Sono almeno otto i morti e 70 i feriti provocati dalla forte esplosione avvenuta alle 9.40 locali (le 8.40 in Italia) in piazza Starco, nel centro di Beirut vicino all’albergo Four Seasons e non lontano dalla sede del Parlamento. La deflagrazione è stata causata da un kamikaze alla guida di un’autobomba. L’obiettivo dell’attentato sarebbe l’ex ministro delle Finanze libanese ed esponente del movimento al Mustaqbal (Il Futuro), Mohammed Shattah, che è rimasto ucciso mentre si trovava a bordo della sua auto, diretto a una riunione a casa del capo dell’opposizione parlamentare Saad Hariri in un palazzo poco lontano dal luogo dell’esplosione. E’ rimasto ucciso anche l’autista di Shattah. Proprio Hariri ha accusato implicitamente il governo siriano e gli Hezbollah libanesi filo-iraniani di essere dietro all’attentato. Ma l’Iran ha condannato subito l’attacco: “I nemici del Libano stanno prendendo di mira tutti”, ha detto il vice ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir-Abdollahiyan

L’ex ministro 62enne era uno stretto collaboratore dell’ex premier Saad Hariri, figlio di Rafik Hariri, primo ministro ucciso in un attentato il 14 febbraio 2005, non lontano dal luogo dove stamani è avvenuto l’attentato kamikaze. La bomba ha mandato in frantumi i vetri fino all’ottavo piano del palazzo Starco che dà il nome alla piazza e ospita numerosi servizi tra cui un grande teatro. Sul posto corpi in fiamme, via vai di ambulanze, mentre le schegge sono schizzate fino a oltre 500 metri dal luogo della deflagrazione. Questo lo scenario tra le strade della capitale libanese dopo l’attacco che non è stato ancora rivendicato.

Attualmente Shatah era leader dell’opposizione parlamentare vicina all’Arabia Saudita e ostile agli Hezbollah e all’intero asse filo-iraniano in Libano e nella regione. L’uomo aveva ricoperto la carica di ambasciatore libanese negli Stati Uniti e consigliere dell’ex premier Fouad Siniora. Ultimamente l’ex ministro era stato incaricato di gestire a Beirut le relazioni politiche e con i media per conto di Hariri, da tempo residente all’estero per timore di esser ucciso nel suo Paese. Pochi minuti prima di morire, Shatah aveva scritto sul suo profilo Twitter un commento molto duro nei confronti del regime siriano e degli Hezbollah, alleati dell’Iran. Una riunione d’emergenza dell’Alta Commissione per i grandi rischi e i disastri è stata convocata al Gran Serraglio, sede del governo di Beirut, su decisione del premier dimissionario Najib Miqati che ha condannato duramente l’attentato kamikaze. “Il Libano e la sua gente devono poter vivere in pace”, è scritto nel comunicato del primo ministro, che ha rassegnato le dimissioni alla fine dello scorso marzo. Miqati ha inoltre condannato tutte le azioni che portano solo “ulteriore caos e danni per il Paese”. Oltre all’Iran, anche l’organizzazione Hezbollah ha condannano l’attentato kamikaze. Mentre il governo siriano, che Hariri ha implicitamente accusato insieme a quello di Teheran di avere qualche responsabilità, respinge ogni accusa.

L’ultimo attentato che ha colpito il Libano risale a poco più di un mese fa, il 19 novembre, quando in un doppio attacco suicida contro l’ambasciata dell’Iran a Beirut morirono 25 persone e 146 rimasero ferite. L’attentato è stato rivendicato da un gruppo jihadista libanese che si ritiene legato ad Al Qaida, le Brigate Abdullah Azzam. Tra le vittime l’addetto culturale dell’ambasciata, Ibrahim Ansari, tre addetti alla sicurezza della sede diplomatica e la guardia del corpo dell’ambasciatore iraniano in Libano.

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