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Webtax: una storia di ordinaria malademocrazia

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La webtax non entrerà in vigore fino a quando l’Unione europea non avrà avuto modo di valutarne la compatibilità con il diritto comunitario e non avrà dato il suo via libera.

Sarebbe questo – stando alle prime indiscrezioni – l’oggetto di una delle tante previsioni “infilate” nel Decreto Milleproroghe, approvato ieri dal Consiglio dei Ministri.

Una notizia da salutare con favore se si guarda al risultato finale giacché varrebbe a scongiurare il rischio che una legge inutile ed anacronistica oltre a non produrre nessun risultato concreto costi al nostro Paese l’apertura di un’ennesima procedura di infrazione da parte dell’Unione Europea.

Al tempo stesso, però, la notizia non può non far riflettere sul pessimo stato di salute del sistema di governo del Paese e sulla scarsa competenza – per non parlare di incompetenza – di chi siede nelle “stanze dei bottoni”.

Ha, infatti, già dell’incredibile che il Governo si sia ritrovato costretto a correggere una legge approvata dal Parlamento, solo una manciata di giorni prima e, addirittura, non ancora entrata in vigore.

Ma ancor più incredibile – ed istituzionalmente inaccettabile – è che il Governo sia pervenuto alla conclusione di dover “mettere una toppa” sul pasticciaccio del Parlamento, sulla base di nozioni elementari di diritto dell’Unione europea che il Parlamento, naturalmente, avrebbe dovuto conoscere e che, comunque, erano state, da più parti, ricordate all’On. Francesco Boccia, Presidente della Commissione Bilancio della Camera dei Deputati e padre putativo della webtax poi trasformata in spot-tax.

Non si può, infatti, dimenticare che prima il Ministero dell’Economia in una nota trasmessa al Senato della Repubblica e poi il Centro Studi della Camera dei Deputati, in un proprio parere, nelle scorse settimane, avevano ripetutamente avvertito il Parlamento che la webtax era palesemente contraria al diritto dell’Unione Europea e, probabilmente, persino di dubbia legittimità costituzionale.

Niente da fare.

In un’interminabile seduta notturna, la Commissione Bilancio della Camera dei Deputati era rimasta sorda alle autorevoli indicazioni contrarie e si era piegata all’ostinata determinazione del suo Presidente, apprendo le porte dell’Ordinamento ad una norma che, ieri, il Governo, giocando di rimessa, si è visto costretto a “congelare”, consegnando la webtax alla storia come una delle prime leggi italiane – se non la prima – destinata a non entrare mai in vigore.

Una vicenda tragicomica che, a prescindere dal merito della questione, racconta, purtroppo, di processi democratici allo sbando nelle mani di “timonieri” che o non sanno o fingono di non sapere pur di perseguire i propri egoistici obiettivi che nulla hanno a che vedere con l’interesse del Paese.

Viene da sorridere – se la questione non fosse tanto grave e delicata – a pensare che con un’iniziativa tanto goffa e claudicante il papà della webtax avrebbe voluto “mettere nel sacco” i giganti del web e riscrivere, partendo dal nostro Paesello ai confini di Internet, le regole della fiscalità online sulle quali si interrogano da anni e si interrogheranno ancora per mesi – se non per anni – le Istituzioni di tutta Europa.

Quanto è accaduto non può non far riflettere.

Occorre ripensare radicalmente i processi di governo del Paese, garantendo che regole, competenza e, talvolta, addirittura il semplice buon senso, abbiano la meglio su incomprensibili “influenze” individuali o di gruppo che oggi sono, evidentemente, in grado di “piegare” il sistema alla volontà ed all’interesse di pochi facendo apparire assurdo l’ovvio ed ovvio l’assurdo.

 

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