“L’Oscar lo vince Paolo, ne sono sicuro”. Non ha dubbi Gabriele Salvatores mentre sta ultimando il montaggio del suo nuovo film Il ragazzo invisibile. La notizia che La Grande bellezza è stato nominato dall’Academy Awards nella cinquina del miglior film straniero non sorprende il regista di origine napoletana, milanese d’adozione, sul palco di Los Angeles nel 1992 a ritirare quel premio, ambito dal collega partenopeo al 100%, per Mediterraneo.
“Quando mi comunicarono che il mio film era tra i cinque in gara per vincere l’Oscar”, spiega Salvatore al fattoquotidiano.it, “ci trovavamo nel deserto messicano a girare Puerto Escondido, tra polvere, cactus e campesinos. Non avendo vinto il Golden Globe la notizia ci stupì per davvero. Tanto che ricordo ancora il mio primo pensiero: tra un mese vado a Los Angeles così mi faccio una bella doccia”.
Una lotta più dura per Salvatores nel lontano 1992 tanto che contro di lui c’era il celebre Lanterne Rosse di Zhang Yimou: “Film che amai moltissimo, aveva vinto il Globe, pensavo non ci fosse speranza”. Invece sale Sylvester Stallone sul palco e annuncia la vittoria dell’oramai storico film antimilitarista Mediterraneo: “Ero totalmente impreparato, sapevo anche poco inglese e come da regolamento l’Academy mi aveva affidato un tutor che era una sceneggiatrice che aveva lavorato per Frank Sinatra. Stallone disse ‘the Oscar goes to…’ e invece di dire il titolo del mio film disse ‘Italy’. Io capì Ilary e pensai che aveva vinto un altro film, tra l’altro inesistente”. “Poi venne il momento delle dichiarazioni – continua – e visto che mentre giravamo Mediterraneo era scoppiata la guerra in Iraq e sulla nostra testa durante le riprese rombavano i cacciabombardieri partiti dalla Turchia, volli ingenuamente ricordare quello che succede nel mio film: soldati rinunciate alla guerra, la vita è meglio. Partì subito la musica, era una dichiarazione politica, non era molto gradita”.
Prima di Salvatores vinse Tornatore, poi Benigni, e ora è il turno di Sorrentino: “La Grande bellezza è un film molto bello, è il lavoro di Paolo che preferisco di più perché vicino alla mia idea di cinema: le immagini sono importanti al di là del racconto. È un film riconoscibile per gli statunitensi loro hanno bisogno di mettere etichette rassicuranti e tranquillizzanti a ciò che vedono. Quando mesi fa ho letto il titolo del New York Times sul film ho pensato che era fatta: La dolce vita ai tempi di Berlusconi”. Ragionamento confermato dalla recedente produzione internazionale di Sorrentino con Sean Penn (This must be the place): “Gli è andato a rompere le balle nel loro territorio, e ha pure girato un on the road”, ironizza Salvatores, “intanto si è fatto conoscere e ha avuto qualche riscontro. Lo ripeto i recenti Oscar vinti da film italiani, come Il Postino, Nuovo Cinema Paradiso, o il mio Mediterraneo, raccontano l’Italia come se la immaginano negli Usa. Ad esempio a me dei produttori di Hollywood dopo l’Oscar avevano offerto un ufficio sull’oceano in California per lavorare ma sarei stato costretto a girare Mediterraneo 2 o Oceano Pacifico. Era il mio terzo film, e mi ero appena innamorato di una ragazza italiana: rinunciai”.
Così ora non resta che mettersi tutti davanti alla tv, il 2 marzo prossimo, a fare il tifo per Sorrentino: “Certo, i concorrenti non sono così potenti. Gli unici che possono impedirgli di vincere sono il film belga e il danese Il Sospetto, film che mi è piaciuto molto ma si parla di pedofilia, tema duro e poi la Danimarca ha vinto giusto due anni fa con il film di Susanne Bier”. Entusiasmo alle stelle per La Grande Bellezza, nonostante l’incidente del Servillo infuriato: “A me sembra puro gossip, ma se proprio mi devo esprimere penso che da un lato sia giusto fare domande, anche se scomode; dall’altro capisco il fastidio in un momento di festeggiamenti. Questo non toglie che attorno a questa nomination ci sia un clima positivo e la probabile vittoria aiuterà tutto il cinema italiano”.