La carriera politica di Chris Christie è finita? Se lo chiedono in molti negli Stati Uniti, dopo l’esplosione dello scandalo che ha travolto i suoi più stretti collaboratori e che rischia di chiudere per sempre la carriera di uno dei politici più potenti d’America. “Sono imbarazzato e umiliato”, ha detto in una conferenza stampa organizzata in tutta fretta il governatore del New Jersey, che ha annunciato il licenziamento di un membro dello staff. L’esito della vicenda è però incerto e il capitale politico di Christie – il repubblicano che ha lavorato a stretto contatto con Barack Obama ai tempi dell’uragano Sandy, il moderato bipartisan capace di attirare i voti di molti progressisti, l’uomo che con la sua personalità esplosiva, schietta, avvolgente veniva dato per favorito alle presidenziali 2016 – appare seriamente in discussione.
Lo scandalo – il “Bridgegate”, lo hanno definito i giornali – nasce dalla chiusura per quattro giorni, lo scorso settembre, di due corsie del George Washington Bridge, il ponte che collega il New Jersey con Manhattan. La decisione trasformò Fort Lee, il centro urbano all’imbocco del ponte, in un gigantesco parcheggio, alimentando il caos e il disagio per gli automobilisti. Una serie di e-mail e sms rivelano che la chiusura fu orchestrata per “punire” il sindaco di Fort Lee, Mark Sokolich, che al momento dell’elezione a governatore aveva appoggiato Barbara Buono, la sfidante democratica di Christie. “E’ il momento per un po’ di problemi di traffico a Fort Lee”, annuncia soddisfatta in una e-mail Anne Kelly, vice-capo staff di Christie, ora licenziata.
Quando i pullman che trasportano gli studenti di Fort Lee a scuola restano imbottigliati nel traffico, David Wildstein, la nomina di Christie a Port Authority, scrive: “Sono i figli degli elettori della Buono”, con riferimento proprio all’avversaria democratica di Christie nella corsa per governatore del New Jersey. Messaggi e e-mail sono numerosi e si trovano al momento al vaglio delle autorità giudiziarie e di Port Authority, l’ente che gestisce il traffico sul George Washington Bridge. Se Anne Kelly, l’assistente di Christie, è quella che ne esce peggio – in un messaggio definisce il sindaco di Fort Lee “il piccolo serbo” e sembra aver messaggiato i compagni di complotto persino quando si trovava in fila davanti a una bara – quello che potrebbe finire inquisito è invece proprio Wildstein, compagno di scuola di Christie e figura di rilievo a Port Authority. Pare essere stato proprio Wildstein a orchestrare materialmente il gigantesco intasamento di Fort Lee.
Per lui l’accusa potrebbe essere quella di utilizzo di risorse pubbliche a fini politici. Oltre alle enormi spese sostenute per gestire la chiusura del ponte, ci sono poi ovviamente i disagi cui sono stati sottoposti i cittadini. Autoambulanze e vetture di emergenza hanno dovuto cambiare percorso per ben quattro giorni – ritardando l’assistenza a infartuati (una donna è anche morta) e le ricerche di un bambino che si era perduto. Notevoli i disagi e i ritardi per le migliaia di persone che ogni giorno passano il ponte per andare a lavorare a Manhattan. “Sono responsabile di quanto è successo”, dice ora Christie, aggiungendo di essere perfettamente consapevole di “aver deluso” la gente del New Jersey. Il mea culpa non arriva però a riconoscere alcun tipo di coinvolgimento personale.
“Non sapevo quello che i miei collaboratori facevano”, continua a sostenere il governatore. Ammettere una qualsiasi colpa equivarrebbe del resto alla fine politica – in un momento, vale la pena di ricordarlo, in cui il governatore appare uno dei più seri candidati alla Casa Bianca. La macchina organizzativa in vista del 2016 è ormai pronta. Il suo messaggio politico è semplice e diretto: superiamo le divisioni di Washington, dice Christie; affrontiamo insieme le preoccupazioni dei cittadini. In questo senso va interpretata la fruttuosa collaborazione con Obama nell’organizzazione dei soccorsi alle vittime dell’uragano Sandy. E anche la sua tradizionale schiettezza a-partitica pare fatta – meglio dire, pareva fatta – per piacere agli elettori repubblicani del New Hampshire, tra i primi Stati coinvolti dalle primarie.
A questo punto sembra però difficile spiegare agli elettori perché il team di Christie ha bloccato un’intera cittadina per motivi di pura ritorsione partitica. “Non sono un bullo”, ha detto Christie in conferenza stampa. E nella sua frase è tristemente risuonato il messaggio di un altro politico travolto dagli scandali. “Non sono un imbroglione”, spiegò Richard Nixon.
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Lo scandalo – il “Bridgegate”, lo hanno definito i giornali – nasce dalla chiusura per quattro giorni, lo scorso settembre, di due corsie del George Washington Bridge, il ponte che collega il New Jersey con Manhattan. La decisione trasformò Fort Lee, il centro urbano all’imbocco del ponte, in un gigantesco parcheggio, alimentando il caos e il disagio per gli automobilisti. Una serie di e-mail e sms rivelano che la chiusura fu orchestrata per “punire” il sindaco di Fort Lee, Mark Sokolich, che al momento dell’elezione a governatore aveva appoggiato Barbara Buono, la sfidante democratica di Christie. “E’ il momento per un po’ di problemi di traffico a Fort Lee”, annuncia soddisfatta in una e-mail Anne Kelly, vice-capo staff di Christie, ora licenziata.
Quando i pullman che trasportano gli studenti di Fort Lee a scuola restano imbottigliati nel traffico, David Wildstein, la nomina di Christie a Port Authority, scrive: “Sono i figli degli elettori della Buono”, con riferimento proprio all’avversaria democratica di Christie nella corsa per governatore del New Jersey. Messaggi e e-mail sono numerosi e si trovano al momento al vaglio delle autorità giudiziarie e di Port Authority, l’ente che gestisce il traffico sul George Washington Bridge. Se Anne Kelly, l’assistente di Christie, è quella che ne esce peggio – in un messaggio definisce il sindaco di Fort Lee “il piccolo serbo” e sembra aver messaggiato i compagni di complotto persino quando si trovava in fila davanti a una bara – quello che potrebbe finire inquisito è invece proprio Wildstein, compagno di scuola di Christie e figura di rilievo a Port Authority. Pare essere stato proprio Wildstein a orchestrare materialmente il gigantesco intasamento di Fort Lee.
Per lui l’accusa potrebbe essere quella di utilizzo di risorse pubbliche a fini politici. Oltre alle enormi spese sostenute per gestire la chiusura del ponte, ci sono poi ovviamente i disagi cui sono stati sottoposti i cittadini. Autoambulanze e vetture di emergenza hanno dovuto cambiare percorso per ben quattro giorni – ritardando l’assistenza a infartuati (una donna è anche morta) e le ricerche di un bambino che si era perduto. Notevoli i disagi e i ritardi per le migliaia di persone che ogni giorno passano il ponte per andare a lavorare a Manhattan. “Sono responsabile di quanto è successo”, dice ora Christie, aggiungendo di essere perfettamente consapevole di “aver deluso” la gente del New Jersey. Il mea culpa non arriva però a riconoscere alcun tipo di coinvolgimento personale.
“Non sapevo quello che i miei collaboratori facevano”, continua a sostenere il governatore. Ammettere una qualsiasi colpa equivarrebbe del resto alla fine politica – in un momento, vale la pena di ricordarlo, in cui il governatore appare uno dei più seri candidati alla Casa Bianca. La macchina organizzativa in vista del 2016 è ormai pronta. Il suo messaggio politico è semplice e diretto: superiamo le divisioni di Washington, dice Christie; affrontiamo insieme le preoccupazioni dei cittadini. In questo senso va interpretata la fruttuosa collaborazione con Obama nell’organizzazione dei soccorsi alle vittime dell’uragano Sandy. E anche la sua tradizionale schiettezza a-partitica pare fatta – meglio dire, pareva fatta – per piacere agli elettori repubblicani del New Hampshire, tra i primi Stati coinvolti dalle primarie.
A questo punto sembra però difficile spiegare agli elettori perché il team di Christie ha bloccato un’intera cittadina per motivi di pura ritorsione partitica. “Non sono un bullo”, ha detto Christie in conferenza stampa. E nella sua frase è tristemente risuonato il messaggio di un altro politico travolto dagli scandali. “Non sono un imbroglione”, spiegò Richard Nixon.
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Roma, 20 dic. (Adnkronos) - "Non aspettavo alcuna sentenza e nessun tribunale per giudicare Matteo Salvini. Io l’ho condannato moralmente e politicamente, senza alcun appello, già da tempo. Non serve una sentenza". Lo dice Davide Faraone, capogruppo di Italia Viva alla Camera.
"In più, non ho mai usato, come invece spesso ha fatto lui, la spregevole frase 'in galera e buttare la chiave'. Per questo mi fa piacere che Salvini si stato assolto. Le sue idee barbare sull’immigrazione vanno sconfitte con le elezioni, auspicare scorciatoie giudiziarie è altrettanto barbaro", conclude.
Roma, 20 dic. (Adnkronos) - "Orrore, vicinanza alle vittime e condanna durissima a chi ha ordito e portato a termine il brutale attentato a Magdeburgo. Minacce e barbare violenze contro persone innocenti sono intollerabili e vanno prevenute e combattute con massima fermezza. Non permettiamo che torni la paura in Europa" . Lo scrive sui social la deputata del Pd, Debora Serracchiani.
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