Estrarre petrolio in Sicilia è più conveniente che altrove. Dal 2014, poi, sarà più che conveniente che in passato. Nonostante la pesante spending review e il parallelo aumento medio delle aliquote, infatti, il governo di Rosario Crocetta ha deciso di diminuire le tasse ai petrolieri: le royalties per l’estrazione di oro nero sono state diminuite dal 20 al 13 per cento. Una mossa in controtendenza quella di Crocetta, che appena un anno fa aveva raddoppiato le tasse ai cercatori di oro nero, aumentando le royalties dal dieci al venti per cento su proposta del Movimento Cinque Stelle. Dodici mesi dopo, però, il modello Sicilia non esiste più, i Cinque Stelle sono all’opposizione, e il governatore è riuscito a far approvare dalla sua maggioranza il taglio delle tasse ai cercatori di oro nero.

“Non possiamo mantenere un alta tassazione per le imprese produttive” si è giustificato Crocetta, che ha raccolto il sostegno di 44 deputati di Pd, Udc, Articolo 4, Megafono più quelli del gruppo misto (tra loro anche l’ex Cinque Stelle pentito Antonio Venturino). Crocetta, è bene ricordarlo, è dipendente dell’Eni fin da quando era giovane, e nel suo curriculum racconta di essere addetto al centro elaborazione dati del petrolchimico di Gela. “Quando io lavoravo all’Eni, guadagnavo ventimila dollari al mese” dichiarò al quotidiano on­line livesicilia.it nell’agosto scorso. Il taglio delle tasse per le aziende petrolifere era stato auspicato dall’assessore alle attività produttive Linda Vancheri. “Non si possono certo cancellare queste forme produttive, che rappresentano una fetta importatissima delle entrate della Sicilia” ha dichiarato l’assessore, che rappresenta l’influenza di Confindustria in giunta.

Questo governo non pensa a tutelare l’ambiente, dato che le royalties non sono altro che una compensazione per gli enormi danni ambientali causati dalle compagnie petrolifere” ha attaccato Giancarlo Cancelleri, capogruppo del Movimento Cinque Stelle all’Ars. “Esiste il fondato dubbio che anche in Sicilia la politica energetica sia improntata a soddisfare le esigenze dei soliti noti, cioè degli stessi grandi gruppi industriali, nazionali ed esteri, che hanno letteralmente dettato la strategia energetica nazionale e che adesso stanno in tutti i modi bloccando lo sviluppo dell’utilizzo delle fonti rinnovabili in Italia” è stato invece il piccato commento di Legambiente. Dopo il taglio deciso dal governo Crocetta la fetta di guadagno lasciata in Sicilia dai cercatori di oro nero si abbassa ad appena nove milioni all’anno: una cifra ridicola se si pensa che nel 2009, quando le tasse per i petrolieri erano bloccate al sette per cento del fatturato e la produzione di oro nero siciliano per gli estrattori valeva 278 milioni, alla Regione e ai comuni toccavano ben 12 milioni di euro, nonostante i tempi di pagamento fossero lunghissimi, con Eni e Irminio che ancora a fine 2011 avevano girato agli enti siciliani solo 420 mila euro della somma dovuta.

Nel 2010 le royalties vengono aumentate al 10 per cento, mentre la produzione siciliana di petrolio tocca il valore di 300 milioni: a Regione e Comuni sarebbero toccati poco meno di 15 milioni, ancora in gran parte da incassare. Nel 2013 invece, con le tasse raddoppiate al 20 per cento, la fetta di pertinenza degli enti siciliani raggiunge la quota record di 27 milioni di euro, che però la Regione non ha ancora mai riscosso ( il timore è che le aziende facciano ricorso contro l’aumento delle royalties). Dati alla mano quindi il taglio delle royalties arriva quasi a ridurre di due terzi le cifre che i cercatori di petrolio avrebbero dovuto lasciare nelle casse siciliane. Un’operazione che farà risparmiare un po’ di soldi alla Lukoil, il colosso russo che ha rilevato lo stabilimento Erg di Siracusa, al gruppo Minardo e alla sempre attiva Eni, che in Sicilia estrae e raffina il 10 per cento dell’intera produzione italiana di oro nero.

Twitter: @pipitone87

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Le Pompei trasformate in centri commerciali sparse per l’Italia

next
Articolo Successivo

Rinnovabili, l’Italia guarda al 2030. Ma dimentica le “sue” procedure d’infrazione

next