Libera i detenuti, rinchiude i giudici. Indulto mascherato o no, lo “svuota-carceri” un primo risultato l’ha già raggiunto: in meno di un mese ha seppellito i magistrati sotto montagne di carte mandando in tilt gli uffici di sorveglianza di tutta Italia. L’assalto allo sconto di pena è stato immediato, aggravato e continuato e gli scricchiolii si sentono ormai ovunque, da Nord a Sud. Li ha sentiti anche il ministro Cancellieri, due giorni fa, mettendo piede nel carcere di Lecce, dove nel giro di tre settimane sono arrivate 270 istanze di liberazione anticipata sul tavolo di tre soli magistrati. A Padova sono già 450, a Milano oltre 500. Un primo dato, parziale, è arrivato dal Dap che riferisce di 200 scarcerazioni a settimana, ma a fronte di quante richieste non è dato sapere: a Roma hanno varato il decreto ma senza aggiornare il sistema informatico per la trasmissione telematica delle ordinanze di scarcerazione alla Procura della Repubblica e la registrazione a fini statistici. Così tocca andare a campione.

E ci vuol poco a scoprire che le richieste di ricalcolo dei benefici concessi dalla liberazione anticipata “speciale” – da 45 a 75 giorni ogni sei mesi, dal 2010 in poi – stanno mandando nel pallone gli uffici. Ne arrivano tante, dicono i magistrati, che non riescono più a star dietro alla vigilanza diretta e al controllo di legalità sull’esecuzione della pena. Il rischio paralisi è poi dietro l’angolo, con effetti imprevedibili di iniquità tra detenuti in uscita: le pratiche di alcuni potrebbero fermarsi di colpo dopo aver fatto correre tutte le altre per garantire l’auspicato “effetto deflattivo”. “Molte persone potrebbero aver già guadagnato la libertà o misure alternative se ci fosse una struttura amministrativa in grado di sostenere l’impatto delle domande che arrivano dal carcere ai nostri uffici. Facciamo di tutto per evitarlo, ma non escludo che accada”, spiega il coordinatore nazionale dei magistrati di sorveglianza Giovanni Pavarin, presidente del Tribunale di Venezia. “Ogni giorno – racconta – arrivano decine e decine di istanze, i magistrati non hanno tempo di contarle. Per tutte si tratta di capire quali istruire prima perché avrebbero un effetto liberatorio del condannato, ma dobbiamo pur essere attenti a chi mettiamo fuori”.

Dare un ordine all’assalto è già un’impresa, raccontano loro. “Arrivano istanze d’integrazione per scadenze della pena nel 2030. Le presentano comunque, anche se non determinano l’immediata scarcerazione. Non sono urgenti e però vanno registrate e valutate. La cancelleria interrompe continuamente il lavoro per dare l’informazione all’avvocato di turno”. Il collasso è vicino, insiste Pavarin. “I magistrati sono sempre più piegati sulle carte e lontani dal carcere , hanno meno tempo per i colloqui individuali col detenuto previsti dall’ordinamento che sono importantissimi ai fini della sua valutazione. Rischiamo di perdere il contatto con le strutture di esecuzione penale esterna, come le comunità per i tossicodipendenti. Se ce la facciamo, per ora, è grazie ai tirocini e alle convenzioni con volontari, ma stiamo arrancando su una norma che ha le ruote sgonfie o forse non le ha proprio”.

Il problema è che il decreto del governo vuol far giustizia (e pararsi rispetto all’Europa) a costo zero. Per tamponare l’allarme sociale e l’eventuale dissenso sull’indulto strisciante, stabilisce una definizione non automatica dei benefici ma caso per caso, “sartoriale”. Per ogni istanza va istruita una pratica, richieste le sentenze, le relazioni comportamentali dal carcere etc. Oneri che ricadono su magistrati e personale amministrativo ridotti all’osso che non avranno alcun rinforzo dal decreto che termina con la clausola d’invarianza finanziaria. E pazienza se sono già gravati dall’altro svuota carceri (L. 199/2010), quello che in tre anni ha consentito a 13mila detenuti di scontare gli ultimi 18 mesi di pena a casa “salvo che il magistrato ritenga il detenuto pericoloso”.  E che non va in soffitta, ma bussa alle stesse porte: scadeva il 31 dicembre, è stato prorogato e inserito stabilmente nel sistema. E così il lavoro nelle cancellerie è raddoppiato.

“La liberazione anticipata speciale e il reclamo giurisdizionale stanno mettendo in ginocchio gli uffici di sorveglianza”, avverte Rodolfo Sabelli dell’Anm. “Non si possono fare riforme che determinano aggravi di lavoro senza intervenire su mezzi e organici”. I conti li fa anche Marcello Bortolato, magistrato di sorveglianza a Padova: “La pianta organica prevede 202 magistrati ma 25 svolgono funzioni di presidenza, una ventina di posti sono vacanti. Gli effettivi sono circa 170. Ne servirebbero 100 di più, per non parlare del personale amministrativo”. Stesso discorso per tutto il personale che a vario titolo collabora con i magistrati: i funzionari pedagogico giuridici 1376 e ne mancano quasi 400, gli assistenti sociali che dovrebbero essere 1380 sono sotto di 589, la polizia penitenziaria di duemila unità e così via.

E dire che il ministero era stato avvisato per tempo del rischio di non riuscire a sostenere l’impatto del decreto. A inizio dicembre, in vista dell’approvazione, i presidenti dei tribunali di sorveglianza avevano incontrato la Direzione generale per l’organizzazione giudiziaria. La Cancellieri era assente. “Abbiamo chiesto il distacco di personale della polizia penitenziaria e quantomeno il blocco nell’applicazione del personale ad altri uffici. Per ora non abbiamo visto nulla”, insiste Pavarin che chiede un nuovo incontro “anche se le nostre lagnanze sono ben note a chi di dovere”.

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