Stuprata e bruciata viva. A un anno dalla tragedia della ragazza violentata a morte da un branco su un autobus a New Delhi, l’India è sotto shock per un nuovo episodio di violenza sessuale su minore.

Una studentessa 16enne è stata stuprata per due volte in ottobre a Kolkata, la vecchia Calcutta, per poi essere perseguitata dai suoi aggressori, che, preoccupati dalla sua denuncia, l’hanno alla fine bruciata viva cercando di simulare un suicidio. L’autopsia praticata il 31 dicembre sul cadavere ha rivelato che al momento del decesso l’adolescente era incinta di un mese. Il feto è stato prelevato per esami del Dna che potrebbero essere utili alle indagini.

Originaria dello Stato indiano di Bihar, la giovane si era trasferita mesi fa a Madhyamgram, vicino alla capitale del West Bengala, per studiare. Il primo stupro avviene il 26 ottobre quando Chhotu Talukdar, grossista di pesce, propone alla ragazza una passeggiata, portandola invece con l’inganno in una casa abbandonata dove con cinque amici abusa di lei. Il padre e la madre la cercano per tutta la notte, trovandola al mattino incosciente in un campo.

Il giorno dopo tutta la famiglia si presenta al commissariato di polizia per denunciare l’accaduto e chiedere protezione. Ma la banda guidata da Chhotu, avendo notizia dell’esposto, la sequestra nuovamente 24 ore dopo, stuprandola in un taxi. I genitori la ritrovano questa volta, stordita e ferita, vicino a una stazione. Per poter sfuggire alla persecuzione, il padre, tassista iscritto al sindacato comunista Citu, decide a quel punto di cambiare casa, spostandosi nella zona dell’aeroporto. Ma le minacce continuano e la famiglia è costretta a ritirare la denuncia di stupro.

Poi il 23 dicembre il colpo di scena: la studentessa viene ricoverata in ospedale con ustioni gravissime su metà del corpo. I sanitari pensano a un tentativo di suicidio, ipotesi in un primo momento suffragata dalla stessa polizia. Le sue condizioni paiono subito gravissime. Comincia una settimana di agonia e disperazione per i familiari. In un momento di lucidità, il 29 dicembre, la giovane fa agli agenti nomi e cognomi di due degli stupratori (Minta Sil e Ratan Sil) che, racconta, le hanno dato fuoco trovandola sola in casa.

Due giorni dopo, gli organi interni smettono di funzionare, le infezioni dovute alle ustioni si propagano e la studentessa muore. La notizia si diffonde immediatamente e lo stesso 31 dicembre migliaia di manifestanti, aderenti al Partito comunista, intellettuali e esponenti della società civile, scendono in piazza. A tratti anche scontrandosi con le forze dell’ordine.

Le proteste si ripetono per giorni, a sottolineare la rabbia per l’ennesima tragedia a sfondo sessuale fra quelle che ogni giorno inesorabilmente colpiscono le donne indiane. Fortissima la polemica nei confronti della polizia, accusata di aver cercato di chiudere la vicenda in modo troppo sbrigativo, mentre lo scontro divampa anche tra le diverse forze politiche bengalesi. 

Non si tratta infatti di un episodio isolato: è di pochi mesi fa la condanna della Corte speciale di Nuova Delhi per quattro uomini del “branco” che il 16 dicembre 2012 aveva brutalmente stuprato una studentessa di 23 anni a bordo di un bus. Episodi spesso riportati dalla stampa europea ma in India le violenze sessuali, come ricorda l’attivista e giornalista Annie Zaidi, non rappresentano un fenomeno legato all’attualità. In realtà, spiega si tratta “della conseguenza più estrema di una cultura che reprime la sessualità elevando a valori assoluti l’obbedienza al marito e la totale sottomissione della donna all’autorità maschile“.

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