L’unica cosa certa è che Telecom Italia è nel caos più completo e che, comunque vada, questa vicenda rischia di diventare la definitiva Caporetto del capitalismo di relazione italiano. Il 20 dicembre a Milano l’assemblea degli azionisti dovrà votare la revoca del Consiglio di amministrazione, proposta da Marco Fossati, socio di minoranza con il 5% delle azioni. L’esito è incerto. Se gli azionisti di minoranza (principalmente fondi d’investimento stranieri) sconfiggessero il gruppo di comando – Telefónica, Assicurazioni Generali, Intesa Sanpaolo e Mediobanca che attraverso la scatola Telco controllano la società con il 22,4 per cento – sarebbe un fatto storico, una sorta di presa della Bastiglia. Ma anche se l’amministratore delegato Marco Patuano, accusato dalla Consob di fare il gioco del capo di Telefónica, Cesar Alierta, superasse indenne il voto assembleare, il futuro di Telecom rimarrebbe molto complicato.
L’atmosfera da “ultimi giorni di Pompei” ieri è stata creata dalla mossa di Angelo Provasoli, ex rettore della Bocconi, attualmente presidente della Rcs. Cooptato nel cda Telecom il 3 ottobre scorso e candidato alla presidenza della società, rimasta vacante dopo le dimissioni di Franco Bernabè, ha comunicato la sua rinuncia, motivata “dalla quantità di impegni professionali e istituzionali, anche sopravvenuti, che gli impedirebbero di disporre del tempo necessario”. Tempistica e motivazione fanno sorridere: è forse la prima volta nella storia dell’uomo che un docente della Bocconi rinuncia a un prestigioso incarico societario per mancanza di tempo.
Forse la vera ragione del passo indietro di Provasoli è da ricercare nella rivelazione fatta ieri dal giornalista Massimo Mucchetti, oggi parlamentare Pd e presidente della commissione Industria del Senato, in un articolo sull’Unità. Dopo l’annuncio del 24 settembre scorso, con il quale veniva consegnato a Telefónica il controllo di Telco, il presidente delle Generali (noché ex presidente di Telecom Italia e di Mediobanca), Gabriele Galateri di Genola, va a trovare Mucchetti. “Per scoraggiarmi dal proseguire con la riforma dell’Opa obbligatoria – scrive il senatore – che potrebbe costringere il suo amico Cesar Alierta a mettere mano al portafoglio se vuole comandare con pieno diritto in Telecom, Galateri mi ha detto di aver avuto via libera da chi di dovere prima del 24 settembre. Letta mi ha sempre detto di non aver mai saputo nulla. (…) Quali sono i poteri occulti che hanno dato via libera al presidente delle Generali, oppure questi è venuto in Senato a millantare?”. Così Mucchetti confeziona il suo siluro per il presidente del Consiglio, in una battaglia che lo vede spalleggiato da molti parlamentari Pd e dal responsabile economico nella nuova segreteria renziana, Filippo Taddei.
Ancora ieri pomeriggio il governo ha continuato il pressing contro l’emendamento Mucchetti, che punta a far pagare il controllo di Telecom Italia i miliardi che vale anziché le poche centinaia di milioni per le quali gli ex poteri forti hanno deciso di consegnare la rete telefonica italiana a un concorrente che appare determinato a sbriciolarla. “Ci stiamo lavorando, stiamo cercando di vedere se si trova un punto d’incontro con i presentatori dell’emendamento”, ha detto ieri il sottosegretario ai Rapporti con il Parlamento, Sabrina De Camillis. Fin dall’inizio la posizione di Letta è stata chiara. Il 24 settembre, all’annuncio della vendita a Telefónica, ha detto: “Guardiamo, valutiamo, stiamo in un mercato europeo. Bisogna quindi considerare che Telecom è una società privata”. Il 29 settembre ha ribadito: “C’è bisogno di un investitore forte che metta soldi dentro Telecom. Se gli stranieri sono più bravi non mi scandalizzo”. Ma adesso sembra prendere il sopravvento l’idea del vicolo cieco.
Lo stesso Letta ieri ha un po’ virato. Dopo aver incontrato la commissione di esperti a cui ha chiesto di valutare se Telecom è in grado di fare gli investimenti necessari per aggiornare la rete internet peggiore d’Europa, e dopo essersi sentito dire che, come sanno anche i muri, Telecom allo stato attuale non è in grado, il premier ha fatto sapere che “il governo utilizzerà tutti i mezzi disponibili per assicurare la tempestiva attuazione dei piani di sviluppo annunciati”. Il problema è che Telefónica ha già comprato. E che la Consob e la magistratura sono scatenate nelle indagini sugli evidenti reati commessi nelle ultime settimane. E che forse è troppo tardi per disinnescare uno scandalo epocale.
da Il Fatto Quotidiano del 18 dicembre 2013