“I dialoghi dei miei film non sono rap, ma ci si avvicinano molto”, parola di Quentin Tarantino. Il rap ha ispirato non solo sceneggiature e ambientazioni, ma ha prestato ad Hollywood attori e registi, come spiega il giornalista e critico musicale Luca Gricinella in Cinema in rima (Agenzia X), da poco in libreria con la prefazione di Piotta. Luca Gricinella, tra i maggiori esperti in Italia di hip hop, in questo lavoro fonde i suoi due amori il cinema e il rap, realizzando una guida e allo stesso tempo una riflessione diacronica sul rapporto tra il cinema e la cultura hip hop, per capire come e quando il rap è entrato nella pellicola.
Un connubio solido che a partire da Wild style (1983), rappresenta storie di strada, violenza e droga, sino ad arrivare a film cult come Fai la cosa giusta di Spike Lee e L’odio film bellissimo di Mathieu Kassovitz. Altro film fondamentale per la diffusione della cultura hip hop in Europa è stato Flashdance. In Italia invece si possono citare Sud di Gabriele Salvatores, un omaggio a quel movimento politico e musicale nato nei centri sociali nei primi anni novanta, e Fame chimica di Paolo Vari e Antonio Bocola per certi versi accostabile a L’odio. Un libro imperdibile per chi ama tutto il mondo Street. Il libro sarà presentato il 14 marzo alle 20,30 alla biblioteca del museo nazionale del cinema di Torino con il giornalista di Rumore, Paolo Ferrari e il direttore del museo, Stefano Boni.
Luca, cosa ti ha spinto ad affrontare il rapporto tra cinema e rap?
Ho studiato sceneggiatura alla Civica di Milano, fin da ragazzino sono appassionato di cinema e musica e in quest’ultimo caso un genere musicale, il rap appunto, mi ha coinvolto tanto da diventare parte integrante del mio lavoro sia di critico sia – da qualche anno soprattutto – di ufficio stampa. Insomma, ho coniugato le mie principali competenze.
Spesso l’hip hop per chi lo ascolta e lo fa, risulta una via di fuga per sfuggire alla realtà e vivere il proprio film. In questo senso l’hip hop come il blues nasce dai sogni-film delle periferie dell’anima. Possiamo dire che l’hip hop è il genere musicale più cinematografico?
È uno degli assunti di partenza del saggio. La fuga dalla realtà che i film di finzione ti permettono di fare si ritrova in tantissime rime di rapper e nei campionamenti fatti dai loro dj. Questi artisti spesso diventano attori, addirittura registi. Non è un caso. Vedi anche le pose che assumono e il linguaggio che usano molti rapper: a volte non è fuorviante dire che pare una messa in scena. E l’origine nelle periferie spiega molto di queste fughe dalla realtà…
Come sta l’hip hop in Italia?
Nel rap c’è ancora un conflitto tra underground e mainstream più forte rispetto ad altre scene nazionali. Non è colpa di nessuno in particolare, ma se ci fosse più rispetto reciproco tra chi è in classifica e chi invece no (perché magari non gli interessa o perché propone musica che difficilmente potrebbe arrivarci), tutto il movimento ne guadagnerebbe. Mi sembra ancora un momento di impasse.
Oggi più che mai l’hip hop è diventato di massa, anche se il successo dei rapper sembra durare davvero troppo poco. Credi dipenda dalla mancanza di contenuti o dal fatto che il rap è ancora percepito come una cultura estranea?
Dipende un po’ dalla poca cultura e comprensione dell’hip hop che si ha in Italia, un po’ dalla cattiva gestione degli artisti. Una parte delle strutture del mercato musicale ha dei piani poco lungimiranti e molto ansiosi di spingere sui trend del momento. Professionisti competenti e concreti che, credo, potrebbero fare più concessioni all’aspetto culturale del rap.
Nel libro affermi che spesso i media nel parlare di hip hop si fermano all’apparenza, dimenticando l’essenza di questa cultura. Cosa intendi?
Se si punta il dito contro chi è sboccato o politicamente scorretto senza mai chiedersi da dove derivi e dunque senza descrivere questo linguaggio, non si rende servizio al lettore. Non credo serva giudicare, men che meno senza (far) conoscere.
Cosa manca alla scena rap italiana per essere matura e diventare una realtà consolidata come è successo in Francia?
A parte una società più cosmopolita, che dunque dia più spazio a chi ha origini altre, un dibattito culturale più complesso e più serietà professionale negli addetti ai lavori della musica. Magari una riforma dell’istruzione, ma forse esagero.
Per molti decani del rap nostrano, l’arrivo dell’hip hop in Italia si deve al film Flashdance. Qual è invece il film italiano che ha contribuito di più alla diffusione del genere in Italia?
Non credo ci sia. Qui hanno contribuito maggiormente programmi tv come Yo!, Mtv Raps o Avanzi, che nei primi anni ’90 invitava spesso rapper, o altri in cui ci vedevi anche gente come Dj Gruff.
Se dovessi consigliare la top five dei film legati al rap da non può perdere?
Senza alcun ordine: Fa’ la cosa giusta, L’odio, Wild Style, Fa’ la cosa sbagliata (The Wackness) e Notorious B.I.G..