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Il ‘greenwashing’ della Nespresso

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Tutti avete presente il marchio Nespresso, se non altro per il buon George Clooney che sorridendo si domanda: “Nespresso. What else?” (come ha detto in passato “No Martini, no party”, o “Immagina, puoi”). Nespresso è il business del caffè in cialde in cui si è gettata a capofitto la Nestlé (la maggiore multinazionale in campo alimentare al mondo) diversi anni fa, e che viene sostenuto a suon di spot milionari, con divi di Hollywood. Non solo George Clooney, ma anche John Malkovich e Matt Damon. Ora, Nestlè non è propriamente una santerellina. Basti ricordare la faccenda del latte in polvere smerciato nel Terzo Mondo, oppure la carne equina non dichiarata nei prodotti a marchio Buitoni, o lo spionaggio contro la ONG Attac, rea di averla attaccata.

Nestlé, con il marchio Nespresso, punta sulla sostenibilità ambientale con un programma titolato Nespresso AAA Sustainable Quality Program, di cui il precitato Clooney è uno dei garanti. Con tale programma la multinazionale dell’alimentazione mira a produrre l’80% del caffè che le necessita assistito da un certificato di sostenibilità. Ed effettivamente, la Nestlé ha stipulato un accordo di sostenibilità con la ONG Rainforest Alliance (che certifica, tra gli altri, Chiquita, Kraft, Unilever, Nestlè, Lavazza, Mc Donald’s e Mars).
Ed andiamo invece alla fase del consumo. In questo campo, in Italia, la multinazionale ha avviato un ulteriore programma titolato Ecolaboration, in base al quale gli acquirenti delle cialde sono invitati a riportare i contenitori usati nelle “boutique” Nespresso (“Spazi concreti e avvolgenti, appositamente creati dal famoso architetto francese Francis Krempp, che permettono agli amanti del caffè di sentirsi appartenenti a un vero stile di vita”), perché l’alluminio non può essere riciclato sic et simpliciter in quanto sporcato dai fondi di caffè. L’alluminio restituito sarà recuperato ed il caffè residuo utilizzato come concime per coltivare riso: si stima se ne otterranno 3.600 chilogrammi all’anno, per sfamare i poveri sempre di quel Terzo Mondo di cui sopra.

Tutto questo però, diciamolo, di sostenibile non ha davvero molto, posto che la produzione di alluminio è una delle più energivore sulla faccia della terra. Non è molto, ma molto più sostenibile farsi il caffè senza utilizzare le cialde? E poi, suvvia, 3.600 chilogrammi di riso prodotto e distribuito equivalgono a sole 60.000 porzioni, una goccia nel mare della povertà…Detto questo, la pubblicità del Nespresso AAA Sustainable Quality Program e Ecolaboration non è sicuramente greenwashing. Ah dimenticavo, due particolari.

Uno, il prezzo. Il caffè Nespresso costa circa 70 euro al chilogrammo, pare perciò consono parlare di “boutiques”, anziché di semplici negozi. Due, una curiosità. Con una parte dei soldi che Nestlè gli dà per le sue partecipazioni, Clooney si è comprato un satellite per spiare il presidente del Sudan Omar al-Bashir, perché reo di crimini di guerra.




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