso c’è il palazzo del comune di Nichelino, 50mila abitanti, prima cerchia dell’hinterland di Torino. Muri color crema. Al piano terra i vetri delle finestre sono andati in frantumi, poco oltre sul marciapiede i segni di una seconda bomba carta. Dall’altra parte, in piazza Di Vittorio, il presidio dei Forconi. Sono qua da quattro giorni e non mollano. Due giorni fa, per ore, hanno tenuto sotto assedio il municipio, bloccando all’interno il sindaco Pd Giuseppe Catizone, renziano della prima ora, e alcuni vigili. Da quel gruppo di almeno 500 persone sono partiti i petardi artigianali. A loro della politica nazionale interessa poco. Dei discorsi fatti in piazza Castello da Luigi Calvani, il fondatore del movimento 9 dicembre, condividono il giusto. Il nodo da sciogliere sta a venti metri dalle bandiere dell’Italia e dai fuochi accesi per combattere il gelo. Sta al secondo piano del palazzo del Comune. “Il sindaco – hanno urlato ancora ieri – se ne deve andare”.
Una scelta che ha trasformato questa cittadina nel simbolo nazionale di una protesta che qui rifiuta i simboli della politica, anche se poi si tiene dietro a leader di destra come Andrea Sinopoli, ex An poi Pdl e ora con tutti e due i piedi in Fratelli d’Italia dell’ex ministro La Russa. Lui attacca: “Da 40 anni qui governa la sinistra e utilizza le municipalizzate per incassare voti”. Quindi riprende il filo degli scontri, legando la violenza alle parole che Catizione ha pubblicato su Facebook. “Altro che Forconi, sono solo quattro forchette, questo ha scritto”, urla Sinopoli che si porta dietro un codazzo di ragazzi da stadio, commercianti e disoccupati come Carla: “Sono senza lavoro dal 2006, quando la Dil (azienda che faceva stampi per la Ferrero, ndr) ha chiuso, il sindaco di Nichelino ci aveva promesso mare e monti, poi nulla”.
Ci sono studenti come Marco che frequenta uno dei due istituti della città. “Sono del Maxwell – dice – e martedì siamo andati all’Erasmo da Rotterdam (un’altra scuola) per dire di venire in piazza. Avevo solo la bandiera dell’Italia e mi hanno dato del fascista”. E poi c’è Leo, cappello di lana in testa, e voce roca: “Quello – e indica il comune – racconta che io l’ho sequestrato ma non è vero”. Il sindaco Catizione , eletto al secondo mandato nel 2009 con il 70% di voti (cifra record per un comune con oltre 50mila abitanti), la pensa diversamente. “Per due giorni hanno bloccato la macchina amministrativa. Mercoledì ci hanno accerchiato. Poi il ministro Alfano ha mandato i rinforzi”. Catizione, ieri, è stato sentito in Procura a Torino. Su Nichelino è stato aperto un fascicolo conoscitivo senza ipotizzare, al momento, il reato.
In questa storia destra e sinistra si sfiorano ma non si toccano. Perché al di là dei capi popolo che guidano i cortei, ma poi in tasca si fanno i conti per le prossime elezioni (a Nichelino saranno nel giugno 2014), qui ciò che si respira è la rabbia di una cittadina diventata grande all’ombra della Fiat e di un indotto floridissimo. Che ha visto crescere la speculazione edilizia su un territorio con 4mila abitanti per chilometro quadrato e ora si ritrova le fabbriche chiuse con un tessuto sociale ormai a pezzi. Mirafiori è a un passo. Eppure sembra preistoria. “In Fiat eravamo oltre 200 mila operai – ricorda Franco, alle spalle oltre trent’anni di fabbrica – , e se la Fiat chiude Torino muore”. Ora vive con una pensione di mille euro e abita nelle case all’angolo tra via Parri e via Amendola nel quartiere operaio del Castello: edilizia popolare con i tetti in amianto. “Quando piove si allaga tutto – racconta Francesco che ha una tabaccheria vicino alla Coop – d’estate poi è peggio: insetti, scarafaggi”.
In piazza Aldo Moro è giornata di mercato. Dopo tre giorni senza lavorare, Pino ha riportato qui il suo furgone. “Certo che sono andato in piazza – dice – , non ce la facciamo più, troppe tasse, e nemmeno i soldi per i miei figli, io ho sempre votato a sinistra, ma ora è tutto uguale, fino a poco tempo fa facevo l’operaio”. Pietro al banco vende olive e merluzzo. “Anche io ho votato sinistra, ma ora basta. Qui non è più questione di politica, la nostra è la guerra dei poveri”. E poi c’è Angela, capelli scuri, occhiali e voce squillante del sud. Non parla, urla: “Stavo in una casa popolare ma mi hanno cacciato, ora vivo in affitto a 400 euro con una pensione da 450, non è vita”. Perché qui a Nichelino, centro e simbolo dei Forconi, la crisi devasta e il rilancio economico stenta. Che fare? “Io – dice Catizione – posso ben poco se non snellire la burocrazia”. Il resto sta nella speranza dei soliti centri commerciali come Mondo Juve e Auchan che da qui a quattro anni promettono di assorbire duemila posti di lavoro. Un po’ pochino.
di Cosimo Caridi e Davide Milosa
da Il Fatto Quotidiano del 13 dicembre 2013