Una truffa da 100 milioni di euro grazie alla creazione di una società ad hoc per ottenere contribuiti pubblici. Per questo è stato emesso un mandato d’arresto europeo, nell’ambito di una inchiesta della procura di Milano, per Fabio Riva, già coinvolto nell’inchiesta della Procura di Taranto sull’Ilva. L’imprenditore, figlio del patron del gruppo Emilio, si trova in Inghilterra da tempo. Altre due persone, invece, sono state arrestate: un dirigente della Riva Fire – anche la società è indagata in base alla legge 231 – e un professionista. L’inchiesta è coordinata dai pm di Milano Stefano Civardi e Mauro Clerici è una terza tranche di una inchiesta più ampia della procura di Milano su vicende finanziarie, societarie e fiscali del gruppo Riva.
A Fabio Riva e agli altri indagati viene contestata anche l’accusa di associazione per delinquere. Secondo le indagini della Procuradi Milano, i dirigenti del Gruppo Ilva, avrebbero creato una società ad hoc con sede in Svizzera, l’Ilva Sa, per aggirare la normativa (la legge Ossola) sull’erogazione di contributi pubblici per le grandi aziende che esportano all’estero. In sostanza, la normativa prevede che le aziende, che hanno commesse estere e però ricevano i pagamenti dall’estero in modalità dilazionata nel tempo, possano ricevere stanziamenti a fondo perduto da una società, la Simest, controllata dalla Cassa Depositi e Prestiti. L’Ilva, però, non avrebbe potuto avere queste erogazioni, secondo l’accusa, perché riceveva pagamenti in seguito alle commesse estere con dilazioni a non più di 90 giorni. E così, secondo l’ipotesi della Procura, sarebbe stata costituita la società svizzera che prendeva le commesse all’estero e poi si interfacciava con l’Ilva spa. A quel punto, i pagamenti dalla società svizzera all’Ilva venivano dilazionati nel tempo in modo da poter rientrare nella normativa sulle erogazioni pubbliche. I pm avrebbero accertato una truffa da 100 milioni di euro a partire dal 2007.
Questa è la terza tranche di una più ampia inchiesta della Procura di Milano, coordinata dal procuratore aggiunto Francesco Greco e condotta dal Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Milano, sul gruppo Ilva. Lo scorso maggio, la prima tranche dell’indagine aveva portato al sequestro di 1,9 miliardi di euro per i reati di truffa ai danni dello Stato e trasferimento fittizio di beni. I pm, infatti, hanno ipotizzato che il patron Emilio e il fratello Adriano Riva assieme ad alcuni professionisti abbiano sottratto soldi alle casse dell’Ilva, nascondendoli in paradisi fiscali e facendoli poi rientrare in Italia attraverso lo scudo fiscale. La Procura di Milano, inoltre, sta indagando sui rapporti tra la holding Rive Fire di Emilio Riva e la controllata Ilva con l’ipotesi di appropriazione indebita ai danni dei soci di minoranza del colosso siderurgico.
La scorsa estate gli uomini della Guardia di Finanza aveva scovato il tesoro dei Riva nell’isola di Jersey, in Inghilterra. Dopo il sequestro da 1,2 miliardi di euro del 22 maggio scorso, gli investigatori avevano trovato altri 700 milioni di euro nel paradiso fiscale nel Canale della Manica. Un bottino scoperto in una nuova rete di trust, per gli inquirenti, facente capo ad Emilio Riva, al fratello Adriano, entrambi indagati dalla procura di Milano, e ai loro otto figli. Denaro che secondo i magistrati i Riva avrebbero sottratto all’Ilva spa e alla holding di famiglia Riva Fire e sui quali i Riva si apprestavano, secondo quanto emerso dalle indagini, a nuovi spostamenti per sfuggire ai provvedimenti della magistratura di Taranto. Il gip Fabrizio D’Arcangelo motivò l’ordine di sequestro scrivendo che l’obiettivo era “modificare la giurisdizione dei trust per effetto delle iniziative dell’autorità giudiziaria di Taranto” che infatti giunse una settimana dopo il sequestro milanese.
Gli accertamenti dei finanzieri lombardi, coordinati dai pm Mauro Clerici e Stefano Civardi, avevano quindi successivamente ricostruito l’esistenza della Master Trust, una nuova società che si aggiungerebbe alla complessa struttura con la quale i proprietari dell’Ilva avrebbero occultato il denaro necessario per rendere ecocompatibile la fabbrica di Taranto. Su Fabio Riva pende anche una richiesta di estradizione formulata dall’autorità giudiziaria tarantina che lo ha indagato per associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale.