I genitori devono avere il diritto di dare ai figli il solo cognome materno. La Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia per aver violato i diritti di una coppia di coniugi avendogli negato la possibilità di attribuire alla figlia il cognome della madre invece di quello del padre. Nella sentenza, che diverrà definitiva tra 3 mesi, i giudici fanno presente al nostro Paese il dovere di “adottare riforme legislative o di altra natura” per rimediare alla violazione riscontrata.

A fare ricorso alla Corte di Strasburgo sono stati i coniugi milanesi Alessandra Cusan e Luigi Fazzo, ai quali lo Stato italiano ha impedito di registrare all’anagrafe la figlia Maddalena, nata il 26 aprile 1999, con il cognome materno (Cusan) anziché quello paterno (Fazzo). “Sono ovviamente entusiasta – ha commentato la madre – E’ un altro passo avanti verso il progresso e servirà soprattutto ai nostri figli”. Durante i vari gradi di giudizio sono nati gli altri due figli, un’altra femmina e un maschio. Tutti e tre, ha precisato la madre, attualmente hanno anche il cognome della donna, in base a un’autorizzazione concessa per via amministrativa. “Si tratta di una specie di cortesia che viene fatta – ha detto Cusan – Non è la stessa cosa del poter scegliere di usare il cognome materno”.

La coppia, che sin da allora si è battuta per vedersi riconosciuto questo diritto, ha vinto oggi a Strasburgo. I giudici della Corte hanno infatti condannato l’Italia per avere violato il diritto di non discriminazione tra i coniugi in congiunzione con quello al rispetto della vita familiare e privata.

In particolare, i giudici sostengono che “se la regola che stabilisce che ai figli legittimi sia attribuito il cognome del padre può rivelarsi necessaria nella pratica, e non è necessariamente una violazione della convenzione europea dei diritti umani, l’inesistenza di una deroga a questa regola nel momento dell’iscrizione all’anagrafe di un nuovo nato è eccessivamente rigida e discriminatoria verso le donne”. Nella sentenza i giudici sottolineano anche che la possibilità introdotta nel 2000 di aggiungere al nome paterno quello materno non è sufficiente a garantire l’eguaglianza tra i coniugi e che quindi le autorità italiane dovranno cambiare la legge o le pratiche interne per mettere fine alla violazione riscontrata.

‘La sentenza non ha un’implicazione diretta sul nostro caso, – commenta ancora Alessandra Cusan – ma occorre aspettare che l’Italia legiferi. Poi non so cosa decideremo per nostra figlia e gli altri due nati nel frattempo, ma di sicuro spero che quando saranno genitori loro possano scegliere liberamente“.

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