Solo qualche settimana fa avevamo ricordato come la politica abbia sempre trovato il modo di disattendere la volontà dei cittadini, confermata dal referendum del ’93 indetto dai Radicali, sull’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti attraverso una serie di artifici linguistici che rimodellavano la forma lasciando intatta la sostanza del denaro pubblico elargito a pioggia sulle segreterie politiche. E avevamo anche riportato la notizia di un intervento della Corte dei Conti che aveva chiesto alla Consulta di dichiarare illegittime tutte le leggi sul finanziamento varate dal 1993 ad oggi, sempre in virtù della violazione della volontà popolare stabilita dal referendum. Questioni che, con altre, hanno indotto Enrico Letta a sbrigarsi a mettere mano a quello che il Parlamento, ma in particolare il Senato, non sembrava aver voglia di concludere. La legge approvata dalla Camera il 16 ottobre scorso, infatti, era stata insabbiata dentro la commissione Affari Costituzionali del Senato, bloccata dalla discussione (altrettanto inutile) sul cambio della legge elettorale, ora passato nella disponibilità di Montecitorio, e niente l’avrebbe fatta riemergere; il patto tra i rappresentanti della partitocrazia più pura e trasversale era chiaro: nessuna intenzione di privarsi della loro unica fonte di sostentamento. E di parassitismo.
Letta, dunque, ha mantenuto una parte della promessa fatta ad aprile, quella di metter mano ad un decreto per sveltire la pratica dell’abolizione che, comunque, entrerà a regime nel 2017 e fino ad allora i partiti continueranno a intascare il denaro pubblico sotto forma di rimborsi. La sfida che si apre, a questo punto, sta proprio su questo aspetto, messo in evidenza con una certa perfidia da Grillo, a caldo delle dichiarazioni di Letta. E cioè vedere quali partiti rinunceranno, fin da subito, anche alla parte di denaro che gli spetterebbe da qui al 2017.
Gli occhi sono puntati soprattutto sul Pd, l’unico partito che possiede ancora un costosissimo apparato e conta qualche centinaio di dipendenti. Le scelte di Renzi, insomma, sono nel mirino. Da una parte, infatti, c’è senz’altro la voglia, da parte del sindaco di Firenze, di azzerare un’era e aprire un nuovo capitolo della vita politica del Pd, rinunciando fin da subito ai 45 milioni di euro di rimborsi solo per l’anno in corso in modo – anche – da mettere a tacere Grillo e i suoi. Dall’altra, però, Renzi deve anche fare i conti con diversi posti di lavoro, non solo di quelli dell’apparato ma anche dei semplici dipendenti del Nazareno. Rinunciare a quei rimborsi significa licenziare fin da subito quasi 300 persone e questo nessun segretario appena eletto se lo può permettere, nonostante si sia appena all’inizio di quella che tradizionalmente viene definita “luna di miele” tra i neoeletti, l’apparato vecchio stile e i media. Renzi, probabilmente, annuncerà domenica, all’assemblea di Milano che lo incoronerà segretario, il tipo di soluzione che intende intraprendere; è il partito stesso, ora, a chiedergli chiarezza. Un messaggio trasversale, comunque, Renzi lo ha ricevuto nei giorni scorsi da parte dello storico tesoriere dei Ds, Ugo Sposetti. Che senza tanti giri di parole gli ha detto: non pensare di poter prendere i soldi delle fondazioni, quelli sono soldi dei Ds: è un “tesoretto” di cui nessuno ti darà mai le chiavi, non ci contare proprio. La scelta, viste le premesse, è dunque difficile per Renzi, molto più di quanto si creda.
La vicenda, dunque, non si chiude qui, né si chiude oggi con la decisione del governo. Perché all’appello manca anche una fetta importante della torta dal punto di vista dell’ordinamento del sistema, ovvero una legge sulle lobby. Quella – per intendersi – che voleva varare il governo Monti e che istituiva l’elenco ufficiale dei lobbisti. Ebbene, quella legge doveva stabilire chi e come poteva far parte di un gruppo di pressione, regolava i rapporti tra le stesse lobby con le amministrazioni pubbliche, garantiva trasparenza dei contatti rendendo pubblica sul web ogni richiesta, dettava un codice di comportamento, punendo i trasgressori e persino chi dispensava regali oltre i 150 euro. Uno strumento importante che, però, è rimasto nei cassetti polverosi del Senato. Adesso, con l’abolizione del finanziamento ai partiti sarà bene che qualcuno lo faccia riemergere. Per evitare che all’abolizione del finanziamento corrisponda l’immediato dilagare della corruzione politica. Molto più di quanto si sia mai visto prima.
Politica
Soldi ai partiti, Letta accelera su abolizione. Ma manca ancora la legge sulle lobby
Il testo varato dal governo entrerà a regime nel 2017. La sfida per Renzi sta proprio su questo aspetto sollevato anche da Grillo: vedere chi rinuncerà. Per il Pd è una questione non da poco, visto l'apparato costoso e qualche centinaio di dipendenti. Ma il vero punto resta un testo per regolare i finanziamenti alle forze politiche ed evitare il dilagare della corruzione: le norme nate sotto il governo Monti sono sepolte nei cassetti del Senato
Solo qualche settimana fa avevamo ricordato come la politica abbia sempre trovato il modo di disattendere la volontà dei cittadini, confermata dal referendum del ’93 indetto dai Radicali, sull’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti attraverso una serie di artifici linguistici che rimodellavano la forma lasciando intatta la sostanza del denaro pubblico elargito a pioggia sulle segreterie politiche. E avevamo anche riportato la notizia di un intervento della Corte dei Conti che aveva chiesto alla Consulta di dichiarare illegittime tutte le leggi sul finanziamento varate dal 1993 ad oggi, sempre in virtù della violazione della volontà popolare stabilita dal referendum. Questioni che, con altre, hanno indotto Enrico Letta a sbrigarsi a mettere mano a quello che il Parlamento, ma in particolare il Senato, non sembrava aver voglia di concludere. La legge approvata dalla Camera il 16 ottobre scorso, infatti, era stata insabbiata dentro la commissione Affari Costituzionali del Senato, bloccata dalla discussione (altrettanto inutile) sul cambio della legge elettorale, ora passato nella disponibilità di Montecitorio, e niente l’avrebbe fatta riemergere; il patto tra i rappresentanti della partitocrazia più pura e trasversale era chiaro: nessuna intenzione di privarsi della loro unica fonte di sostentamento. E di parassitismo.
Letta, dunque, ha mantenuto una parte della promessa fatta ad aprile, quella di metter mano ad un decreto per sveltire la pratica dell’abolizione che, comunque, entrerà a regime nel 2017 e fino ad allora i partiti continueranno a intascare il denaro pubblico sotto forma di rimborsi. La sfida che si apre, a questo punto, sta proprio su questo aspetto, messo in evidenza con una certa perfidia da Grillo, a caldo delle dichiarazioni di Letta. E cioè vedere quali partiti rinunceranno, fin da subito, anche alla parte di denaro che gli spetterebbe da qui al 2017.
Gli occhi sono puntati soprattutto sul Pd, l’unico partito che possiede ancora un costosissimo apparato e conta qualche centinaio di dipendenti. Le scelte di Renzi, insomma, sono nel mirino. Da una parte, infatti, c’è senz’altro la voglia, da parte del sindaco di Firenze, di azzerare un’era e aprire un nuovo capitolo della vita politica del Pd, rinunciando fin da subito ai 45 milioni di euro di rimborsi solo per l’anno in corso in modo – anche – da mettere a tacere Grillo e i suoi. Dall’altra, però, Renzi deve anche fare i conti con diversi posti di lavoro, non solo di quelli dell’apparato ma anche dei semplici dipendenti del Nazareno. Rinunciare a quei rimborsi significa licenziare fin da subito quasi 300 persone e questo nessun segretario appena eletto se lo può permettere, nonostante si sia appena all’inizio di quella che tradizionalmente viene definita “luna di miele” tra i neoeletti, l’apparato vecchio stile e i media. Renzi, probabilmente, annuncerà domenica, all’assemblea di Milano che lo incoronerà segretario, il tipo di soluzione che intende intraprendere; è il partito stesso, ora, a chiedergli chiarezza. Un messaggio trasversale, comunque, Renzi lo ha ricevuto nei giorni scorsi da parte dello storico tesoriere dei Ds, Ugo Sposetti. Che senza tanti giri di parole gli ha detto: non pensare di poter prendere i soldi delle fondazioni, quelli sono soldi dei Ds: è un “tesoretto” di cui nessuno ti darà mai le chiavi, non ci contare proprio. La scelta, viste le premesse, è dunque difficile per Renzi, molto più di quanto si creda.
La vicenda, dunque, non si chiude qui, né si chiude oggi con la decisione del governo. Perché all’appello manca anche una fetta importante della torta dal punto di vista dell’ordinamento del sistema, ovvero una legge sulle lobby. Quella – per intendersi – che voleva varare il governo Monti e che istituiva l’elenco ufficiale dei lobbisti. Ebbene, quella legge doveva stabilire chi e come poteva far parte di un gruppo di pressione, regolava i rapporti tra le stesse lobby con le amministrazioni pubbliche, garantiva trasparenza dei contatti rendendo pubblica sul web ogni richiesta, dettava un codice di comportamento, punendo i trasgressori e persino chi dispensava regali oltre i 150 euro. Uno strumento importante che, però, è rimasto nei cassetti polverosi del Senato. Adesso, con l’abolizione del finanziamento ai partiti sarà bene che qualcuno lo faccia riemergere. Per evitare che all’abolizione del finanziamento corrisponda l’immediato dilagare della corruzione politica. Molto più di quanto si sia mai visto prima.
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Roma, 22 feb. (Adnkronos) - "Quando la libertà è a rischio, l'unica cosa che puoi fare è metterla nelle mani più sagge. Ecco perché i conservatori continuano a crescere e stanno diventando sempre più influenti nella politica europea. Ed ecco perché la sinistra è nervosa. E con la vittoria di Trump, la loro irritazione si è trasformata in isteria". Lo ha detto la premier Giorgia Meloni al Cpac.
"Non solo perché i conservatori stanno vincendo, ma perché ora i conservatori stanno collaborando a livello globale. Quando Bill Clinton e Tony Blair crearono una rete liberale di sinistra globale negli anni '90, furono definiti statisti. Oggi, quando Trump, Meloni, Milei o forse Modi parlano, vengono definiti una minaccia per la democrazia. Questo è il doppio standard della sinistra, ma ci siamo abituati. E la buona notizia è che le persone non credono più alle loro bugie".
"Nonostante tutto il fango che ci gettano addosso. I cittadini continuano a votarci semplicemente perché le persone non sono ingenue come le considera l'ultimo. Votano per noi perché difendiamo la libertà", ha ribadito.
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - "La sinistra radicale vuole cancellare la nostra storia, minare la nostra identità, dividerci per nazionalità, per genere, per ideologia. Ma non saremo divisi perché siamo forti solo quando siamo insieme. E se l'Occidente non può esistere senza l'America, o meglio le Americhe, pensando ai tanti patrioti che lottano per la libertà in America Centrale e Meridionale, allora non può esistere nemmeno senza l'Europa". Lo ha detto la premier Giorgia Meloni al Cpac.
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - "Il Cpac ha capito prima di molti altri che la battaglia politica e culturale per i valori conservatori non è solo una battaglia americana, è una battaglia occidentale. Perché, amici miei, credo ancora nell'Occidente non solo come spazio geografico, ma come civiltà. Una civiltà nata dalla fusione di filosofia greca, diritto romano e valori cristiani. Una civiltà costruita e difesa nei secoli attraverso il genio, l'energia e i sacrifici di molti". Lo ha detto la premier Giorgia Meloni alla conferenza dei conservatori a Washington.
"La mia domanda per voi è: questa civiltà può ancora difendere i principi e i valori che la definiscono? Può ancora essere orgogliosa di sé stessa e consapevole del suo ruolo? Penso di sì. Quindi dobbiamo dirlo forte e chiaro a coloro che attaccano l'Occidente dall'esterno e a coloro che lo sabotano dall'interno con il virus della cultura della cancellazione e dell'ideologia woke. Dobbiamo dire loro che non ci vergogneremo mai di chi siamo", ha scandito.
"Affermiamo la nostra identità. Affermiamo la nostra identità e lavoriamo per rafforzarla. Perché senza un'identità radicata, non possiamo essere di nuovo grandi", ha concluso la Meloni.
(Adnkronos) - "Il nostro governo - ha detto Meloni - sta lavorando instancabilmente per ripristinare il legittimo posto dell'Italia sulla scena internazionale. Stiamo riformando, modernizzando e rivendicando il nostro ruolo di leader globale".
"Puntiamo a costruire un'Italia che stupisca ancora una volta il mondo. Lasciate che ve lo dica, lo stiamo dimostrando. La macchina della propaganda mainstream prevedeva che un governo conservatore avrebbe isolato l'Italia, cancellandola dalla mappa del mondo, allontanando gli investitori e sopprimendo le libertà fondamentali. Si sbagliavano", ha rivendicato ancora la premier.
"La loro narrazione era falsa. La realtà è che l'Italia sta prosperando. L'occupazione è a livelli record, la nostra economia sta crescendo, la nostra politica fiscale è tornata in carreggiata e il flusso di immigrazione illegale è diminuito del 60% nell'ultimo anno. E, cosa più importante, stiamo espandendo la libertà in ogni aspetto della vita degli italiani", ha concluso.
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - L'Italia è "una nazione con un legame profondo e indistruttibile con gli Stati Uniti. E questo legame è forgiato dalla storia e dai principi condivisi. Ed è incarnato dagli innumerevoli americani di discendenza italiana che per generazioni hanno contribuito alla prosperità dell'America". Lo ha detto la premier Giorgia Meloni al Cpac a Washington. "Quindi, a loro, permettimi di dire grazie. Grazie per essere stati ambasciatori eccezionali della passione, della creatività e del genio italiani".
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - Standing ovation dalla platea della convention Cpac a Washington al termine dell'intervento video della premier Giorgia Meloni. Un intervento nel quale la presidente del Consiglio ha richiamato valori e temi che uniscono conservatori europei e americani, a partire dalla difesa dei confini, ribadendo la solidità del legame tra Usa e Ue. "I nostri avversari - ha detto Meloni- sperano che il presidente Trump si allontani da noi. Ma conoscendolo come un leader forte ed efficace, scommetto che coloro che sperano nelle divisioni si smentiranno".
"So che alcuni di voi potrebbero vedere l'Europa come lontana o addirittura lontana o addirittura perduta. Vi dico che non lo è. Sì, sono stati commessi degli errori. Le priorità sono state mal riposte, soprattutto a causa delle classi dominanti e dei media mainstream che hanno importato e replicato nel Vecchio Continente", ha affermato la premier.
La presidente Meloni ha fatto un passaggio sull'Ucraina ribadendo "la brutale aggressione" subito dal popolo ucraino e confidando nella collaborazione con gli Usa per raggiungere una "pace giusta e duratura" che, ha sottolineato, "può essere costruita solo con il contributo di tutti, ma soprattutto con forti leadership".
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - Le "elite di sinistra" si sono "recentemente indignate per il discorso di JD Vance a Monaco in cui il vicepresidente ha giustamente affermato che prima di discutere di sicurezza, dobbiamo sapere cosa stiamo difendendo. Non stava parlando di tariffe o bilance commerciali su cui ognuno difenderà i propri interessi preservando la nostra amicizia". Mo ha sottolineato la premier Giorgia Meloni nel suo intervento al Cpac.
"Il vicepresidente Vance stava discutendo di identità, democrazia, libertà di parola. In breve, il ruolo storico e la missione dell'Europa. Molti hanno finto di essere indignati, invocando l'orgoglio europeo contro un americano che osa farci la predica. Ma lasciate che ve lo dica io, da persona orgogliosa di essere europea - ha detto ancora - Innanzitutto, se coloro che si sono indignati avessero mostrato lo stesso orgoglio quando l'Europa ha perso la sua autonomia strategica, legando la sua economia a regimi autocratici, o quando i confini europei e il nostro stile di vita sono stati minacciati dall'immigrazione illegale di massa, ora vivremmo in un'Europa più forte".