Una delle leggende metropolitane di questi tempi è che Matteo Renzi sia un gran comunicatore. Lo è, ma solo se lo paragoni ad Alfano o Bersani. E chiunque, o quasi, comunica meglio di Alfano o Bersani. Anche Peppa Pig. In qualsiasi bar toscano c’è un fanfarone più convincente o simpatico di Renzi, che ha e avrà sempre la sindrome del “paninaro postumo”: colui che, non potendo essere stato paninaro da giovane (era troppo bruttino e pacioccone), si reinventa teneramente figo a quarant’anni.
Quando Renzi ha detto che tra lui e Berlusconi c’era “profonda sintonia”, non si limitava agli eventuali accordi su legge elettorale e riforma di Senato e titolo V. Parlava in generale. E’ stato un lapsus freudiano: l’allievo che tributa il maestro. Non c’è nulla di anomalo in Renzi che incontra Berlusconi, perfino sotto la foto del Che (il quale, se lo avesse saputo, in Bolivia ci sarebbe andato giusto in villeggiatura). Parlano la stessa lingua e hanno la stessa idea personalistica di democrazia. Renzi ha parlato di “profonda sintonia” non con imbarazzo, ma addirittura rivendicandolo.
Coloro che lo hanno votato alle Primarie, spendendo pure due euro, ci sono rimasti male: meritano umana solidarietà e condoglianze ideologiche, ma meritano pure una tirata di orecchie. Se consegni partito e ideali a uno che non c’entra niente con te, poi non è che puoi lamentarti. Renzi disboscherà quel che resta della sinistra italiana con la sua ambizione bruciante e il suo nientalismo intellettuale (quella di Crozza non è una caricatura: è una istantanea). Chi lo ha votato, nel Pd, lo ha fatto perché pur di vincere ormai è disposto a tutto. Perfino votare un berluschino. Se ieri il Pd (e predecessori) si era “limitato” a reggere il moccolo e scambiarsi la borraccia con il peggiore centrodestra d’Europa, con Renzi si è già passati direttamente all’amplesso: al coito politico alla luce del sole, o del Nazareno, magari un giorno pure in streaming.
Renzi non sa nulla di leggi elettorali e “radicale riforma del bicameralismo”. Quando parla di queste cose, sembra Jerry Cala che cita Kierkegaard. Renzi sa però come si fa a vincere. E lui vince, oggi, intestandosi una nuova legge elettorale realizzata in pochi mesi (mentre Letta e “la casta” non l’hanno fatta in otto anni). Il modello “spagnolo” è un papocchio proporzionale con depravazioni maggioritarie, un premio di maggioranza del 15%, uno sbarramento al 5% su base circoscrizionale (dunque lo sbarramento effettivo può arrivare anche al 20%) e le liste ancora bloccate con buona pace della Consulta. Serve a ottenere un bicameralismo spinto che uccida tutto ciò che non sia Renzi o Berlusconi, dunque che non sia Renzi o Renzi (o Berlusconi o Berlusconi). Probabilmente verrà concesso ad Alfano uno sbarramento al 5% (o al 4%) su scala nazionale, che ne garantirebbe forse la sopravvivenza. Più difficilmente si tornerà al voto di preferenza, che di fatto desidera solo il Movimento 5 Stelle. A Renzi non interessa una nuova legge elettorale buona: interessa una nuova legge elettorale “a prescindere”, per poi vantarsene dalla Bignardi.
Matteo Renzi è il sicario perfetto di quel che resta della sinistra italiana. L’ultima speranza, per il Pd, era Pippo Civati. E lo sputo in faccia che ha riservato ieri a molti suoi elettori (già pentiti) lascia intendere che, per gli elettori (di sinistra) del Pd, il peggio deve ancora venire. C’è però una cosa su cui Renzi è inattaccabile: la strategia politica. Dopo poche settimane da segretario Pd, era già alla canna del gas. Nessun risultato rilevante. Ha bussato alla porta di Grillo e gli hanno riso in faccia. Per dirla oggi con Travaglio, a mio avviso sin troppo conciliante sulle potenzialità rinnovatrici del segretario Pd: “Renzi s’è rivolto anzitutto a Grillo, che ha commesso un grave errore nel rispondere picche, rinchiudendosi autisticamente nel web-referendum tra gli iscritti (..) Tantopiù che aveva l’occasione di mettere in crisi il Pd (..) In attesa della consultazione fra gli iscritti, i 5Stelle sono in freezer e dunque Renzi, che ha una fretta boia, è passato al terzo classificato: FI”.
E’ stato il Movimento 5 Stelle a giustificare la pomiciata costituzionalista tra il maestro condannato e l’allievo folgorato sulla via delle merendine. Yoko Casaleggio voleva esattamente questo, per poi dire che Renzi è berlusconiano dentro (e pure fuori). Una tattica cinica e rischiosa, perché se Renzi farà la nuova legge elettorale – e la farà – potrà poi vestire appieno i panni del Vincitore, anche se nel frattempo – come D’Alema con la Bicamerale – ha resuscitato un’altra volta Silvio. Per evitare questo scenario mesto, che rischia di radere al suolo qualsiasi rimasuglio (o rigurgito) di speranza, bastava davvero poco: un gruppo di “cittadini” M5S che andava al Nazareno e incontrava Renzi.
Se sotto quella foto del Che, al posto di Berlusconi, ci fossero stati Di Maio e Di Battista, Morra e Taverna, Sarti e Villarosa, avrebbero vinto per ko tecnico. Avrebbero fatto tana al surrogato berluschino. Avrebbero cortocircuitato il Pd, isolato Berlusconi e azzoppato Alfano. Non era difficile e non occorreva essere fenomeni per arrivarci. Era uno smash a campo aperto, eppure la pallina neanche l’hanno beccata. E ora è un po’ comodo dire “noi l’avevamo detto chi era Renzi”. A quello, chi voleva, c’era già arrivato da solo. E non certo da ieri.
Peccato.