“Tra Corsico e Buccinasco, la ‘ndrangheta può contare su un vero esercito”. Tre giorni dopo il blitz dell’antimafia milanese, il ragionamento degli investigatori non induce all’ottimismo. Perché “per un capo” finito in carcere, altri restano liberi, operativi, pericolosi. Questo il quadro dopo l’arresto del vangelo, al secolo Agostino Catanzariti, professionista dei sequestri che dal 2007, scontato il carcere, è tornato a tessere gli affari criminali per conto del “supercapo Rocco Papalia”. Ed è proprio attraverso le sue parole, intercettate nella Citroen del compare Michele Grillo – anche lui arrestato nell’operazione Platino del nucleo investigativo dei carabinieri – che i militari accendono un faro sulla figura di Rocco Barbaro u Sparitu nato a Platì il 30 giugno 1965, il quale, ad oggi, non risulta indagato né coinvolto nel blitz di due giorni fa. E nonostante questo è considerato il nuovo referente della ‘ndrangheta in Lombardia. Ruolo appartenuto in precedenza a Pasquale Zappia, nominato inseguito all’omicidio (2008) di Carmelo Novella, già capo del mandamento lombardo dopo la morte di Pasquale Barbaro detto u Zangreiu

Arrestato nel 2003 per traffico di droga, dopo una latitanza decennale, Barbaro è rimasto nel carcere d Piacenza fino al 2012. Dal 12 luglio inizia il suo periodo di affidamento ai servizi sociali. Dove? A Buccinasco presso un gommista di via Idiomi, con metà stipendio pagato dal comune. Da due anni, dunque, conduce una vita del tutto normale tra il lavoro e la sua residenza di via Lecco sempre a Buccinasco. E nonostante questo, secondo Agostino Catanzariti, attualmente lui “è il capo di tutti i capi” della ‘ndrangheta di Platì in riva al Naviglio. E lo è “per regola”, spiega il reggente del clan Papalia arrestato l’8 gennaio 2014. Rocco Barbaro, infatti, è il figlio di Francesco Barbaro detto Ciccio u Castanu, classe 1927, “una delle figure più importanti di tutte le ‘ndrine platiote” detenuto ininterrottamente dal 5 gennaio 1989 fino al 5 febbraio 2013 data in cui torna a Platì con l’obbligo di soggiorno. Il fratello di Rocco, Giuseppe Barbaro, vero titolare del soprannome u Sparitu, è stato latitante per 14 anni (dal 9 dicembre 1987 al 10 dicembre 2001) ed è tra gli autori del rapimento di Giuseppe Ferrarini (9 luglio 1975), il primo sequestro di persona avvenuto a Milano al quale parteciparono Domenico Papalia (fratello di Rocco il supercapo) e il goriziano Arturo Kravos. Insomma, Rocco Barbaro, secondo gli investigatori, sembra avere tutti i quarti di nobiltà mafiosa per ricoprire il ruolo di “nuovo reggente”. Tanto più che u Sparitu è anche imparentato con la famiglia Papalia.

Per questo Agostino Catanzariti ribadisce: “Lui (Rocco Barbaro, ndr) è capo di tutti i capi (…) di quelli che fanno parte di queste parti”. E’ il novembre 2012 quando la microspia nascosta nell’auto di Grillo registra “una nuova importante conversazione”. La chiacchiera tra i due compari, ragiona il pubblico ministero Paolo Storari, è decisiva per comprendere “il ruolo di capo assunto da Rocco Barbaro all’interno del sodalizio”. Lo scettro del comando gli deriva direttamente dall’essere figlio di Ciccio u Castanu. Una promozione per diritto di sangue sulla quale Michele Grillo non è d’accordo: “Capo mio non lo è! Non esiste, per me è un semplice picciotto”. Catanzariti, molto più legato all’ortodossia della ‘ndrangheta, ribadisce l’importanza della regola mafiosa. Grillo, però, insiste: “Ma chi cazzo lo conosce, sembra che è il capo della Repubblica”. Lui a queste cose non ci crede, perché, in fondo, le cariche nella ‘ndrangheta lasciano il tempo che trovano. E’ in questo momento dell’intercettazione che Catanzariti rivela la sua carica del vangelo, uno delle più alta nella gerarchia mafiosa. La stessa che ha anche Rocco Barbaro. Quindi spiega: “Abbiamo tutti il vangelo, però dobbiamo tutti rispettare a lui”. Insomma, al di là dei meriti acquisiti sul campo, Rocco Barbaro resta il capo. Concetto che lo stesso Grillo, nonostante le parole dette, ribadisce in un’altra intercettazione. “Poi – dice – va là da Rocco u Sparitu che passa ordini”. 

Dopo dieci anni di latitanza e altrettanti di carcere, Rocco Barbaro torna libero e arriva a Buccinasco, comune dove ha passato qualche periodo da fuggiasco ma dove non ha mai operato stabilmente. Anche se ha potuto contare sull’aiuto di Giuseppe Pangallo, classe ’80, genero di Rocco Papalia. Perché, allora, la decisione di stabilirsi in Lombardia? La risposta sta nella richiesta di custodia cautelare firmata dai pm Paolo Storari e Giuseppe D’Amico. Il ragionamento dell’antimafia milanese è semplice: dopo gli arresti dei grandi capi (i fratelli Papalia) e delle nuove leve “oggi, su Corsico e Buccinasco c’è – almeno all’apparenza – un vero e proprio vuoto di potere”. Da qui la necessità di puntellare il territorio “tanto che appena riottenuta la piena (o quasi) libertà di movimento Rocco Barbaro si trasferisce da Platì a Buccinasco”. E lo stesso fa anche Domenico Trimboli detto u Murruni, genero del boss ergastolano Domenico Papalia, il quale dopo aver scontato il carcere torna a vivere a Corsico. Chiarissima la conclusione della Procura. “Risulta inoppugnabile che Agostino Catanzariti sia una figura prestigiosa e, senza dubbio, sino al ritorno in campo di Rocco Barbaro e di Domenico Trimboli, è stato il reggente della cosca egemone su Corsico e Buccinasco”. Insomma, nonostante arresti e condanne, il regno lombardo di una delle cosche più potenti della ‘ndrangheta continua. 

Riceviamo e pubblichiamo la smentita del comune di Buccinasco, per voce del vicensidaco Rino Pruiti, in ordine all’affidamento ai servizi sociali (con parte dello stipendio pagato dal comune stesso) di Rocco Barbaro presso un gommista di Buccinasco:

“In qualità di vicesindaco di Buccinasco, smentisco quanto da voi scritto. Il Comune non paga nessuno stipendio ne è coinvolto in alcun modo in questo progetto sociale che, personalmente, ritengo inappropriato e inopportuno, specialmente qui a Buccinasco”.

Articolo aggiornato il 13 gennaio 2014 

 

 

 

 

 

 

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