Paolo Naccarato è uomo dalle multiformi e sempre brillanti carriere politiche: al governo col centrosinistra, parlamentare col centrodestra, ribaltonista qualche volta (ora è alfaniano), cossighiano (nel senso di Francesco Cossiga) sempre. Quel che non manca al nostro, insomma, è la pratica del mondo politico e dei suoi aspetti tattici. Detto questo, la sua spiegazione della fase attuale è la seguente: il nodo è la legge elettorale e “su questo mi sia consentito di dare un suggerimento: piaccia o no bisogna attendere senza innervosirsi l’esito della trattativa Renzi-Verdini-Berlusconi e se la pregiudiziale di election day posta dal grande Silvio viene accolta o meno”. Fino ad allora, al “governo Letta-Alfano conviene occuparsi d’altro”.
Tradotto: il governo è appeso alle discussioni già in corso tra il segretario del Pd e Denis Verdini sul cosiddetto modello spagnolo (Renato Brunetta, mediatore prima del banchiere-editore toscano, preferiva invece il Mattarellum corretto con premio di maggioranza). Se il sindaco di Firenze e il Cavaliere di Arcore trovano un accordo lo faranno nei prossimi giorni – anche se l’agenda ufficiale non è ancora fissata – in modo da avere un primo voto in commissione entro gennaio e l’approvazione definitiva della riforma entro marzo. Il motivo è semplice: ci sarebbe ancora il tempo per sciogliere le Camere e tenere le Politiche insieme alle Europee il 25 maggio (il tempo minimo è 45 giorni).
Enrico Letta – al contrario e non a caso – parla di un’intesa da raggiungere entro le Europee in modo proprio da impedire l’election day e rinviare il tutto a dopo il famoso – e presumibilmente inutile – semestre di presidenza italiana della Ue. Il premier, nel frattempo, è impegnato a stringere il cosiddetto “patto di coalizione” sul governo, ma è del tutto evidente – anche se Palazzo Chigi continua a spargere ottimismo ufficiale sulle intenzioni di Renzi – che si tratta di una partita secondaria rispetto a quel che è stato messo sul fuoco nella cucina del segretario Pd. Solo se andasse a vuoto l’intesa di quest’ultimo con Silvio Berlusconi – che infatti Letta tenta di contrastare chiedendo che tutto venga discusso nel perimetro della sua maggioranza –, il presidente del Consiglio potrebbe tornare al centro della scena ed essere sicuro di avere il suo anno alla guida del governo: “È chiaro – dice ancora Naccarato – che in quel caso bisognerà ripartire realisticamente da un altro lato dello scacchiere politico con altri interlocutori e altri modelli elettorali”. E allora potrebbe contare qualcosa anche il patto di coalizione di Letta, anche se i temi sensibili – come unioni civili e riforma della Bossi-Fini – ne rimarranno con ogni probabilità fuori grazie alla classica formula “se ne occuperà il Parlamento”. Nel caso il governo in carica dovesse rimanere al suo posto ancora per un anno, però, si potrebbe aprire il problema della guida del ministero dell’Economia: non tanto per la questione del rimpasto (Renzi non vuole nessuna poltrona, preferisce usare l’esecutivo come punching ball), ma per le posizioni di Saccomanni.
Ieri l’ex Bankitalia – in una fantasiosa intervista a Repubblica su azioni e risultati dell’esecutivo – ha anche liquidato in sostanza come un’uscita senza alcun legame con la realtà la proposta di Renzi di sforare il vincolo del 3 per cento sul deficit: “Le posso assicurare che non esiste una maggioranza di paesi dell’Ue che vada nella direzione di un allentamento dei vincoli del Patto di Stabilità. Ne dobbiamo prendere atto. Del resto noi stessi abbiamo introdotto in Costituzione il pareggio di bilancio”. Come dire: altro che 3, dobbiamo arrivare a zero. Non è detto, insomma, sempre che il governo sopravviva, che Saccomanni non debba lasciare la poltrona di via XX Settembre, visto che già ieri, pure in un giorno festivo, non gli sono mancati gli attacchi di area renziana: “La stabilità non basta – ha sostenuto Sandro Gozi –. Senza un piano serio di riforme istituzionali, economiche e sociali, la crescita non arriverà”. Per ora comunque, e fino alla stesura dell’Agenda 2014, è tutto fermo: pure le sostituzione di Fassina e degli altri dimissionari prima di lui.
da Il Fatto Quotidiano del 7 gennaio 2014