Il “Piano di lavoro” che il segretario del Partito democratico, Matteo Renzi, vuole presentare entro fine gennaio riceve un’altra bocciatura. Il primo a smontarla definendola “niente di nuovo”, è stato il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini. Ma adesso la stroncatura arriva da dentro le mura democratiche da parte dei “Giovani Turchi“. “Stupisce che alcuni rappresentati del nostro partito ricorrano allo strumento della critica preventiva”, ribatte Lorenzo Guerini, portavoce della segreteria nazionale Pd.
In un articolo a firma dei deputati Fausto Raciti, Valentina Paris, Chiara Gribaudo e Matteo Orfini sulla rivista “Left Wing” vengono espressi non pochi dubbi sulla proposta di rilancio occupazione del segretario del Pd che – si legge – “rischia di cadere nello stesso errore” della “Fornero: camminare sulla testa dei meccanismi che regolano il mercato del lavoro (i contratti), anziché sulle gambe della crescita e così di essere, nella migliore delle ipotesi, inutile”.
Gli autori del documento non nascondono le proprie “perplessità” sulle “ricette che dovrebbero comporre il cosiddetto job act” e sulle “misure varate dal governo con l’ultima legge di stabilità”. “Tagliare il cuneo fiscale e rendere le regole del lavoro meno macchinose” non “sarebbero le soluzioni a buona parte dei nostri problemi” in quanto – si legge ancora – “in nessuno dei due casi la dinamica occupazionale registrerà lo shock positivo auspicato”. “Non significa – precisano i deputati – che le misure in questione siano prive di qualsiasi utilità, ma che, dovendo scegliere, non sono la priorità”.
Le critiche maggiori si concentrano sul “Job act” proposto da Renzi. “L’ipotesi di contratto di inserimento a tempo indeterminato, se da una lato va nella direzione giusta, dall’altro lascia almeno due fronti aperti – si legge nel documento – In primo, la copertura statale dei contributi per i primi tre anni non risolve il pericolo di ricircolo dei lavoratori”. Il secondo fronte sarebbe quello della “riforma degli ammortizzatori“. “Desta un certo stupore – si legge ancora nel documento – che si immagini di sostituire quelli attuali con un sussidio di disoccupazione universale a parità di risorse”. Infine, vengono espresse perplessità sulla “enfasi posta sulla formazione”: senza interventi migliorativi, “rischia di essere solo la riproposizione dell’attuale sistema, contribuendo a mantenere competenze – e salario – schiacciati verso il basso”.
Secondo i “Giovani Turchi”, “per cominciare a restituire dignità al lavoro, occorrerebbe stabilire che ogni tipologia contrattuale preveda la copertura per malattia e maternità, a prescindere da durata e retribuzione prevista” per prestazione.
Per evitare che “l’aumento dei costi per le imprese finisca per scaricarsi sulla busta paga del lavoratore” – suggeriscono Orfini ed i suoi colleghi – si può valutare l’introduzione di un “equo compenso” per le professioni non coperte da contrattazione collettiva, affiancato dalla possibilità di concertare con i sindacati la retribuzione minima per professionalità omogenee, non su scala nazionale, ma su base territoriale”.
“Le opzioni per recuperare le risorse necessarie a finanziare il piano straordinario per l’occupazione sono due – si legge – agire sulla leva fiscale chiedendo un contributo maggiore a chi ha di più, oppure, rimanendo dentro il vincolo del 3 per cento nel rapporto deficit/pil, recuperare qualche decimale rispetto al 2,5% previsto per il 2014”.
“Nella situazione drammatica del Paese, un ‘job act’ che non potesse rivendicare un impatto positivo sul tasso di occupazione rischierebbe di essere un boomerang. Ma per creare lavoro occorre superare i tabù che in questo ventennio hanno impedito di considerare gli investimenti pubblici diretti a generare occupazione una opzione possibile”.
Immediata la replica della segreteria democratica: “Noi suggeriamo ai ‘Giovani Turchi’ di aspettare la presentazione del Job Act da parte delle segreteria nazionale prima di avanzare critiche e suggerimenti, e di non basarsi su anticipazioni giornalistiche parziali e da verificare”. Lo afferma in una nota Lorenzo Guerini, portavoce della segreteria nazionale Pd. “Quello che è certo – aggiunge – è che il lavoro è la nostra priorità e che le idee cardine del Job Act sono quelle espresse da Matteo Renzi durante la campagna elettorale per il congresso e sulle quali si sono espressi tre milioni di nostri elettori in modo chiaro. Comunque, presenteremo presto questo documento e a quel punto saremo pronti a confrontarci con chi lo vorrà”.