Angelino Alfano e Enrico Letta contro Silvio Berlusconi e Dario Franceschini. Quella della legge elettorale rischia di essere l’unica partita in cui le maglie non ci si scambiano alla fine, ma all’inizio. In palio non ci sono solo (e non tanto) l’Italicum e le riforme istituzionali, ma da una parte la vita del governo e dall’altra, soprattutto, il futuro di Matteo Renzi (e per riflesso del Partito democratico) che potrebbe rimanere schiacciato nella mischia. E’ sufficiente cambiare un bullone all’ingranaggio che deve portare all’approvazione della legge elettorale e tutto può cambiare, il meccanismo può prendere direzioni e velocità imprevedibili. Tanto che nella partita potrebbe rientrare perfino il Movimento Cinque Stelle, finora rimasto fuori da qualsiasi tavolo di trattativa sulla riforma del sistema di voto, che potrebbe intervenire in modo decisivo per esempio nel caso si votino misure per introdurre le preferenze.
Si parte dalla cronaca di oggi. Il vicepresidente del Consiglio Angelino Alfano: “Noi chiediamo – ha spiegato – di modificare la cosa più odiata del Porcellum che è il parlamento dei nominati e le liste bloccate. Così rischiamo di modificare il Porcellum ma di lasciare la cosa che sta più sulle scatole ai cittadini e che crea distanza fra cittadini e istituzioni”. Alfano ha aggiunto che nelle votazioni di questa primavera i cittadini potranno scegliere i loro membri preferiti per il Parlamento europeo, per i Comuni e le Regioni. “E’ un mistero – ha commentato – che alla Camera che è il luogo di tutti gli italiani le preferenze non possano essere utilizzate. L’appello che faccio a Berlusconi è quello di far scegliere gli italiani. Del resto Renzi ha detto con chiarezza che sarebbe favorevole. Spero che Berlusconi possa ravvedersi”. Ieri sera era stato il suo capo, Letta, a dire in modo più diplomatico la stessa cosa: “Se in Parlamento c’è un accordo largo alcuni aspetti possono essere modificati. Io ad esempio credo che i cittadini debbano essere resi più partecipi nella scelta dei candidati”.
Ma Berlusconi non si convince e Renzi l’ha detto: “Si fanno le modifiche, solo se tutti sono d’accordo”. La parola tutti è traducibile con Berlusconi. E oggi a puntellare la base dell’accordo si aggiunge il ministro per i Rapporti con il Parlamento Dario Franceschini: “Vedo che le preferenze sono diventate improvvisamente popolarissime ma io, che ho iniziato a prenderle, e molte, a vent’anni, sento il dovere morale di dire che oggi sarebbe un errore enorme reintrodurle”. Reintrodurre le preferenze sarebbe un errore, per Franceschini, “non soltanto perché farebbero quasi certamente saltare l’intesa raggiunta ma molto di più per i danni al sistema politico e alla sua trasparenza“. Le preferenze, spiega, “come tutti sanno, farebbero aumentare a dismisura i costi delle campagne elettorali dei singoli candidati, con tutti i rischi connessi, non sempre porterebbero in Parlamento i migliori e comunque lo priverebbero della presenza di competenze e professionalità indispensabili”. Nessuna parola sull’eventualità di un tetto alle spese elettorali, peraltro, come proposto per esempio da Sinistra Ecologia e Libertà. “Io da capogruppo – aggiunge Franceschini – ho conosciuto deputati indispensabili per competenze e lavoro che non riuscirebbero mai a essere eletti. Non è un caso se in nessun paese di Europa sono utilizzate le preferenze per il parlamento nazionale, ma soltanto o collegi uninominali, da sempre la proposta del Pd, o liste corte, perché dappertutto cercano intelligentemente di avere gruppi parlamentari che siano un mix di radicamento territoriale e competenze”.
Il risultato è uno scontro nel quale le parti in causa possono tutte assumere un ruolo fondamentale. Prendiamo il governo. I renziani sono decisivi per il sostegno dell’esecutivo guidato da Letta (sostenitore delle preferenze): secondo i calcoli dell’agenzia politica Public Policy al Senato sono 50 (su 108 democratici), mentre alla Camera sono 150 su 300. In entrambi i casi, infatti, alle piccole pattuglie originarie si sono aggiunti i parlamentari appartenenti alle aree Veltroni, Franceschini, Fioroni e parte di coloro vicini a Romano Prodi. Sempre secondo Public Policy deputati e senatori vicini al segretario del Pd sono determinanti per un’eventuale crisi di governo.
Ma se alla caduta del governo (per via di un’implosione definitiva del Pd) è difficile credere più realistico pare il calcolo fatto sulla legge elettorale frutto dell’intesa tra Renzi e Berlusconi, apparentemente intoccabile, pena (è la tesi) la fine prematura della riforma. La premessa è che sia alla Camera sia al Senato è possibile il voto segreto. Il punto è che sulla carta la maggioranza del Parlamento è per le preferenze. Se per assurdo i non renziani e i non berlusconiani votassero tutti insieme si arriverebbe a circa 360 voti contrari alle liste bloccate alla Camera e circa 170 al Senato. In questo calcolo si contano anche i Cinque Stelle. Per due motivi. Beppe Grillo ieri a Roma ha detto: “Non abbiamo preclusioni se il Pd fa una buona legge la votiamo”. Alessandro Di Battista a Servizio Pubblico ha parlato di “battaglia in commissione per le preferenze”. Con questi numeri, soprattutto al Senato, il percorso della legge elettorale di Renzi salirebbe sulle montagne russe con un esito imprevedibile. Se alla Camera il Pd ha una maggioranza imponente, a Palazzo Madama tutto come sempre traballa. Quello che nel progetto di Renzi dovrebbe essere un blocco di marmo che esce integro dal passaggio parlamentare rischia di finire preso a colpi di scalpello e di diventare un pantano anche per il segretario democratico.
Forza Italia è in minoranza netta. Eppure oggi Maria Elena Boschi, responsabile Welfare del Pd, ha ricevuto in faccia un sonoro no da Denis Verdini: l’uomo macchina berlusconiano ha accettato di pensare a un eventuale innalzamento della soglia per il premio di maggioranza dal 35 al 38% e ha chiuso completamente la porta a alternative alle liste bloccate. Se non sarà l’Italicum a essere la futura riforma elettorale, è il ragionamento di Berlusconi, “così come l’ha abbiamo sottoscritta all’inizio, allora noi torneremo al sistema spagnolo e salterà l’accordo”. La conseguenza è che nella riunione dei deputati del Pd in cui la minoranza ha tentato di convincere il resto del gruppo democratico a produrre emendamenti all’Italicum su 4 punti (preferenze e soglia per il premio, su tutti) è finita con un nulla di fatto. La proposta di Renzi, insomma, è diventata l’ennesimo ricatto del Cavaliere.
Politica
Legge elettorale, Verdini chiude la porta alla Boschi: “L’Italicum resta così”
Alfano e Letta contro Berlusconi e Franceschini: i primi per le preferenze, i secondi contro. Eppure sulla carta in Parlamento la maggioranza sarebbe contraria alle liste bloccate. E con il M5s che potrebbe essere decisivo. Le proposte del segretario Pd sono diventate il ricatto del Cavaliere
Angelino Alfano e Enrico Letta contro Silvio Berlusconi e Dario Franceschini. Quella della legge elettorale rischia di essere l’unica partita in cui le maglie non ci si scambiano alla fine, ma all’inizio. In palio non ci sono solo (e non tanto) l’Italicum e le riforme istituzionali, ma da una parte la vita del governo e dall’altra, soprattutto, il futuro di Matteo Renzi (e per riflesso del Partito democratico) che potrebbe rimanere schiacciato nella mischia. E’ sufficiente cambiare un bullone all’ingranaggio che deve portare all’approvazione della legge elettorale e tutto può cambiare, il meccanismo può prendere direzioni e velocità imprevedibili. Tanto che nella partita potrebbe rientrare perfino il Movimento Cinque Stelle, finora rimasto fuori da qualsiasi tavolo di trattativa sulla riforma del sistema di voto, che potrebbe intervenire in modo decisivo per esempio nel caso si votino misure per introdurre le preferenze.
Si parte dalla cronaca di oggi. Il vicepresidente del Consiglio Angelino Alfano: “Noi chiediamo – ha spiegato – di modificare la cosa più odiata del Porcellum che è il parlamento dei nominati e le liste bloccate. Così rischiamo di modificare il Porcellum ma di lasciare la cosa che sta più sulle scatole ai cittadini e che crea distanza fra cittadini e istituzioni”. Alfano ha aggiunto che nelle votazioni di questa primavera i cittadini potranno scegliere i loro membri preferiti per il Parlamento europeo, per i Comuni e le Regioni. “E’ un mistero – ha commentato – che alla Camera che è il luogo di tutti gli italiani le preferenze non possano essere utilizzate. L’appello che faccio a Berlusconi è quello di far scegliere gli italiani. Del resto Renzi ha detto con chiarezza che sarebbe favorevole. Spero che Berlusconi possa ravvedersi”. Ieri sera era stato il suo capo, Letta, a dire in modo più diplomatico la stessa cosa: “Se in Parlamento c’è un accordo largo alcuni aspetti possono essere modificati. Io ad esempio credo che i cittadini debbano essere resi più partecipi nella scelta dei candidati”.
Ma Berlusconi non si convince e Renzi l’ha detto: “Si fanno le modifiche, solo se tutti sono d’accordo”. La parola tutti è traducibile con Berlusconi. E oggi a puntellare la base dell’accordo si aggiunge il ministro per i Rapporti con il Parlamento Dario Franceschini: “Vedo che le preferenze sono diventate improvvisamente popolarissime ma io, che ho iniziato a prenderle, e molte, a vent’anni, sento il dovere morale di dire che oggi sarebbe un errore enorme reintrodurle”. Reintrodurre le preferenze sarebbe un errore, per Franceschini, “non soltanto perché farebbero quasi certamente saltare l’intesa raggiunta ma molto di più per i danni al sistema politico e alla sua trasparenza“. Le preferenze, spiega, “come tutti sanno, farebbero aumentare a dismisura i costi delle campagne elettorali dei singoli candidati, con tutti i rischi connessi, non sempre porterebbero in Parlamento i migliori e comunque lo priverebbero della presenza di competenze e professionalità indispensabili”. Nessuna parola sull’eventualità di un tetto alle spese elettorali, peraltro, come proposto per esempio da Sinistra Ecologia e Libertà. “Io da capogruppo – aggiunge Franceschini – ho conosciuto deputati indispensabili per competenze e lavoro che non riuscirebbero mai a essere eletti. Non è un caso se in nessun paese di Europa sono utilizzate le preferenze per il parlamento nazionale, ma soltanto o collegi uninominali, da sempre la proposta del Pd, o liste corte, perché dappertutto cercano intelligentemente di avere gruppi parlamentari che siano un mix di radicamento territoriale e competenze”.
Il risultato è uno scontro nel quale le parti in causa possono tutte assumere un ruolo fondamentale. Prendiamo il governo. I renziani sono decisivi per il sostegno dell’esecutivo guidato da Letta (sostenitore delle preferenze): secondo i calcoli dell’agenzia politica Public Policy al Senato sono 50 (su 108 democratici), mentre alla Camera sono 150 su 300. In entrambi i casi, infatti, alle piccole pattuglie originarie si sono aggiunti i parlamentari appartenenti alle aree Veltroni, Franceschini, Fioroni e parte di coloro vicini a Romano Prodi. Sempre secondo Public Policy deputati e senatori vicini al segretario del Pd sono determinanti per un’eventuale crisi di governo.
Ma se alla caduta del governo (per via di un’implosione definitiva del Pd) è difficile credere più realistico pare il calcolo fatto sulla legge elettorale frutto dell’intesa tra Renzi e Berlusconi, apparentemente intoccabile, pena (è la tesi) la fine prematura della riforma. La premessa è che sia alla Camera sia al Senato è possibile il voto segreto. Il punto è che sulla carta la maggioranza del Parlamento è per le preferenze. Se per assurdo i non renziani e i non berlusconiani votassero tutti insieme si arriverebbe a circa 360 voti contrari alle liste bloccate alla Camera e circa 170 al Senato. In questo calcolo si contano anche i Cinque Stelle. Per due motivi. Beppe Grillo ieri a Roma ha detto: “Non abbiamo preclusioni se il Pd fa una buona legge la votiamo”. Alessandro Di Battista a Servizio Pubblico ha parlato di “battaglia in commissione per le preferenze”. Con questi numeri, soprattutto al Senato, il percorso della legge elettorale di Renzi salirebbe sulle montagne russe con un esito imprevedibile. Se alla Camera il Pd ha una maggioranza imponente, a Palazzo Madama tutto come sempre traballa. Quello che nel progetto di Renzi dovrebbe essere un blocco di marmo che esce integro dal passaggio parlamentare rischia di finire preso a colpi di scalpello e di diventare un pantano anche per il segretario democratico.
Forza Italia è in minoranza netta. Eppure oggi Maria Elena Boschi, responsabile Welfare del Pd, ha ricevuto in faccia un sonoro no da Denis Verdini: l’uomo macchina berlusconiano ha accettato di pensare a un eventuale innalzamento della soglia per il premio di maggioranza dal 35 al 38% e ha chiuso completamente la porta a alternative alle liste bloccate. Se non sarà l’Italicum a essere la futura riforma elettorale, è il ragionamento di Berlusconi, “così come l’ha abbiamo sottoscritta all’inizio, allora noi torneremo al sistema spagnolo e salterà l’accordo”. La conseguenza è che nella riunione dei deputati del Pd in cui la minoranza ha tentato di convincere il resto del gruppo democratico a produrre emendamenti all’Italicum su 4 punti (preferenze e soglia per il premio, su tutti) è finita con un nulla di fatto. La proposta di Renzi, insomma, è diventata l’ennesimo ricatto del Cavaliere.
B.COME BASTA!
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Sana'a, 15 mar. (Adnkronos) - Gli attacchi aerei non scoraggeranno i ribelli yemeniti, i quali risponderanno agli Stati Uniti. Lo ha scritto sui social Nasruddin Amer, vice capo dell'ufficio stampa degli Houthi, aggiungendo che "Sana'a rimarrà lo scudo e il sostegno di Gaza e non la abbandonerà, indipendentemente dalle sfide".
"Questa aggressione non passerà senza una risposta e le nostre forze armate yemenite sono pienamente pronte ad affrontare l'escalation con l'escalation", ha affermato l'ufficio politico dei ribelli in una dichiarazione alla televisione Al-Masirah.
In un'altra dichiarazione citata da Ynet, un funzionario Houthi si è rivolto direttamente a Trump e a Netanyahu, che "stanno scavando tombe per i sionisti. Iniziate a preoccuparvi per le vostre teste".
Damasco, 15 mar. (Adnkronos) - L'esplosione avvenuta nella città costiera siriana di Latakia ha ucciso almeno otto persone. Lo ha riferito l'agenzia di stampa statale Sana, secondo cui, tra le vittime della detonazione di un ordigno inesploso, avvenuta in un negozio all'interno di un edificio di quattro piani, ci sono tre bambini e una donna. "Quattordici civili sono rimasti feriti, tra cui quattro bambini", ha aggiunto l'agenzia.
Sana'a, 15 mar. (Adnkronos) - Almeno nove civili sono stati uccisi e nove feriti negli attacchi statunitensi su Sanaa, nello Yemen. Lo ha dichiarato un portavoce del ministero della Salute guidato dagli Houthi su X.
Washington, 15 mar. (Adnkronos) - "Sono lieto di informarvi che il generale Keith Kellogg è stato nominato inviato speciale in Ucraina. Il generale Kellogg, un esperto militare molto stimato, tratterà direttamente con il presidente Zelensky e la leadership ucraina. Li conosce bene e hanno un ottimo rapporto di lavoro. Congratulazioni al generale Kellogg!". Lo ha annunciato su Truth il presidente degli Stati Uniti Donald Trump.
Washington, 15 mar. (Adnkronos) - "Oggi ho ordinato all'esercito degli Stati Uniti di lanciare un'azione militare decisa e potente contro i terroristi Houthi nello Yemen. Hanno condotto una campagna implacabile di pirateria, violenza e terrorismo contro navi, aerei e droni americani e di altri paesi". Lo ha annunciato il presidente americano Donald Trump su Truth. Senza risparmiare una stoccata all'ex inquilino della Casa Bianca, il tycoon aggiunge nel suo post che "la risposta di Joe Biden è stata pateticamente debole, quindi gli Houthi sfrenati hanno continuato ad andare avanti".
"È passato più di un anno - prosegue Trump - da quando una nave commerciale battente bandiera statunitense ha navigato in sicurezza attraverso il Canale di Suez, il Mar Rosso o il Golfo di Aden. L'ultima nave da guerra americana ad attraversare il Mar Rosso, quattro mesi fa, è stata attaccata dagli Houthi più di una decina di volte. Finanziati dall'Iran, i criminali Houthi hanno lanciato missili contro gli aerei statunitensi e hanno preso di mira le nostre truppe e i nostri alleati. Questi assalti implacabili sono costati agli Stati Uniti e all'economia mondiale molti miliardi di dollari, mettendo allo stesso tempo a rischio vite innocenti".
"L'attacco degli Houthi alle navi americane non sarà tollerato - conclude Trump - Utilizzeremo una forza letale schiacciante finché non avremo raggiunto il nostro obiettivo. Gli Houthi hanno soffocato le spedizioni in una delle più importanti vie marittime del mondo, bloccando vaste fasce del commercio globale e attaccando il principio fondamentale della libertà di navigazione da cui dipendono il commercio e gli scambi internazionali. I nostri coraggiosi Warfighters stanno in questo momento portando avanti attacchi aerei contro le basi, i leader e le difese missilistiche dei terroristi per proteggere le risorse navali, aeree e di spedizione americane e per ripristinare la libertà di navigazione. Nessuna forza terroristica impedirà alle navi commerciali e navali americane di navigare liberamente sulle vie d'acqua del mondo".
Whasington, 15 mar. (Adnkronos) - Funzionari statunitensi hanno affermato che gli attacchi aerei contro l'arsenale degli Houthi, gran parte del quale è sepolto in profondità nel sottosuolo, potrebbero durare diversi giorni, intensificandosi in portata e scala a seconda della reazione dei militanti. Lo scrive il New York Times. Le agenzie di intelligence statunitensi hanno lottato in passato per identificare e localizzare i sistemi d'arma degli Houthi, che i ribelli producono in fabbriche sotterranee e contrabbandano dall'Iran.
Washington, 15 mar. (Adnkronos) - Funzionari statunitensi hanno detto al New York Times che il bombardamento su larga scala contro decine di obiettivi nello Yemen controllato dagli Houthi - l'azione militare più significativa del secondo mandato di Donald Trump - ha anche lo scopo di inviare un segnale di avvertimento all'Iran. Il presidente americano - scrive il quotidiano Usa- vuole mediare un accordo con Teheran per impedirgli di acquisire un'arma nucleare, ma ha lasciato aperta la possibilità di un'azione militare se gli iraniani respingono i negoziati.