Era un poeta e un uomo scomodo, Amiri Baraka, al secolo LeeRoi Jones, poeta laureato del New Jersey, attivista dei movimenti radicali per la dignità e l’uguaglianza dei neri in America, musulmano, innovatore formale e indimenticabile performer.
Ultimamente aveva fatto scandalo la sua presa di posizione anti-sionista, immediatamente dopo l’11 settembre: Amiri al terrorismo arabo proprio non credeva e non perse l’occasione di dire anche quanto avversava le politiche israeliane in Medio Oriente. Fu uno scandalo enorme, lo accusarono di essere antisemita. Ma lui scrollò le spalle e continuò per la sua strada. Credo che abbia scrollato le spalle anche quando, ieri, la morte è passata da lui, in ospedale, perché cominciasse un nuovo viaggio.
La prima volta l’ho incontrato credo nel 1992, a Milano, in occasione di una delle edizioni di MilanoPoesia, un festival internazionale diretto da Gianni Sassi che ha fatto la storia della poesia italiana. Poi l’ho rivisto varie volte, qua e là, in giro per il mondo, sempre con Amina, sua moglie, ottima poetessa anche lei. L’ultima, però, la ricordo bene, in Nicaragua, insieme a tanti altri poeti del mondo. E ricordo anche che con lui, chiacchierando a lungo sul battello che ci portava a visitare le isletas del Lago Nicaragua, più che di poesia, discutemmo di politica. Non poteva essere altrimenti, eravamo nella patria di Sandino e della sua Rivoluzione, di Ernesto Cardenal, poeta-papa ormai stinto di una rivoluzione scolorita in governo di coalizione.
Parlammo dell’America del dopo Bush, ovviamente, ma parlammo anche di un altro poeta, Edoardo Sanguineti e dello scandalo che fece quando – in clima di larghe intese e socialdemocrazia spinta – lui decise di tessere l’elogio dell’odio di classe: “È un male che la coscienza di classe sia lasciata alla destra mentre la sinistra via via si sproletarizza. Bisogna invece restaurare l’odio di classe, – aveva detto nel 2007 – perché loro ci odiano e noi dobbiamo ricambiare. Loro fanno la lotta di classe, perché chi lavora non deve farla proprio in una fase in cui la merce dell’uomo è la più deprezzata e svenduta in assoluto? (…). Oggi i proletari sono pure gli ingegneri, i laureati, i lavoratori precari, i pensionati. Poi c’è il sottoproletariato, che ha problemi di sopravvivenza e al quale la destra propone con successo un libro dei sogni”.
Chi si sentirebbe di dargli del tutto torto, oggi che è chiaro a tutti quanto Sanguineti denunciava ieri, tra fischi e pernacchie: che quella lotta di classe i ricchi contro i poveri l’hanno fatta davvero e l’hanno praticamente vinta? E magari domani scopriremo che del tutto torto non aveva neanche Amiri Baraka, anche se io al complotto sionista credo poco. Voglio dire che scopriremo che aveva ragione lui, che avevano ragione loro, se non altro perché, come scrisse Baraka ne Il popolo del blues “Senza il dissidio, la lotta, non ci può essere un’estetica né nera né blues, ma solo un’estetica di sottomissione” ed infine “è meglio aver amato e perso, piuttosto che mettere linoleum nei vostri salotti”, per citare il più noto dei suoi versi.
Quel giorno sul Lago Nicaragua, a proposito delle polemiche sorte in America a causa sua, sorridendo mi rispose: bisognava pure che qualcuno le dicesse, quelle cose lì. Eh già, ci sono cose che nessuno vuole dire, ma che pure ci sono. Aspettano i poeti. Perché forse è proprio come dicevano Edoardo Sanguineti ed Amiri Baraka: compito del poeta, la cui arte è fatta di parole, è anche di dire ciò che nessuno, in quel momento, vuol sentirsi dire. Se non altro perché nessuna parola può essere dimenticata: per vincere la nostra lotta, quella comune, avremo bisogno di tutte le parole, nessuna esclusa.
Che il viaggio ti sia lieve, fratello Amiri.
Lello Voce
Poeta
Cultura - 10 Gennaio 2014
Poesia, il ricordo di Amiri Baraka tra versi e rivoluzione
Era un poeta e un uomo scomodo, Amiri Baraka, al secolo LeeRoi Jones, poeta laureato del New Jersey, attivista dei movimenti radicali per la dignità e l’uguaglianza dei neri in America, musulmano, innovatore formale e indimenticabile performer.
Ultimamente aveva fatto scandalo la sua presa di posizione anti-sionista, immediatamente dopo l’11 settembre: Amiri al terrorismo arabo proprio non credeva e non perse l’occasione di dire anche quanto avversava le politiche israeliane in Medio Oriente. Fu uno scandalo enorme, lo accusarono di essere antisemita. Ma lui scrollò le spalle e continuò per la sua strada. Credo che abbia scrollato le spalle anche quando, ieri, la morte è passata da lui, in ospedale, perché cominciasse un nuovo viaggio.
La prima volta l’ho incontrato credo nel 1992, a Milano, in occasione di una delle edizioni di MilanoPoesia, un festival internazionale diretto da Gianni Sassi che ha fatto la storia della poesia italiana. Poi l’ho rivisto varie volte, qua e là, in giro per il mondo, sempre con Amina, sua moglie, ottima poetessa anche lei. L’ultima, però, la ricordo bene, in Nicaragua, insieme a tanti altri poeti del mondo. E ricordo anche che con lui, chiacchierando a lungo sul battello che ci portava a visitare le isletas del Lago Nicaragua, più che di poesia, discutemmo di politica. Non poteva essere altrimenti, eravamo nella patria di Sandino e della sua Rivoluzione, di Ernesto Cardenal, poeta-papa ormai stinto di una rivoluzione scolorita in governo di coalizione.
Parlammo dell’America del dopo Bush, ovviamente, ma parlammo anche di un altro poeta, Edoardo Sanguineti e dello scandalo che fece quando – in clima di larghe intese e socialdemocrazia spinta – lui decise di tessere l’elogio dell’odio di classe: “È un male che la coscienza di classe sia lasciata alla destra mentre la sinistra via via si sproletarizza. Bisogna invece restaurare l’odio di classe, – aveva detto nel 2007 – perché loro ci odiano e noi dobbiamo ricambiare. Loro fanno la lotta di classe, perché chi lavora non deve farla proprio in una fase in cui la merce dell’uomo è la più deprezzata e svenduta in assoluto? (…). Oggi i proletari sono pure gli ingegneri, i laureati, i lavoratori precari, i pensionati. Poi c’è il sottoproletariato, che ha problemi di sopravvivenza e al quale la destra propone con successo un libro dei sogni”.
Chi si sentirebbe di dargli del tutto torto, oggi che è chiaro a tutti quanto Sanguineti denunciava ieri, tra fischi e pernacchie: che quella lotta di classe i ricchi contro i poveri l’hanno fatta davvero e l’hanno praticamente vinta? E magari domani scopriremo che del tutto torto non aveva neanche Amiri Baraka, anche se io al complotto sionista credo poco. Voglio dire che scopriremo che aveva ragione lui, che avevano ragione loro, se non altro perché, come scrisse Baraka ne Il popolo del blues “Senza il dissidio, la lotta, non ci può essere un’estetica né nera né blues, ma solo un’estetica di sottomissione” ed infine “è meglio aver amato e perso, piuttosto che mettere linoleum nei vostri salotti”, per citare il più noto dei suoi versi.
Quel giorno sul Lago Nicaragua, a proposito delle polemiche sorte in America a causa sua, sorridendo mi rispose: bisognava pure che qualcuno le dicesse, quelle cose lì. Eh già, ci sono cose che nessuno vuole dire, ma che pure ci sono. Aspettano i poeti. Perché forse è proprio come dicevano Edoardo Sanguineti ed Amiri Baraka: compito del poeta, la cui arte è fatta di parole, è anche di dire ciò che nessuno, in quel momento, vuol sentirsi dire. Se non altro perché nessuna parola può essere dimenticata: per vincere la nostra lotta, quella comune, avremo bisogno di tutte le parole, nessuna esclusa.
Che il viaggio ti sia lieve, fratello Amiri.
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La Paz, 17 feb. (Adnkronos/Afp) - Almeno 30 persone sono morte a causa di un incidente che ha coinvolto un autobus passeggeri, precipitato in un burrone profondo 800 metri nella città di Yocalla, nel sud della Bolivia. Lo ha riferito la polizia locale.
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Roma, 17 feb. (Adnkronos) - Prosegue la protesta di Azione alla Camera sul decreto Milleproroghe: il capogruppo Matteo Richetti e la vicecapogruppo Elena Bonetti lasciano i lavori in corso nelle commissioni congiunte Affari Costituzionali e Bilancio. “Dopo il tempo sprecato dal governo nella discussione al Senato alla ricerca di una composizione delle divisioni interne, il testo del decreto è stato trasferito alla Camera solo questa mattina e approderà in Aula nella giornata domani. Alle Commissioni riunite – dichiarano Richetti e Bonetti – non restano che poche ore di esame notturno, una scelta che rende inutile ogni confronto di merito sulle misure contenute nel provvedimento e offende profondamente la funzione parlamentare e la dignità dei deputati membri. Se il governo intende ridurci a figuranti, abbia almeno la decenza di assumersene la responsabilità davanti al Paese. Noi non li aiuteremo”. Azione aveva già espresso nella mattinata la propria contrarietà al ripetuto ricorso alla fiducia, rendendo noto di non aver presentato, per questa ragione, emendamenti al decreto Milleproroghe.
Beirut, 17 feb. (Adnkronos) - Il governo libanese ha annunciato di aver approvato una risoluzione secondo cui soltanto lo Stato potrà possedere armi. La risoluzione chiede di fatto il disarmo di Hezbollah e include l'impegno a rispettare la risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Roma, 17 feb. (Adnkronos) - Ha ribadito le perplessità sul formato del vertice di Parigi, sull'invio di truppe europee in Ucraina e la necessità di percorrere strade che prevedano il coinvolgimento degli Stati Uniti. Queste le linee, a quanto si apprende, dell'intervento della premier Giorgia Meloni oggi al summit a Parigi convocato da Emmanuel Macron alla presenza del britannico Keir Starmer, del premier olandese, Dick Schoof, del cancelliere tedesco Olaf Scholz, del capo del governo polacco Donald Tusk e del primo ministro spagnolo Pedro Sanchez. All'Eliseo anche il segretario generale della Nato, Mark Rutte e i vertici Ue, Antonio Costa e Ursula von der Leyen.
Meloni, a quanto si apprende, ha sottolineato di aver voluto essere presente per non rinunciare a portare il punto di vista dell’Italia, ma di avere espresso le sue perplessità riguardo un formato che, a suo giudizio, esclude molti Paesi, a partire da quelle più esposti al rischio di estensione del conflitto, anziché includere, come sarebbe opportuno fare in una fase storica come questa. Anche perché, avrebbe rimarcato la premier, la guerra in Ucraina l’abbiamo pagata tutti.
Per l'Italia le questioni centrali rimangono le garanzie di sicurezza per l’Ucraina, perché senza queste ogni negoziato rischia di fallire. Quindi Meloni avrebbe rimarcato l'utilità di un confronto tra le varie ipotesi in campo, osservando come quella che prevede il dispiegamento di soldati europei in Ucraina appaia come la più complessa e forse la meno efficace. Una strada su cui l'Italia avrebbe mostrato le sue perplessità al tavolo.
Secondo Meloni, a quanto viene riferito, andrebbero esplorate altre strade che prevedano il coinvolgimento anche degli Stati Uniti, perché è nel contesto euro-atlantico che si fonda la sicurezza europea e americana. La premier avrebbe definito una sferzata sul ruolo dell'Europa quella lanciata dall'amministrazione Usa ma ricordando che prima di questa analoghe considerazioni sono state già state fatte da importanti personalità europee. È una sfida, avrebbe quindi sottolineato, per essere più concreti e concentrarsi sulle cose davvero importanti, come la necessità di difendere la nostra sicurezza a 360 gradi, i nostri confini, i nostri cittadini, il nostro sistema produttivo.
Secondo la presidente del Consiglio sono i cittadini europei a chiederlo: non dobbiamo chiederci cosa gli americani possono fare per noi, ma cosa noi dobbiamo fare per noi stessi.
Meloni avrebbe quindi rimarcato come il formato del summit all'Eliseo non vada considerato come un formato anti-Trump. Tutt’altro. Gli Stati Uniti lavorano a giungere ad una pace in Ucraina e noi dobbiamo fare la nostra parte, la sollecitazione della premier italiana. Meloni infine, sempre a quanto si apprende, avrebbe manifestato condivisione per il senso della parole del Vice Presidente degli Stati Uniti Vance, ricordando di aver espresso concetti simili in precedenza. Ancora prima di garantire la sicurezza in Europa, avrebbe sottolineato Meloni, è necessario sapere che cosa stiamo difendendo.
Parigi, 17 feb. (Adnkronos/Afp) - "La Russia minaccia tutta l'Europa". Lo ha detto la premier danese Mette Frederiksen dopo i colloqui di emergenza a Parigi sul cambiamento di politica degli Stati Uniti sulla guerra in Ucraina.
La guerra in Ucraina riguarda i "sogni imperialisti di Mosca, di costruire una Russia più forte e più grande, e non credo che si fermeranno in Ucraina", ha detto ai giornalisti, mettendo in guardia gli Stati Uniti dai tentativi di concordare un cessate il fuoco "rapido" che darebbe alla Russia la possibilità di "mobilitarsi di nuovo, attaccare l'Ucraina o un altro paese in Europa".
Parigi, 17 feb. (Adnkronos) - "Oggi a Parigi abbiamo ribadito che l'Ucraina merita la pace attraverso la forza. Una pace rispettosa della sua indipendenza, sovranità, integrità territoriale, con forti garanzie di sicurezza. L'Europa si fa carico della sua intera quota di assistenza militare all'Ucraina. Allo stesso tempo abbiamo bisogno di un rafforzamento della difesa in Europa". Lo ha scritto su X la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.