Il Cie di Bari “trasmoda nell’illegalità”. Francesco Caso, giudice civile del tribunale pugliese, ha motivato così l’ordinanza con cui ha imposto di procedere a lavori di manutenzione all’interno della struttura entro “il termine improrogabile di 90 giorni”. Destinatari del provvedimento sono la presidenza del Consiglio, il ministero dell’Interno e la prefettura di Bari. “In caso di mancata o parziale esecuzione di quanto disposto”, si legge nell’ordinanza, “tutti gli stranieri ancora trattenuti” dovranno essere “trasferiti in altri Cie” in regola con le disposizioni di legge.
La sentenza ha accolto in parte l’azione popolare avanzata dall’associazione Class Action Procedimentale, respingendo però la richiesta di chiusura del Cie. Il giudice ha riscontrato una serie di “manchevolezze” imputabili “soprattutto a modalità costruttive” dell’immobile e che “incidono sulla situazione degli ambienti e, conseguentemente, sulla loro vivibilità da parte degli occupanti”. In particolare, il tribunale ha ordinato di provvedere allo stato manutentivo dei servizi igienici, dall’ampliamento delle loro dimensioni ridotte e all’aumento del loro numero. E ancora, si segnala la mancanza di un sistema di oscuramento, anche parziale, delle finestre delle stanze alloggio. Il tribunale ha ordinato poi di riportare la sala mensa o “sala benessere” alle dimensioni indicate nelle Linee Guida e di incrementare le aule per le attività occupazionali, didattiche e ricreative, nonché le ulteriori strutture ed attrezzature sportive. Inoltre bisognerà colmare la carenza di segnaletica antincendio nei moduli abitativi con l’impiego di materiali più resistenti all’usura e allo strappo e valutare l’opportunità di dotare le camere-alloggio di un sistema di ventilazione forzata.
Riferendosi invece alla domanda dei ricorrenti di ordinare la chiusura del Cie, il giudice spiega che una misura del genere, senza altre precauzioni, “comporterebbe un’incontrollata liberazione” degli immigrati non compiutamente identificati: ciò risulterebbe contrario all’interesse delle persone trattenute, che hanno bisogno di assistenza e che sarebbero irregolari sul territorio nazionale. E avrebbe “intuibili ricadute negative immediate, anche a livello di ordine pubblico e di sicurezza, proprio nel territorio degli enti locali per i quali hanno agito gli attori popolari”.