Tutto è iniziato da uno specchietto rotto. Un paio di giorni fa Fabio Zerbini (nella foto), coordinatore del Si Cobas, sindacato di base che organizza le lotte nel settore della logistica, ha trovato lo specchietto laterale della sua auto rotto. Sul parabrezza, un biglietto di scuse con un numero di cellulare da chiamare, per concordare il risarcimento del danno. Fabio chiama, e il suo interlocutore gli dà un appuntamento per ieri pomeriggio in zona Affori, a sud di Milano. Giunto sul posto, però, Fabio non trova l’onesto cittadino che si sarebbe aspettato, ma due energumeni che, appena sceso dalla macchina, lo investono con una scarica di botte. Il pestaggio dura giusto qualche minuto: il tempo di spaccargli l’arcata sopraccigliare, il labbro e provocargli altre contusioni. «Se i lavoratori continuano a scioperare e a rompere i coglioni, tu fai una brutta fine», gli dice uno dei due, prima di lasciarlo a terra.
In ospedale, Zerbini viene curato e congedato con una prognosi di quindici giorni. Un episodio inquietante, che segna un salto di qualità nella scia di intimidazioni subite dal Si Cobas e dai suoi iscritti. «Hanno alzato il tiro», racconta Fulvio Di Giorgio, altro coordinatore della sigla di base; «Eravamo abituati alle gomme squarciate e alle auto incendiate, ma ancora non erano arrivati a un pestaggio vero e proprio». Negli ultimi anni, infatti, i delegati sindacali impegnati nel settore logistico hanno subito attacchi in stile mafioso. «Ho trovato le gomme della mia automobile tagliate almeno tre volte. Venivano sotto casa mia e mi lasciavano questo bel biglietto da visita, che mi è costato ogni volta 550 euro», sorride Di Giorgio, amaro.
Difficile capire da dove arrivino le minacce. Ogni coordinatore segue più vertenze allo stesso tempo, tutte “calde” e con grossi interessi in gioco. Zerbini, ad esempio, stava organizzando diversi lavoratori su più fronti; a metà dicembre, in particolare, lo sciopero di ottanta facchini nel magazzino Kuehne-Nagel (operatore leader del settore logistico) di Santa Cristina, in provincia di Pavia, aveva permesso ai lavoratori di ottenere il rispetto del contratto nazionale di categoria e il riconoscimento sindacale dei Cobas (oltre al ritiro di quattro licenziamenti politici). Stesso copione nei magazzini Carrefour di Assago, dove la cooperativa Serim è stata costretta a riconoscere il Si Cobas e a discutere la piattaforma rivendicativa dei facchini in agitazione (l’80% del totale).
L’unica certezza è che negli ultimi anni il Si Cobas si è attirato l’odio di innumerevoli cooperative e operatori logistici, dal Veneto alla Lombardia, fino all’Emilia Romagna, alle Marche e al Lazio. Nelle cinture industriali delle grandi città – Milano, Piacenza, Bologna – vige un sistema di sfruttamento del lavoro sul quale lucrano cooperative “di comodo”, a volte in mano alla criminalità organizzata. Basterà ricordare l’infiltrazione emersa con l’operazione “Redux-Caposaldo” del 2011, che portò al commissariamento di sei filiali della Tnt perché i servizi erano appaltati a cooperative legate al clan Flachi, della ‘ndrangheta calabrese. Oppure, i recenti arresti di Cinzia Mangano ed Enrico di Grusa – rispettivamente figlia e genero dello “stalliere di Arcore”, Vittorio Mangano – accusati dalla Dda di Milano di essersi serviti di una rete di cooperative che, mediante false fatturazioni e sfruttamento dei lavoratori, realizzavano profitti in nero per sostenere detenuti e latitanti. E ancora: l’infiltrazione nei magazzini Sma da parte del consorzio di cooperative “Ytaka” di Marcello Paparo, imprenditore di origine crotonese accusato di essere un esponente della ‘ndrangheta e arrestato nel 2009 nell’ambito dell’operazione “Isola”. Tra i capi d’accusa, il pestaggio di Nicola Padulano, dipendente di una cooperativa del consorzio che proprio alla Sma era stato segnalato come un sindacalista che “creava problemi”.
Il pestaggio ha impedito a Fabio Zerbini di partecipare all’assemblea dei lavoratori di Santa Cristina, in programma proprio oggi. Il Si Cobas, comunque, rilancia: «Non ci faremo intimidire».