Il governo è a caccia di contanti e accelera con la vendita di Poste italiane. “E’ immaginabile un periodo tra i cinque e i sei mesi per definire i dettagli dell’operazione e concluderla”, ha annunciato il viceministro allo Sviluppo economico, Antonio Catricalà, parlando della privatizzazione del gruppo nel corso di un’audizione alla commissione Trasporti della Camera.
“Le decisioni sono ormai assunte”, ha aggiunto, “e sono relative ad una messa sul mercato non di asset ma di una quota della società”. Per “stabilire importantissimi dettagli sull’operazione” si è tenuta martedì 21 gennaio una riunione al ministero dell’Economia, che si è conclusa con la decisione di rimandare la discussione degli ultimi dettagli a uno dei prossimi Cdm, probabilmente già il prossimo. La vendita del gruppo è ormai alle porte. Siamo quindi di fronte a una decisa accelerazione, dopo che – all’inizio di gennaio – da una riunione a Palazzo Chigi è emerso che la prospettiva era di mettere sul mercato l’azienda “entro la fine dell’anno”.
Catricalà ha spiegato che “l’operazione comporterà una provvista di risorse utili a ridurre la nostra esposizione debitoria e sarà anche strumento di incentivo per la maggiore efficienza dei servizi e per l’ampliamento dell’offerta”. Per continuare a creare valore il governo ritiene inoltre che “il processo di privatizzazione debba avvenire mantenendo l’unitarietà del gruppo“. L’azienda, che alla fine del 2013 è stata preziosa per salvare con 75 milioni di euro quel che resta di Alitalia, possiede infatti “i requisiti necessari per avviare il processo di privatizzazione”, anche alla luce del fatto che “il piano industriale si basa su una strategia che ha già dato propri frutti”.
Il progetto di privatizzare le Poste non è una novità. A dicembre Enrico Letta aveva annunciato la vendita di quote del gruppo già nel 2014, nell’ambito del piano di privatizzazioni da 12 miliardi messo a punto per ridurre il debito pubblico. In ogni caso si dovrebbe trattare di una quota di minoranza. La partecipazione che sarà messa sul mercato, secondo le indiscrezioni riportate da fonti governative all’agenzia Reuters, sarà pari al 30-40 per cento. La conferma è arrivata dallo stesso Catricalà. “L’orientamento è di mantenere sia controllo che maggioranza del capitale in mano allo Stato”, ha detto, mentre “una quota sarà riservata ai dipendenti”.
Ma, mentre il governo studia gli ultimi dettagli dell’operazione, montano le critiche alla manovra. “Scelta Civica non è convinta di come il governo stia gestendo la privatizzazione delle Poste”, afferma un’interrogazione presentata dai senatori Linda Lanzillotta (moglie di Franco Bassanini, che è presidente della Cassa depositi e prestiti, ovvero l’ente pubblico che gestisce i risparmi postali degli italiani) e Benedetto Della Vedova. I parlamentari chiedono di fare piena luce sulla strategia del governo, rivolgendosi in particolare ai ministri dell’Economia e dello Sviluppo economico, poiché “tale processo di privatizzazione interverrebbe prima che siano state ridefinite le condizioni di vantaggio monopolistico di cui attualmente Poste Italiane è titolare, come peraltro più volte segnalato dall’Autorità garante per la concorrenza e il mercato”.
La decisione di privatizzare Poste italiane nella sua attuale forma di conglomerata, ovvero di separare il ramo postale da quello banco-assicurativo, annotano i due senatori di Scelta Civica, “avrà effetti duraturi sia sui mercati postali sia su quelli finanziari, e merita pertanto una giustificazione esplicita e pubblica”. Per questo Lanzillotta e Della Vedova chiedono al “governo come intenda evitare che una rendita monopolistica sia trasferita ad eventuali soci privati e come il governo intenda realizzare l’obiettivo di favorire l’azionariato dei lavoratori evitando che esso si traduca in una mera rappresentanza sindacale negli organi di gestione, ma si sostanzi nella effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’andamento e gestione dell’azienda”.