Il primo febbraio molte rivendicheranno in Spagna – e per solidarietà anche in alcune città italiane – il diritto alla libertà di scelta su sessualità, contraccezione, aborto. Da alcune combattive donne di Firenze, già impegnate nella difesa della legge 194, parte l’appello per costituire una rete che si opponga al potere esercitato su scelte e corpi.

E’ un tema complesso che non consente grandi speculazioni, per quanto la questione vada ragionata oltre la mera difesa di una legge, tra l’altro non particolarmente gradita neppure a tante femministe. Perciò in piazza non vedrete chi parla di autodeterminazione accanto a chi parla di “no-choice”. Si corre però comunque il rischio di vedere accolto l’appello da persone che raccontano la libertà di scelta solo in termini teorici e poi, in realtà, quando c’è da discutere di riconoscimento dei soggetti, rivendicazioni dei/delle sex workers, migranti, persone gay, lesbiche, trans, o quando c’è da parlare di reddito, stanno su tutt’altro fronte.

Mondi che tengono al riparo chi realizza politiche economiche terribili e poi fanno la morale se per campare usi il tuo corpo e vendi servizi che ti garantiscono un introito. Gente che ha in mente un modello sociale che chiude ai margini persone migranti, spesso obbligate ad abortire clandestinamente per povertà, scarso accesso alle informazioni e per timore di espulsione. Persone che attribuiscono la questione della libertà di scelta solo alla donna dotata di utero senza considerare l’idea che i generi vanno un po’ oltre quel che riguarda la biologia.

Si corre perciò il rischio di legittimare idee che nulla hanno a che fare con un rispetto per l’autodeterminazione che viene meno se non sono libera di scegliere che uso fare del mio corpo, quando e come diventare madre, dove vivere e migrare, che identità di genere riconoscere per me stesso/a. E se un rischio simile si corre con un appello che ragiona di un preciso obiettivo, figuriamoci quel che può avvenire il 14 febbraio con la riproposizione dell’iniziativa internazionale del ‘One billion rising’.

Il 2013 si celebrò all’insegna di una canzone che parlava di donne madri e creatrici, “Break the chain” (Spezza la catena, ndr): in qualità di generatrici di vita bisognava lasciarci stare. Discorso coerente rispetto a quello che impone una mentalità destrorsa (di cui sono dotate anche donne Pd) che chiede tutela nei confronti della donna incinta, moglie/madre, qualificata infine in quanto “risorsa”, per dirla come la vice ministra per le Pari opportunità Maria Cecilia Guerra, la cui perdita genererebbe un grave danno economico per una nazione il cui welfare è basato sulla famiglia quale ammortizzatore sociale con le donne destinate alla riproduzione e alla cura.

Ragazze e donne di tutto il mondo ballavano mentre l’ideatrice dell’iniziativa Eve Ensler riceveva sonore critiche in cui veniva rimproverata di “appropriazione culturale e neocolonialismo“. In Italia ‘One billion rising’ divenne l’ulteriore momento in cui a suggellare patti filo/istituzionali furono donne di destra e di sinistra, tutte perbene, giacché le sex workers con le proprie narrazioni di violenza erano escluse.

Tante signore a legittimare paternalismi sempre desiderosi di corrispondere cavalierato sociale all’idea della donna quale “soggetto debole”. Si accreditavano così anche illustri nomi di donne di destra, vedi Isabella Rauti, la cui posizione circa il rispetto per l’autodeterminazione delle donne quando si tratta di coppie lesbiche o di aborto non mi è chiarissima. E’ lei che poi diventerà referente per il ministero dell’Interno sulle questioni relative alla violenza di genere.

Seguirà l’approvazione di una legge paternalista che riduce le donne a semplici oggetti di tutela. Nessun ragionamento sulla cultura e sugli strumenti necessari affinché chiunque possa liberarsi anche dai protettori istituzionali. Nessun investimento su una maggiore autonomia economica delle persone. Nessuna riflessione sul mancato rispetto dell’autodeterminazione e sull’imposizione di ruoli di genere. Perciò chiedo: chi non rispetta la libertà di scelta di una donna lesbica, trans, o che vuole interrompere una gravidanza è davvero contro la violenza di genere?

La piazza di ‘One billion rising’ potrebbe essere una positiva occasione di contaminazione reciproca, ma dubito possa esserlo nel contesto in cui viviamo. Qui rischia di essere l’ulteriore palcoscenico attraverso cui chi ha più risorse e potere usa e anestetizza giovani precarie e veicola una visione del problema che è comoda, non implica una assunzione di responsabilità da parte di molte e restituisce la semplicistica idea che il male risieda in quel puntino nero in fondo a tutto che si chiama uomo.

Oh, ben inteso: al ballo possono partecipare anche gli uomini. Battendo il pugno al petto in segno di pentimento. Ballate in ginocchio, sui ceci, per espiare meglio, mi raccomando.

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