Le truppe israeliane di Sharon permisero quel massacro, che vide la morte di un numero tuttora imprecisato di civili palestinesi (chi dice 400, chi 3500). Sabra e Chatila erano due campi profughi, controllati in territorio libanese dall’esercito israeliano. Prima dell’eccidio, l’esercito di Sharon (Ministro della Difesa) chiuse quei campi, affinché falangisti e milizie cristiano-maronite libanesi potessero comodamente infierire su donne, anziani e bambini, con la scusa della vendetta per l’assassinio di Bashir Gemayel, fondatore delle Falangi e Presidente della Repubblica del Libano ucciso pochi giorni prima in un attentato.
Questa bieca abitudine di riabilitare tutti i potenti è una prassi intellettualmente oscena. Il rispetto si merita, e per questo non si può avere nei confronti di chi non è stato semplicemente un uomo “contraddittorio e in chiaroscuro”, come leggo ora anche in editoriali illustri, ma ha bensì sulla coscienza migliaia di morti. I garantisti, comicamente, sostengono adesso che Sharon fu in qualche modo “assolto” dopo le indagini della Commissione Kahan. Non esattamente: la Commissione arrivò a queste conclusioni nel 1983: “Abbiamo stabilito che il ministro della Difesa [Ariel Sharon] ha la responsabilità personale”. E’ vero poi che, molti anni dopo, Israele si oppose al tentativo belga di incriminare Ariel Sharon; a causa delle pressioni internazionali, il parlamento belga rivide la legge sulla universalità della competenza e a quel punto la Corte di Cassazione del Belgio si trovò costretta ad archiviare la posizione di Sharon.
Io ho pianto quando è morto Vittorio Arrigoni, non certo per Sharon. E a chi ribatte che “ultimamente Sharon era moderato”, faccio notare che è vero, sì, ultimamente era più moderato, ma solo perché da otto anni era in coma.