Manuel ha la barba appena accennata. Davanti alla telecamera cambia l’espressione, si aggrappa come può agli slogan ascoltati per anni nelle interminabili assemblee di Danilo Calvani. È il responsabile del presidio di Borgo Piave, all’ingresso di Latina. Da una parte la Pontina, via che collega l’interminabile agglomerato delle industrie chimiche e farmaceutiche di Aprilia; dall’altra l’asse stradale che attraversa le mediane, rami che corrono paralleli ai canali della bonifica.
“Ormai la nostra azienda è a terra, il latte lo comprano a pochi centesimi e viviamo con la pensione di 450 euro di mia nonna”, spiega, prima di recitare lo strampalato programma dei Forconi del sud pontino: “Via il governo, forze dell’ordine al potere e poi, dopo sei mesi, nuove elezioni”. Per lui, per le centinaia di agricoltori e allevatori della zona, le parole di Danilo Calvani da quattro anni sono l’ultima scialuppa di salvataggio. Dietro queste storie c’è un’agricoltura cresciuta senza una vera programmazione per anni, abituata ad un mercato che non guardava per il sottile, alleata con la chimica e con il lavoro nero assicurato dai tantissimi indiani presenti in zona, caduta di fronte alla concorrenza al ribasso del nord Africa. E, come in tutte le crisi del ‘900, ora si cerca il capro espiatorio. Le lobby, magari ebraiche, gli stranieri che rubano il lavoro, i Rom e i Sinti. E i politici, tutti riuniti in un unico girone dei colpevoli. Spostandosi più a sud c’è Sezze, granaio del Lazio da tempo immemorabile. Da qui partono ogni mattina i furgoni che portano verdura e ortaggi nei mercati romani.
A capo del presidio c’è Roberto Reginaldi, da pochi mesi passato a Forza nuova. Sul suo profilo Facebook mette in bella mostra una foto scattata con Roberto Fiore su un palco, datata 30 novembre 2013, appena una settimana prima del via alla protesta. E per il 20 prossimo sta organizzando una cena con il capo dei forzanovisti, dove si promettono “canti rievocativi del ventennio”. Questione di gusti. Si anima, Reginaldi, quando inizia a parlare nella sua tenuta mimetica. Fa l’imprenditore edile, se la prende con la tangentopoli che ha rovinato l’economia, con i cinesi e i marocchini. Poi chiama accanto a se un agricoltore della zona: “Dillo quanto ti pagano la verdura da quando c’è il corridoio verde?”. Una manciata di spiccioli. Alla fine incorona il suo leader maximo, Danilo Calvani, che a pochi metri lo ascolta: “Sai cosa c’è di differente questa volta? Abbiamo un uomo come Danilo”.
Tra la chimica entrata in crisi e l’agricoltura massacrata, nell’agro di Latina le aziende messe all’asta si contano a decine, a centinaia. Il tutto amplificato dal vuoto pneumatico della politica. E così, da quattro anni, il gruppo di Calvani ha trovato intere praterie per crescere, indossando la maschera del nuovo Messia. Chi lo conosce assicura che non c’è nessun finanziatore occulto, almeno fino all’inizio della protesta partita il 9 dicembre. “Se entri nelle loro case – racconta una fonte che preferisce l’anonimato – vedi che spesso non c’è niente da mangiare, solo una povertà arrivata all’improvviso. Nascondono il televisore, per evitare di farselo sequestrare”.
La prima protesta era nata contro le quote latte, in un asse con il nord dove molte famiglie di origine veneta arrivate a Latina negli anni ’30 mantengono legami stretti. Poi l’obiettivo è diventata la coppia Inps – Equitalia. Per mesi Calvani e tanti altri agricoltori hanno mantenuto un presidio nel centro di Latina davanti alle sedi dell’istituto previdenziale. Alla fine del 2011 è partito il movimento dei forconi. Si presentò da loro il generale in congedo Antonio Pappalardo, proponendo una bislacca alleanza tra “contadini e carabinieri”. Fondarono insieme un partito, Dignità Sociale, fecero un po’ di rumore promettendo l’invasione di Roma – una vera ossessione, pare – che finì in flop. Da un anno Calvani ha iniziato a girare l’Italia, questa volta senza la presenza, un po’ ingombrante di Pappalardo. Assemblee, incontri, riunioni. Poi il tam tam in rete, in preparazione del 9 dicembre. Ha pescato senza guardare per il sottile, attirando l’attenzione di tutti i complottisti, della peggiore estrema destra, dei grillini delusi alla perenne ricerca dell’azione e del nemico da insultare. Dietro di se ha mantenuto quel vuoto pneumatico che lo ha generato. E una città, Latina, che solo qualche anno fa salutò il sindaco Ajmone Finestra, rievocando Salò e l’armamentario nero dell’Italia golpista. Forse tra qualche giorno tutto l’armamentario golpista e fascista sparirà. Calvani tornerà ad essere uno sconosciuto contadino che ama lanciare proclami, scuotendo la chioma bionda. Quello che rimarrà sarà un territorio allo sbando, divorato dalle mafie e pronto a trasformarsi in un pericoloso laboratorio per i peggiori fantasmi.